Il numero di “Storia e regione / Geschichte und Region” dedicato all’attivismo violento degli universitari europei negli anni tra le due guerre.

 

 

 Studentische Gewalt / Violenza studentesca (1914-1945)

A cura di / Herausgegeben von

Martin Göllnitz, Matteo Millan

Storia e Regione / Geschichte und Region 28 (2019), 1

StudienVerlag, Innsbruck / Wien /Bozen, Bolzano

 

 

Indice / Inhalt

 

Editorial / Editoriale

 Dmitar Tasić

The Macedonian Youth Secret Revolutionary Organization (MYSRO) 1922–1927: A New Moment in Macedonian Struggle

 Florian J. Schreiner

Die „Ausgelesenen“. Akademische Netzwerke und die Niederschlagung der Münchener Räterepublik 1919

 Juliane Deinert

Studierende im Ausnahmezustand. Ausschreitungen an der Rostocker Universität vor und während der Machtergreifung der Nationalsozialisten

 Irene Bolzon

La lunga durata dello squadrismo di confine. Comunità studentesche, società e pratiche della violenza a Trieste (1900–1945)

 Simone Duranti

“Basta la sola camicia nera”. Propaganda e attività politica dei fascisti universitari trentini

 

 Forum

 Flaminia Bartolini

Dealing with contested heritage: contemporary art and the Fascist monument debate

 

 Rezensionen / Recensioni

Maria Wirth/Andreas Reichl/Marcus Gräser (Hg.), 50 Jahre Johannes Kepler Universität Linz, Bd. 1: Eine „Hochschule neuen Stils“

Maria Wirth/Andreas Reichl/Marcus Gräser (Hg.), 50 Jahre Johannes Kepler Universität Linz, Bd. 2: Innovationsfelder in Forschung, Lehre und universitärem Alltag (Stefan Paulus)

Elisabeth Gruber/Andreas Weigl (Hg.), Stadt und Gewalt (Clemens Zimmermann)

Siglinde Clementi, Körper, Selbst und Melancholie. Die Selbstzeugnisse des Landadeligen Osvaldo Ercole Trapp (1634–1710) (Michaela Hohkamp)

Miloš Řezník, Neuorientierung einer Elite. Aristokratie, Ständewesen und Loyalität in Galizien (1772–1795) (Elisabeth Lobenwein)

Wolfgang Strobl, Zu Gast in Schluderbach. Georg Ploner, die Fremdenstation und die Anfänge des Tiroler Alpintourismus (Hester Margreiter)

Nicola Labanca/Oswald Überegger (a cura di), La guerra italo-austriaca (1915–18) (Martina Salvante)

Maddalena Guiotto/Helmut Wohnout (Hg.), Italien und Österreich im Mitteleuropa der Zwischenkriegszeit / Italia e Austria nella Mitteleuropa tra le due guerre mondiali (Giovanni Schininà)

Roberta Pergher, Mussolini’s Nation-Empire: Sovereignty and Settlement in Italy’s Borderlands, 1922–1943 (Valeria Deplano)

Thomas Casagrande, Südtiroler in der Waffen-SS: Vorbildliche Haltung, fanatische Überzeugung (Gerald J. Steinacher)

Rolf Steininger, Toni Ebner (1918–1981). Südtiroler Politiker, Journalist, Unternehmer (Leo Hillebrand)

 

 

 

 

Editoriale: Violenza studentesca (1918-1945)

 

di Martin Göllnitz e Matteo Millan

 

 A livello internazionale la ricerca ha spesso sottolineato come dopo la prima guerra mondiale ampie aree d’Europa non siano riuscite a superare la condizione di una post-war-society e come la partecipazione pubblica alla vita politica sia stata accompagnata spesso da un alto livello di violenza interna. (1) Soprattutto per le neo-formazioni di destra e le organizzazioni paramilitari, che vanno interpretate come fenomeni transnazionali, la dimensione della militanza ha svolto un ruolo chiave nel periodo tra le due guerre (1918/19 ̶ 1939). (2)

