Renato Mazzoni (Rovigo 1897-Treviso 1958), dopo una lunga attività presso la questura di Venezia, alla fine del 1947 fu nominato questore di Bolzano, dove rimase per un decennio. Nel dicembre del 1957, un anno particolarmente “caldo” sotto il profilo dell'ordine pubblico (coda degli attentati del “gruppo Stieler”, processi, manifestazione di Castelfirmiano etc.), fu posto a disposizione del Ministero dell’Interno con la qualifica di ispettore generale. A Bolzano Mazzoni si era fatto conoscere per le sue capacità di comprensione della difficile situazione locale nonché di equilibrio nell’azione di controllo dell’ordine pubblico. Il suo brusco allontanamento dall’Alto Adige lasciava trasparire un chiaro intento punitivo, nella logica della facile ricerca di un “capro espiatorio” di fronte alle reazioni della stampa e opinione pubblica italiana. Di certo la questura di Bolzano perdeva, nell’imminenza di una fase sempre più complessa, l’esperienza decennale acquisita da Mazzoni.

Nel marzo dello stesso anno il questore aveva inviato una lunga lettera al ministro degli interni Fernando Tambroni, che lo aveva invitato a esporre le proprie opinioni riguardo all’escalation della tensione in provincia. La lettera, pubblicata solo nel 1989, è un raro esempio di radicale critica alla politica sino ad allora tenuta dalle istituzioni italiane verso la minoranza tedesca.

Destinato, nel settembre 1958, alla questura di Treviso, Mazzoni si tolse la vita con un colpo di pistola nel dicembre dello stesso anno.

Nel 2010 la Città di Bolzano ha dedicato al questore una piazzetta (Piazzetta questore Renato Mazzoni, sul lato destro del fiume Talvera, appena prima di Ponte Druso). c.r.

 

 

 

Da: Calzà Klebelsberg, Alexandra, “I Dableiber dopo il settembre 1943”,In: “Il Cristallo. Rassegna di varia umanità”, anno XXXI, n. 3 (dic. 1989), pp. 23-24.

 

17 marzo 1957

 

Signor Ministro

Lei mi chiede in una nota riservata, di esporle “senza reticenze e per intero” il mio pensiero circa la situazione che è venuta maturandosi in Alto Adige a seguito dei recenti noti fatti, al fine di individuare eventuali mancanze di parte italiana.

Dal momento che il mio pensiero “senza reticenze e per intero” io l'ho sempre espresso in ogni mia relazione inviata sia tramite il Vice Commissariato del Governo, sia tramite gli Organi gerarchici de1la Polizia e del Ministero degli Interni, potrei a questo punto chiudere la mia lettera, ma la Sua cortesia mi impedisce di esserLe in debito, per cui brevemente Le riassumerò il mio pensiero. Non parlerò di fatti o di uomini già ampiamente illustrati in precedenti informative.

Penso che il tutto sia derivato da una grave carenza culturale, quindi miopia politica della classe dirigente trentina, la quale non avendo capito quale strumento prima culturale e poi amministrativo per una pacifica convivenza in Regione fosse lo Statuto di Autonomia, ha perso un'occasione storica per dimostrare all'Europa la possibilità di una libera, civile, democratica convivenza fra due gruppi etnici, in un ambito territoriale definito.

Altrettanto anticulturale il considerare decadente folclore ogni manifestazione della vita sudtirolese, rifiutandosi di comprendere come la etnicità non sia soltanto lingua ma anche dialetto, usi, costumi, tradizioni, quindi tutto quello che ci giunge dal passato.

Il definire“civiltà della Stube” tale tipo di etnicità dimostra solo arroganza e demagogica contrapposizione di una presunta superiorità della civiltà latina nei confronti di ogni altra differente manifestazione di vita. Il sistematico rifiuto alla comprensione, ignoranza della lingua tedesca da parte di uomini politici, magistrati, alti funzionari dello Stato, ha creato una impenetrabile barriera alla comprensione delle esigenze etniche del gruppo minoritario.

