Presentazione del libro “L’ultima anguàna” di Umberto Matino

Libreria Blu Libri di Rovereto (Via Portici)

Venerdì 25 novembre 2011 – ore 18.00

 

Libreria Blu Libri - Rovereto

 

 

IL «CASO MATINO» E L’ULTIMA ANGUÀNA

 

di Roberto Antolini

 

 

Umberto Matino è un caso interessante di letteratura veneta contemporanea. Affermato ingegnere di Schio, ma di origini pugliesi, ha scritto nel 2009 “La valle dell’Orco”, un romanzo giallo, anzi gotico (dove la paura assume una veste arcaica, con un filo di irrazionalità), ambientato sulla montagna vicentina di antiche origini “cimbre” (zona del Pasubio e delle Piccole Dolomiti). Ed è stato un incredibile successo “popolare”: ha venduto oltre 10.000 copie, proprio nelle zone dove il libro era ambientato. Ricordo di aver girato le edicole di Valli del Pasubio e Recoaro sentendomi ripetere «spiacenti il libro è esaurito, siamo in attesa della ristampa». Un caso esemplare del riposizionamento “locale” della letteratura ed editoria italiana, in corso da quando il costo del “fare libri” si è abbassato grazie all’informatica, e sono potuti spuntare più o meno dappertutto editori locali, che hanno aperto le porte ad autori locali, qualcuno dei quali in grado di affermarsi.

Ma cosa ha spinto i moderni eredi dei “cimbri” a buttarsi su questo romanzo? Il fatto che Matino – da buon immigrato di seconda generazione – ha guardato alla realtà locale con occhio indagatore, alla ricerca di spiegazioni del presente nel passato. Così scoprendo le antiche radici cimbre (cioè germaniche) degli insediamenti fra la zona degli Altipiani (Lavarone e Asiago) e la Lessinia, dando loro una raffigurazione artistica e rivelandole in questo modo a tutta la popolazione, che se ne era scordata, ma che era alla ricerca di “radici”.

 

Ora ci riprova, con "L’ultima anguàna" (Foschi 2011, € 16,00), un altro giallo, ma non una ripetizione. Se nel libro precedente Matino riscopriva la dimensione etnico-arcaica, in questo racconta – sempre sul filo della suspense, che tiene il lettore incollato alla pagina – il tramonto della civiltà contadina nei primi decenni della seconda metà del XX secolo, giocando sulle 3 “epoche” nelle quali si sviluppa la trama : il primissimo dopoguerra, il 1956 ed il 1968. Una vera epopea del modo contadino, ma senza nostalgie regressive: «Le norme di igiene per la conduzione di allevamenti, imposte ormai sull’intera montagna veneta, avevano fatto scomparire bestie e persone. Le stalle famigliari erano state chiuse, i piccoli pascoli abbandonati e assieme ai mosconi era volata via una civiltà millenaria».

La storia è ambientata nella valletta appartata di Posina (per i trentini: da Rovereto, dopo la Valle di Terragnolo, al di là del Passo della Borcola) luogo dove si mangiano i migliori gnocchi di patate dell’intero arco alpino (posso garantire di persona!). Un territorio che – così lo descrive Matino - «con la sua separatezza dal mondo circostante e i suoi boschi selvaggi, con le piccole case di pietra e la fitta ragnatela di masiere e sentieri, forma un microcosmo unico e incantato». Ma di incanti non si vive, e dopo la fine della guerra, che tante speranze aveva suscitato per poi deluderle, l’unica possibilità sembra l’emigrazione. In questo contesto scompaiono tre giovani, da principio supposti emigrati in Francia, ma la ricerca del destino dei quali, attraverso gli anni ’50 e ’60, dà corpo alla storia de L’ultima anguàna. Che simbolicamente si avvierà a trovare soluzione con il crollo di un antico mulino, già da tempo pericolante, dovuto ad un lieve sisma nel 1968. Eh sì, di quanti “sismi” è fatta la Storia!

 

Umberto Matino (Schio 1950)