I giovani in generale, e gli studenti in particolare, rappresentarono in molti casi fattori moltiplicatori di tali movimenti, che essi interpretarono come campo di sperimentazione della violenza, spesso compensando la loro mancata esperienza bellica con una crescente militanza e brutalità rivolta verso nemici interni ed esterni. Come si può evincere anche dalla pubblicistica dell’epoca, soprattutto tra gli studenti dell'Europa centrale e orientale dominava una mentalità “battagliera” verso i presunti nemici che, nella rappresentazione di molti universitari, minavano “la pace e l'ordine” della propria nazione. (3)

Nonostante alcune notevoli differenze nazionali, la militanza giovanile può essere considerata un significativo fenomeno transnazionale all’interno delle organizzazioni paramilitari attive subito dopo il 1918/19 ed essa influenzò notevolmente, negli anni Venti e Trenta, la vita politica di diversi paesi europei, non importa se usciti vittoriosi o sconfitti dalla guerra. Un numero non trascurabile di studenti fu inquadrato, tra il 1918/19 e il 1939, in milizie paramilitari territoriali e cittadine, in corpi di combattimento politico o in gruppi di cospirazione, allo scopo di combattere questi nemici sia all’interno che lungo i rispettivi confini nazionali.

Militando nelle leghe, milizie volontarie e formazioni di difesa dei confini, questa generazione nata dopo il 1900 (la cosiddetta Kriegsjugendgeneration) cercava di recuperare una propria esperienza bellica, che le era stata negata a causa della giovane età. (4) Questa giovane élite non aveva personalmente sperimentato le trincee, l’impiego di armi pesanti e le atrocità della guerra; nonostante questa carenza  ̶  o forse proprio a causa di essa  ̶  coltivava l’immagine della guerra quale esperienza eroica e innalzava a modelli di virtù i valori del militarismo. (5)

Finora è rimasto in ombra quale ruolo abbiano avuto gli spazi e le culture della violenza a livello regionale nel processo di radicalizzazione della violenza studentesca. In particolare manca ancora uno studio comparativo di storia sociale che riguardi i comportamenti militanti degli attori studenteschi nel periodo tra le due guerre. (6) Questo è il tema che affrontiamo nel presente numero di «Storia e regione / Geschichte und Region», partendo dal presupposto che la prima guerra mondiale e la sua pesante eredità abbiano influenzato un'intera generazione di studenti, principalmente dell'Europa centrale e orientale, danneggiando le loro coscienze, rappresentazioni e progetti di vita. (7)

Esaltazione per la guerra, fame e ristrettezze, crollo dell'ordine nel 1918/19, rovesciamento e cambiamento della gerarchia di valori, disordini sociali, crisi economica, presunta minaccia del bolscevismo, crescente antisemitismo e, infine, angoscia per un incerto futuro: tutte queste sono le parole chiave per misurare l'orizzonte esperienziale degli studenti nel periodo tra le due guerre. L’ascesa di partiti o movimenti fascisti e patriottico-nazionalisti fu un fenomeno transregionale e la sua consistenza fu dovuta non da ultimo all’apporto degli studenti, che fin dall’inizio confluirono in questi milieu di opposizione. Da un lato ciò può essere interpretato come conseguenza del lungo processo di militarizzazione che era stato avviato all'interno della gioventù europea già allo scoppio della prima guerra mondiale. (8) Dall’altro lato, tuttavia, i livelli di radicalizzazione e di disponibilità all’impegno nella militanza politica ̶  in particolare l’estrema disponibilità dopo il 1918 all’uso della violenza come espressione politica  ̶  sono per molti aspetti fenomeni nuovi, senza precedenti. L’autonoma mobilitazione dei giovani universitari  europei assunse toni sempre più radicali, spesso violenti, e contribuì notevolmente a connotare la Kriegsjugendgeneration. (9)