Per quanto mi concerne ho considerato parte primaria della mia professionalità l’imparare la lingua tedesca, che mi ha dato una delle chiavi di lettura dell’animo sudtirolese,-conquistando così la stima e la fiducia non solo dei politici ma soprattutto della popolazione.

In questa sua opera anticulturale e antistorica la classe dirigente trentina ha trovato potenti alleati nei circoli nazionalisti alto-atesini, annidati in tutti i partiti e con particolare potenza nella Democrazia Cristiana, e nell'apparato burocratico dello Stato, ad ogni livello a Roma come a Bolzano.

Non va sottaciuta nemmeno l'opera deleteria della stampa. “L'ALTO ADIGE”, diretto da concetti mercantilistici, ha trovato facile, sia per le sovvenzioni romane che per le vendite, battere la grancassa nazionalistica, incurante del male che avrebbe arrecato soprattutto per la difesa di quegli interessi che intendeva tutelare.

Per quanto riguarda l’insegnamento della lingua tedesca, dovrebbe essere compito primario e prioritario dello Stato. In questo momento in Alto Adige sta crescendo una generazione di italiani che non conoscono la lingua tedesca e non saranno in grado nemmeno in futuro di apprenderla.

Penso a mio figlio e a quelli che dopo di lui verranno, i quali oltre a non comprendere i loro coetanei di lingua tedesca, non saranno nemmeno competitivi con gli stessi nel trovare occupazione non solo nella burocrazia, ma in ogni altra arte o mestiere. Lo Stato deve al più presto porre ogni possibile serio rimedio a tale situazione.

Nella mente di Degasperi e in coloro che in rappresentanza del gruppo etnico tedesco accettarono lo Statuto, la Regione avrebbe dovuto avere compiti puramente legislativi, delegando ogni competenza amministrativa (art. 14) alle due province.

La pretesa da parte della classe politica trentina di metter sotto tutela il gruppo etnico italiano in funzione anti-tedesca e per una rivalsa prettamente provincialistica, quale riparazione di presunti torti subiti nel ventennio, ha ulteriormente aggravato la situazione.

Parlare del gruppo etnico italiano in Alto Adige in termini di minoranza etnica è, prima di essere un'eresia linguistica, un errore politico, in quanto gli italiani dell'Alto Adige sono parte integrante della nazione italiana. Il compito della loro tutela risiede nel presidio delle leggi dello Stato e non da parte della maggioranza italiana della provincia di Trento.

Altro errore di aver personalizzato la Regione “La Regione si chiama Odorizzi”, mentre era facile capire che la Regione è un complesso umano, prima che legislativo, fatto di storia, di tradizioni, di comuni sventure, e, in una parola, del retaggio dei nostri padri.

Fatale è stato quindi che il gruppo etnico tedesco si sentisse tradito nelle sue aspirazioni ad una vera autonomia e che quindi facesse risuonare lo slogan “Los von Trient”.Si badi bene che “Los von Trient”, non vuole ancora dire “Los von Rom” se con alta intelligenza politica si vorranno riannodare i fili del dialogo e ricondurre tutto il problema nella sua naturale sede che è una profonda revisione dello statuto che dia certezza legislativa e amministrativa alle aspirazioni della minoranza etnica tedesca e che nel contempo secondo giustizia e non con “italica furberia” assicuri l'avvenire anche agli italiani dell'Alto Adige e ai loro figli in una rinnovata pace etnica e sociale.

Mi preme esprimerle però il mio profondo timore che sotto l'incalzare degli eventi, l'internazionalizzazione del problema atesino, il non coordinamento operativo dei vari corpi dello Stato, anzi la loro gelosa contrapposizione, il ricatto nazionalistico nei confronti di Roma di ben individuati circoli trentini e altoatesini, gli errori di valutazione politica da parte della S.V.P., i tentativi sempre mal riusciti di dividere la S.V.P. attraverso sovvenzioni a uomini e istituzioni screditate, peggioreranno ulteriormente la situazione, e quando gli eventi che fanno storia costringeranno lo Stato al “redde rationem”, si travalicherà dal giusto per concedere alle aspirazioni etniche oltre il dovuto, in modo che la situazione del gruppo etnico italiano che si voleva furbescamente tutelare attraverso giuridiche scappatoie, ne risulterà ulteriormente aggravata e purtroppo non sarà la nostra generazione a pagarne lo scotto, ma quella che verrà.