I contributi raccolti in questo numero cercano di colmare la lacuna di cui s’è fatto cenno indagando con prospettiva critica e analitica la dimensione regionali degli spazi e delle culture di violenza tra gli studenti. (10) Il volume quindi non si limita ad assumere una prospettiva regionale, esplorando specificamente lo spazio in cui viene esercitata la violenza, ma focalizza anche per la prima volta un gruppo di attori sinora trascurato dalla ricerca e che va invece considerato, sulla base degli studi più aggiornati, una componente essenziale dei collettivi radicali e pertanto un “motore della violenza”. In tal modo i precedenti studi sui Freikorps operanti in Polonia e nel Baltico, sullo squadrismo italiano, sulla Sturmabteilung (SA) nazionalsocialista oppure sulla “Guardia di Ferro” in Romania vengono integrati attraverso l'importante fattore costituito dalla militanza e dal radicalismo dei giovani universitari. Inoltre, tale prospettiva richiede ovviamente l'ausilio di fonti di ricerca sinora poco o per nulla considerate, grazie alle quali si possono aprire nuove questioni relative alla violenza universitaria o politica.

La prospettiva regionale degli autori e delle autrici è sostanzialmente focalizzata su quegli studenti europei tra le due guerre che manifestarono le loro richieste, preoccupazioni, opinioni politiche non solo attraverso la protesta verbale o scritta, ma anche attraverso un consapevole uso della violenza, intesa come mezzo per realizzare i loro obiettivi nazionali o politici. (11)

In primo piano sta ovviamente la questione di come le condizioni e le specificità regionali potessero accelerare o rallentare un processo di radicalizzazione e quali specifiche culture di violenza agissero nei diversi spazi regionali di violenza. A tal fine si è fatto riferimento al concetto di “violenza politica” che comprende sostanzialmente tutte le forme di violenza fisica, attuate quasi sempre collettivamente, che venivano dirette contro avversari politici (individui, gruppi, lo stesso stato) o che comunque all’interno di un processo comunicativo venivano indicate come politiche. Tale criterio si rivela adatto per due ragioni: da un lato la violenza fisica è facilmente identificabile; dall’altro esso offre possibilità di comparazione sincronica e diacronica. (12) Heinrich Popitz e Randall Collins hanno già sottolineato inoltre come fondamentalmente tutti gli uomini dispongano del potenziale adatto per l'azione violenta, come la violenza possa fondare o esprimere anche ordine e risulti connessa a significati e rappresentazioni culturali, codificandosi in relazione a specifici obiettivi e situazioni. (13)

In questo senso la violenza rappresenta sempre un atto comunicativo che, a sua volta, può richiamare segnali di connessione tra diversi attori. In altre parole, la violenza studentesca trattata in questo volume è una pratica sociale connessa e connettente, fondata sulla comunicazione e sullo spazio, che crea ordini e sistemi di significato, che si colloca in ambienti interni o esterni all’università e che, inoltre, si serve di diverse reti di comunicazione universitarie e sociali. (14)

La serie dei contributi è aperta da Dmitar Tasić che analizza il ruolo degli studenti radicalizzati nei Balcani e segnala diversi processi di mobilitazione politica violenta e di paramilitarismo anche precedenti la prima guerra mondiale. (15) Il crescente sviluppo delle istituzioni scolastiche nel neonato Regno dei serbi, croati e sloveni nonché l’ampliarsi delle opportunità di studiare all'estero furono fattori che favorirono dopo il 1918 la mobilitazione e addirittura la radicalizzazione dei giovani universitari nella lotta per l'indipendenza della Macedonia. A Vienna studiarono due macedoni, Georgi Bazhdarov e Nikola Velev, che per primi fondarono la Macedonian Youth Secret Revolutionary Organization (MYSRO). È interessante che il nucleo della nuova organizzazione giovanile fosse stato stabilito all'estero, da dove venivano mantenuti contatti in tutta l’area dei Balcani: il risultato fu una rete clandestina ben organizzata di cellule di cinque membri l’una, formate esclusivamente da studenti e studentesse macedoni estremamente determinati e radicalizzati. Il caso di studio del MYSRO analizzato da Tasić è particolarmente importante per la ricerca: nell’esempio balcanico risulta infatti evidente lo stretto legame tra le forme tradizionali di militanza armata e terroristica e i nuovi aspetti dell’aggregazione e della mobilitazione politica del dopoguerra. Fattore aggregante dei singoli membri e delle cellule che agivano in diversi paesi europei (spingendosi fino all’omicidio) era l’acceso sentimento di comunità nazionale e questo favorisce l'impressione che gli studenti si ispirassero alle numerose organizzazioni segrete diffuse a metà Ottocento. Gli esempi dell’Internal Macedonian Revolutionary Organization (IMRO) e del MYSRO fanno luce, inoltre, sul grado di resistenza del nuovo regno jugoslavo (e dello scenario balcanico in generale). Questa circostanza certamente ebbe un peso anche sulle strategie d'azione degli studenti macedoni, che dovettero temere una assimilazione violenta, così da privilegiare le azioni terroristiche rispetto al paramilitarismo più strutturato del periodo prebellico. (16) 

Con l'esempio del Freikorps Epp, Florian Schreiner si occupa della militanza studentesca all’interno di gruppi paramilitari. Quest’organizzazione paramilitare reclutava in gran parte studenti iscritti nel 1919/20 alle università di Würzburg ed Erlangen. Appartenenti alla Kriegsjugendgeneration, essi non avevano potuto partecipare direttamente alla prima guerra mondiale. Cercarono di compensare tale carenza, che avvertivano profondamente, attraverso gli scontri fisici sia sul confine orientale tedesco che sulle strade e piazze europee. Schreiner indaga le specifiche motivazioni della militanza degli studenti nel contesto del Freikorps Epp, una formazione che svolse un ruolo importante nella soppressione della Räterepublik (Repubblica dei Consigli) di Monaco nell’aprile/maggio del 1919.

Juliane Deinert affronta un genere molto diverso di violenza studentesca, esaminando il radicalismo degli studenti nazionalsocialisti tra il 1930 e il 1934 sull'esempio dell’Università di Rostock. Il contributo mette in luce come i giovani nazionalsocialisti non si siano limitati solo a denunciare i loro docenti, ma abbiano fatto ricorso anche ad aggressioni fisiche. Una delle cause della radicalizzazione viene individuata dalla Deinert nella paura di un declassamento sociale, percepita con crescente angoscia da gran parte degli universitari. Fu questo clima a favorire la militanza tra gli studenti, decisamente orientati a perseguire i loro obiettivi usando forme sempre più aggressive di protesta o addirittura di violenza. (17) In questo senso può esserci un nesso tra il vissuto delle culture giovanili e il successo che il combattivo attivismo nazionalsocialista fece registrare proprio nel Meclemburgo e nell'ambiente piccolo-borghese dell'università di Rostock. Alla fine questi studenti radicalizzati avrebbero contribuito a influenzare lo sviluppo e la politica del Land grazie alla loro posizione sociale, nella quale progredirono beneficiando delle esperienze militanti e radicali che avevano acquisito a livello locale.