Signor Ministro, concludo offrendo a Lei la mia completa disposizione quale Poliziotto al servizio dello Stato per tutto ciò che mi sarà consentito di fare.

Ho sempre saputo che il servizio dello Stato comporta anche il saper accettare il sacrificio di personali posizioni, tuttavia intendo affermare che se dovesse presentarsi questa evenienza come in alti drammatici momenti, la mia vita pubblica e privata, la linea di condotta da seguire, mi sarà dettata unicamente dalla mia coscienza, ultimo tribunale di ogni mio agire.

Nell’intima certezza del dovere compiuto, cordialmente La saluto

F.to Mazzoni -Questore

 

 

Da: “La Stampa” 29.12.1958, p.3

 

Si è suicidato il Questore di Treviso

Dopo la morte della moglie non aveva più trovato serenità. Accanto al cadavere, scoperto in un viale che porta al cimitero, una rivoltella

 

Treviso, lunedì mattina, (s.)

Ieri mattina alle prime luci dell'alba un lattivendolo che percorreva il viale che dal Terraglio porta al Cimitero comunale, ha scorto riverso a terra il cadavere del dott. Renato Mazzoni, Questore della nostra città. Il riconoscimento della salma è avvenuto poco dopo da parte del vice-questore, dott. Marrone, e del Sostituto Procuratore della Repubblica, dott. Trotta, prontamente accorsi sul posto. Il dott. Mazzoni presentava alla tempia destra una ferita d'arma da fuoco prodotta da una piccola rivoltella che è stata rinvenuta poco discosto. Sabato sera fino alle 19 il Questore si era trattenuto in ufficio a conversare con i suoi funzionari; poi, come al solito, si era fatto accompagnare con una macchina fin nei pressi della stazione ferroviaria; qui aveva licenziato l'autista dicendo che preferiva raggiungere a piedi la propria abitazione, in attesa dell'ora di cena. Ma il dott. Mazzoni non rincasò. I suoi familiari, allarmati, informarono del fatto la Questura che iniziava le ricerche le quali dovevano purtroppo culminare ieri mattina con il ritrovamento del cadavere.

Il dott. Mazzoni aveva 61 anni ed era. nato a Rovigo. Era giunto a Treviso quale Questore il 23 settembre scorso, proveniente dal Ministero dell'Interno dove ricopriva l'incarico di ispettore generale. Durante, il brevissimo periodo di permanenza a Treviso egli si era fatto dovunque apprezzare per la squisitezza dei modi, il tatto e l'equilibrio di funzionario espertissimo e per la singolare bontà d'animo. Durante la carriera aveva ricoperto per parecchi anni importanti incarichi nella Questura di Venezia, dove era passato dalle funzioni di commissario al Compartimento ferroviario a quello di vice Questore vicario fino alla nomina, nel 1947, a Questore di Bolzano dove era rimasto parecchi anni e da dove era stato trasferito al Ministero dell'Interno e quindi a Treviso. La nuova residenza gli piaceva molto per la tranquillità delle popolazioni e per l'amenità dei luoghi. Un dolore però lo turbava: la perdita della propria moglie avvenuta durante la permanenza a Bolzano: né l'amore del figliuolo Mariano, laureando in ingegneria all'Università di Padova, riusciva a lenire lo sconforto. Agli amici qualche settimana fa aveva confessato la propria stanchezza e il desiderio di andare in pensione, giacché dopo la morte della consorte niente aveva potuto rasserenare la sua esistenza; ma nessuno dei più intimi avrebbe mai sospettato che il suo sconforto potesse condurlo ad un gesto così tragico.