Mentre i contributi di Tasić, Schreiner e Deinert affrontano, pur con diverse prospettive, la fase “rivoluzionaria” dei movimenti studenteschi radicali, quelli di Irene Bolzon e Simone Duranti esaminano il ruolo avuto degli studenti successivamente alla presa del potere. Nei loro contributi indagano la questione di che cosa sia avvenuto della componente “rivoluzionaria”  ̶  nella quale gli studenti si erano spesso profondamente immedesimati o che avevano addirittura contribuito ad accelerare  ̶  non appena il consolidamento dei rapporti di potere (ovvero la “normalizzazione” per usare un concetto fascista) ebbe represso l’originario impulso rivoluzionario. (18) L’approccio è storiograficamente interessante già solo per il fatto che i due esempi del rapporto tra attivismo studentesco e movimento fascista si riferiscono entrambi a zone di confine: la città di Trieste e la provincia di Trento. Si tratta dunque delle “terre irredente” che la propaganda aveva celebrato quali sacri obiettivi nazionali dell’intervento nella prima guerra mondiale. Esse rappresentano quindi “laboratori di ricerca” privilegiati per indagare le modalità del passaggio, nell’arco del ventennio di dittatura, da “terre irredente” a “terre fasciste”. In questo contesto la Bolzon si concentra sulle biografie di studenti triestini dall’immatricolazione sino alla fine della parabola fascista nel 1945, prestando particolare attenzione alla complessa interazione tra aspirazioni personali, carriere professionali e habitus all’interno di un contesto spazialmente limitato.

L’esempio triestino rivela un interessante paradosso. Benché la città di Trieste fosse stata sin dall’inizio una delle roccaforti locali del movimento fascista e l’età media dei funzionari fosse estremamente bassa, il processo di istituzionalizzazione si svolse in modo insolitamente precoce e la generazione più giovane si sforzò di ricavarvi o consolidarvi propri spazi autonomi. Sulla base dei percorsi biografici analizzati, l’autrice riesce a ricostruire la storia di questi “giovani combattenti” per tutta la durata del regime fascista, delineandone sia gli adeguamenti al mutare del contesto politico, sia alcuni tratti di continuità degli orientamenti originari. Come emerge dalle divergenti (ma complementari) carriere di Carlo Perusino e dei fratelli Forti, la militanza studentesca nei gruppi d’azione rappresentò il punto di partenza per strategie sociali e percorsi politici estremamente differenziati.

Simone Duranti si rifà invece all'esempio dei Gruppi universitari fascisti (GUF) delle province di Trento e Bolzano per esaminare gli intensi sforzi compiuti dal regime fascista per ottenere il controllo sui movimenti giovanili militanti. Fondata nel 1925, la sezione trentina dei GUF rimase caratterizzata da costanti carenze e difficoltà economiche e organizzative. Ciò appare in netto contrasto con le iniziali promesse di investimenti rivolte dal regime a questa regione di confine, soprattutto dopo la creazione nel 1927 della provincia di Bolzano (ancor più “di confine” e in maggioranza tedesca). Il tal modo il contributo di Duranti si inserisce nell’importante questione, apertasi già da alcuni anni, relativa alla discrepanza tra gli obiettivi proclamati a livello ideologico e l’effettivo sostegno materiale che il regime riuscì a mettere a disposizione per la loro realizzazione. (19)

Nonostante le carenze materiali, i compiti ufficiali dei GUF trentini erano la sorveglianza dei confini nazionali e la difesa da tutti gli influssi esterni, una “missione” che, almeno a livello formale, fu presa molto sul serio dai funzionari dei GUF. Ovviamente un tale attivismo di confine poteva rivelarsi anche controproducente. Basti pensare ai rapporti già di per sé tesi e complicati con la vicina Austria e, dopo l’Anschluss del 1938, con il Reich nazista. Ovviamente le azioni di questo raggruppamento regionale erano in grado di svolgere un ruolo non irrilevante nella politica culturale all’estero dell'Italia fascista.

Il contributo di Duranti fornisce per la prima volta importanti conoscenze sull'effettiva attuazione dell'ideologia fascista nelle organizzazioni studentesche a livello locale. Nonostante il grande investimento ideologico da parte del fascismo nelle zone di confine di Trento e Bolzano, sul piano culturale e politico le attività dei GUF non eccellevano per dedizione e attivismo. Eppure vi si rivela chiaramente anche il relativo successo ottenuto da parte del regime nel gestire l’impegno militante e il cameratismo dei giovani fascisti, assegnando gli studenti universitari al pattugliamento dei confini, attività nella quale avrebbero potuto sperimentare la presunta consapevolezza di difendere la propria patria dalle minacce del nemico e, allo stesso tempo, prepararsi ai futuri impegni bellici. In tal modo il regime rispose a un’esigenza giovanile che si può riscontrare ampiamente nella generazione studentesca tra le due guerre, che a partire dal 1918/19 fu reclutata in tutt’Europa nelle organizzazioni paramilitari di tipo patriottico-nazionalista o fascista.

Mentre il mito e la memoria dello squadrismo italiano continuarono a rimanere confinati nella retorica di volantini e opuscoli, i giovani combattenti dei GUF si esaltarono per le guerre fasciste in Etiopia e in Spagna. Come mostra il contributo di Bolzon, è evidente il passaggio di testimone dalla “vecchia guardia” (le prime camicie nere) alla nuova generazione.

Militanza studentesca, spazi regionali di violenza e lungo periodo: la triplice prospettiva di questo numero tematico vuole aprire un ampio scorcio sul reale vissuto delle culture giovanili tra le due guerre, nel quale interagiscono e spesso si sovrappongono molteplici identità. Gli attori su cui si concentrano i contributi degli autori e delle autrici sono tutti, in varia misura, espressione di quella che la ricerca indica comunemente come Kriegsjugendgeneration. Febbrile irrequietezza, fredda determinazione ed estrema disponibilità alla violenza: questi sembrano essere i tratti dominanti di una generazione che, dopo il 1918, impegnò ogni forza nel raggiungimento di obiettivi controrivoluzionari, di difesa dei confini o terroristici e che assunse la violenza politica come legittimo mezzo di espressione.

Alcuni di questi giovani condussero le loro battaglie nell’immediato dopoguerra sulle strade e piazze delle città europee, altri invece crebbero nel mito e nella memoria dei loro predecessori: pochi anni di differenza potevano determinare esperienze identitarie completamente diverse. In entrambi i casi, però, si rivela quanto grande sia stato l’investimento ideologico e politico sulla gioventù da parte dei vari movimenti nazional-patriottici o fascisti, messo in atto attraverso una sintesi di impulsi rivoluzionari e di misure di controllo.

 

 

NOTE

 

1.      Richard Bessel, Germany after the First World War, Oxford 1993, p. 283. Cfr. anche Robert Gerwarth, Im „Spinnennetz“. Gegenrevolutionäre Gewalt in den besiegten Staaten Mitteleuropas. In: IDEM/John Horne (a c. di), Krieg im Frieden. Paramilitärische Gewalt in Europa nach dem Ersten Weltkrieg, Göttingen 2013, pp. 108–133.

2.      Robert Gerwarth/John Horne, Vectors of Violence: Paramilitarism in Europe after the Great War 1917–1923. In: The Journal of Modern History 83 (2011), 3, pp. 489–512; Martin Conway/Robert Gerwarth, Revolution and counter-revolution. In: Donald Bloxham/Robert Gerwarth (a c. di), Political Violence in Twentieth-Century Europe, Cambridge 2011, pp. 140–175.

3.      Dirk Schumann, Europa, der Erste Weltkrieg und die Nachkriegszeit: eine Kontinuität der Gewalt? In: Journal of Modern European History 1 (2003), 1, pp. 24–43; Robert Gerwarth, The Central European Counter-Revolution: Paramilitary Violence in Germany, Austria and Hungary after the Great War. In: Past & Present 200 (2008), pp. 175–209.

4.      Ulrich Herbert, „Generation der Sachlichkeit“. Die völkische Studentenbewegung der frühen zwanziger Jahre in Deutschland. In: Frank Bajohr/Werner Johe/Uwe Lohalm (a cura di), Zivilisation und Barbarei. Die widersprüchlichen Potentiale der Moderne. Detlev Peukert zum Gedenken (Hamburger Beiträge zur Sozial- und Zeitgeschichte 27), Hamburg 1991, S. 115–144; Michael Wildt, Generation des Unbedingten. Das Führungskorps des Reichssicherheitshauptamtes, Hamburg 22008, S. 46–71.

5.      Matthew N. BUCHOLTZ, Kamerad or Genosse? The Contested Frontkämpfer Identity in Weimar Revolutionary Politics. In: Chris MILLINGTON/Kevin PASSMORE (a c. di), Political Violence and Democracy in Western Europe 1918–1940, Basingstoke 2015, pp. 48–61; Sven REICHARDT, Faschistische Kampfbünde. Gewalt und Gemeinschaft im italienischen Squadrismus und in der deutschen SA, Köln 22009, pp. 386 e seg.; cfr. inoltre lo studio di Mario PIAZZESI, Diario di uno squadrista toscano, Roma 1981.

6.      Per il concetto di spazi di violenza si veda Jörg BABEROWSKI, Einleitung: Ermöglichungsräume exzessiver Gewalt. In: DERS./Gabriele METZLER (a c. di), Gewalträume. Soziale Ordnungen im Ausnahmezustand, Frankfurt a. M. 2012, pp. 7–27.

7.      Tali caratteri si ritrovano solo sporadicamente negli studenti scandinavi o dell’Europa occidentale, soprattutto perché questi Stati uscirono dalla guerra da vincitori e pertanto non furono coinvolti da cambi di governo, disordini politici o cessioni territoriali. Cfr. Martin GÖLLNITZ, Tysk grænsekamp i København. De nordslesvigske akademikeres nationalpolitiske rolle i 1920’erne og 30’erne. In: Sønderjyske Årbøger (2018), pp. 117–133; Palle ROSLYNG-JENSEN, Danske studenter og nazismen 1933–46. In: Niklas OLSEN/Karl Christian LAMMERS/Palle ROSLYNG-JENSEN (a c. di), Nazismen, universiteterne og videnskaben i Danmark, Kopenhagen 2015, pp. 59–94; Matthias SCHÜTH, Englands politische Universitätsjugend 1931–1940. Ein Beitrag zur Erforschung politischer Kollektivmentalitäten im Europa der dreißiger Jahre, Münster 2001; Sonja LEVSEN, Elite, Männlichkeit und Krieg. Tübinger und Cambridger Studenten 1900–1929, Göttingen 2006.

8.      Si veda ad es. Manfred BOEMEKE/Roger CHICKERING/Stig FÖRSTER (Hrsg.), Anticipating Total War: The German and American Experiences, 1871–1914, Cambridge 1999; Catia PAPA, L’Italia giovane dall’unità al fascismo, Roma 2013; John SPRINGHALL, Youth, Empire and Society: British Youth Movements, 1883–1942, London 1977.

9.      Sulla Kriegsjugendgeneration si veda il fondamentale studio di Robert WOHL, The Generation of 1914, Cambridge [Mass.] 1979.

10.  Su questo cfr. Oliver AUGE/Martin GÖLLNITZ (a c. di), Radikale Überzeugungstäter? Studentische Gewalt im 19. und 20. Jahrhundert. In: Jahrbuch für Universitätsgeschichte 21 (2019); Pieter DHONDT/Elizabethanne BO-RAN (a c. di), Student Revolt, City, and Society in Europe. From the Middle Ages to the Present (Routledge Studies in Cultural History 52), New York 2018; Lieve GEVERS/Louis VOS, Student Movements. In: Walter RÜEGG (a c. di), A History of the University in Europe, Bd. 3: Universities in the Nineteenth and Early Twentieth Centuries (1800–1945), Cambridge 2004, pp. 269–361.

11.  Per un confronto tra studenti britannici e tedeschi cfr. Sonja LEVSEN, Eliten am Scheideweg. Kriegsbilder und Rollenvorstellungen deutscher und britischer Studenten nach dem Ersten Weltkrieg. In: Jörg ECHTERNKAMP (a c. di), Perspektiven der Militärgeschichte. Raum, Gewalt und Repräsentation in historischer Forschung und Bildung, München 2010, pp. 239–250.

12.  Donatella DELLA PORTA, Research on Social Movements and Political Violence. In: Qualitative Sociology 31 (2008), 3, pp. 221–230; Dirk SCHUMANN, Gewalt als Grenzüberschreitung. Überlegungen zur Sozialgeschichte der Gewalt im 19. und 20. Jahrhundert. In: Archiv für Sozialgeschichte 37 (1997), pp. 366–386, qui p. 372 sgg.

13.    Heinrich POPITZ, Phänomene der Macht, Tübingen 21992, p. 50; Randall COLLINS, Entering and Leaving the Tunnel of Violence: Microsociological Dynamics of Emotional Entrainment in Violent Interactions. In: Current Sociology 61 (2012), pp. 132–151.

14.    Cfr. Klaus WEINHAUER/Dagmar ELLERBROCK, Perspektiven auf Gewalt in europäischen Städten seit dem 19. Jahrhundert. In: Informationen zur modernen Stadtgeschichte (2013), 2, pp. 5–20, qui p. 11.

15.    Cfr. inoltre John Paul NEWMAN, Yugoslavia in the Shadow of War: Veterans and the Limits of State Building 1903–1945, Cambridge 2015; IDEM., The Origins, Attributes, and Legacies of Paramilitary Violence in the Bal-kans. In: Robert GERWARTH/John HORNE (a c. di), War in Peace. Paramilitary Violence in Europe after the Great War, Oxford 2012, pp. 145–163; Uğur ÜMIT ÜNGÖR, Paramilitary Violence in the Collapsing Ottoman Empire. In: GERWARTH/HORNE (a c. di), War in Peace, pp. 164–182.

16.   Cfr. Luigi BONANATE, Some Unanticipated Consequences of Terrorism. In: Journal of Peace Research 16 (1979), 3, pp. 197–211.

17.  Per ulteriori esempi regionali cfr. tra gli altri Martin GÖLLNITZ, Der Student als Führer? Handlungsmöglichkeiten eines jungakademischen Funktionärskorps am Beispiel der Universität Kiel (1927–1945), Ostfildern 2018, pp. 103–124; IDEM, Völkische Opposition und politische Gewalt an den Hochschulen 1930/31: Die Angriffe auf Otto Baumgarten und Walther Schücking. In: Zeitschrift für Geschichtswissenschaft 67 (2019), 1, pp. 27–42; Christian SAEHRENDT, Studentischer Extremismus und politische Gewalt an der Berliner Universität 1918–1933. In: Jahr-buch für Universitätsgeschichte 9 (2006), pp. 213–233.

18.   Cfr. Matteo MILLAN, The Institutionalisation of Squadrismo: Disciplining Paramilitary Violence in the Italian Fascist Dictatorship. In: Contemporary European History 22 (2013), 4, pp. 551–573.

19.  La tematica è stata già ampiamente trattata nella storiografia; si riportano solo alcuni esempi che riflettono differenti posizioni: Emilio GENTILE, La via italiana al totalitarismo, Roma 2008; Paul CORNER, Italia fascista: politica e opinione popolare sotto la dittatura, Roma 2015; Richard J.B. BOSWORTH, Everyday Mussolinism: Friends, Family, Locality and Violence in Fascist Italy. In: Contemporary European History 14 (2005), 1, pp. 23–43.