Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Felice Balbo: un cattolico al “Politecnico” di Vittorini, in: "Il Cristallo”, Centro di Cultura dell’Alto Adige, anno XXIX (1987), n. 1, pp. 75-78.

 

 

 

 

FELICE BALBO: UN CATTOLICO AL "POLITECNICO"

 

di Carlo Romeo

 

 

Tra le numerose e prestigiose collaborazioni cattoliche al «Politecnico» di Vittorini (Giansiro Ferrata, Carlo Bo, Arturo Carlo Jemolo e altri) quella di Felice Balbo è senza dubbio la più interessante per la disponibilità, l'apertura e l'irrequietezza con cui il pensiero del filosofo torinese si applica, nel primissimo dopoguerra, al tentativo di rigenerare il marxismo, subordinandolo, come strumento di azione storica, a presupposti etici e religiosi. (1)

Balbo si era avvicinato al P.C.I. sin dal 1942, pur sostenendo fino al 1945 il fragile tentativo del «Movimento dei cattolici comunisti» di Franco Rodano. L’uomo senza miti (1945) testimonia tuttavia il precoce isolamento cui era destinato il suo percorso intellettuale. Scriverà nel 1951 ad Italo Calvino: «Non sono un ex-comunista per la semplice ragione che non sono mai stato comunista. Sono stato iscritto al P.C.I. perché aveva impostato la linea del Partito Nuovo, linea che avrebbe, se si fosse sviluppata, certamente condotto ad andare oltre il marxismo pur senza rifiutarlo... poi ho visto che ciò era impossibile.» (2)

La Lettera di un cattolico di Balbo, accolta in bella evidenza sulla prima pagina del 3° numero del «Politecnico», risponde all’invito che Vittorini aveva lanciato nell’editoriale Per una nuova cultura.

 

«Io mi rivolgo a tutti gli intellettuali che hanno conosciuto il fascismo. Non ai marxisti soltanto, ma anche agli idealisti, anche ai cattolici, anche ai mistici. Vi sono ragioni dell'idealismo o del cattolicesimo che si oppongono alla trasformazione della cultura in una cultura capace di lottare contro la fame e le sofferenze? Occuparsi del pane è ancora occuparsi dell’anima. Mentre non volere che occuparsi dell’anima lasciando a Cesare, di occuparsi come gli fa comodo del pane e del lavoro, è limitarsi ad avere una funzione intellettuale, e dar modo a Cesare, (o a Donegani, a Pirelli, a Valletta) di avere una funzione di dominio sull’anima, dell’uomo. Può il tentativo di far sorgere una nuova cultura che sia di difesa e non più di consolazione dell'uomo, interessare gli idealisti e i cattolici meno di quanto interessi noi?» (3)

 

Balbo, rispondendo «con gran gioia un sì», corregge al contempo l’impostazione fortemente dicotomica che Vittorini aveva dato al problema della cultura. Il punto di vista di Balbo non conosce fratture: «La belva entra solo nello Stato, nell’economia, nelle tecniche , nei servizi? Non entra essa, senza parole, senza tecniche, nel cuore dell'uomo? [...] Non è l’operaio disperato che fa la rivoluzione» (4)

Riguardo alla linea che Balbo assume sin dall’inizio nel «Politecnico» è significativo l'articolo L’altro pericolo, nel 10° numero, sul problema dell’invadenza della tecnologia nella vita dell’uomo moderno; vi è da parte di Balbo il tentativo di spostare l’attenzione dai termini della lotta di classe, per una riflessione «su un pericolo che nasce non dal falso rapporto tra tecnica e tecnica, ma da un malsano rapporto tra le tecniche nel loro complesso e l'uomo; un pericolo che potremmo chiamare dell'esteriorità meccanica e bruta». (5)

Non si tratta quindi - Balbo lo ribadisce più volte nel corso dell'articolo - del solo pericolo della reazione e per affrontarlo, sembra suggerire nel finale, occorrono strumenti nuovi:

 

«L’aver indicato e individuato ‘l’altro pericolo’, l’aver aperto la via a definire e analizzare questa malattia epidermica non significa evidentemente poter annullare la malattia e il pericolo. Ma certo significa dare la possibilità di circoscrivere l'epidemia, di ravvivare la tensione vitale dell'uomo, l’intimità creatrice del singolo e della società.» (6)

 

 

Puntuale giunge, nel mese seguente, l’“inevitabile” correzione allo spunto di Balbo; l’articolo di Antonio Giolitti Il pericolo è sempre lo stesso, pur concedendo la validità della puntualizzazione del problema, è perentorio nel ricondurlo a termini marxistici:

 

«Il malsano rapporto tra le tecniche e l’uomo non è un nemico che sorge improvviso, quasi per una malizia delle cose stesse: è il risultato di certi rapporti sociali, che vogliono essere modificati e che la reazione vuole conservare e irrigidire.» (7)

 

Giolitti ne intravede la causa in una determinata struttura della società, ma aggiunge che tale malattia può acquistare una sua autonomia, può svilupparsi per una dinamica intrinseca, determinare altre sovrastrutture, e influire sullo stesso fondamento economico-sociale:

 

«Allora può non bastare, a curare quelle malattie, a rinnovare quella cultura o quel costume, a trasformare quell’istituto, un’azione sul piano strettamente economico-sociale. Ed è giusto allora, contro il pericolo che minaccia da quella parte, l’appello a un’azione sul piano scientifico, morale e culturale». (8)

 

Giolitti non si accorge di ammettere la tesi che più stava a cuore a Balbo: l’esistenza, cioè, di una dimensione politica che sfugge ai parametri economico-sociali, l’esigenza di una soluzione e di un cambiamento culturale-esistenziale, molto simile alla «via dentro di noi» indicata da Carlo Bo, col quale aveva polemizzato Vittorini poche settimane prima (9).

La stessa esigenza di ampliare, in sede politica, parametri e metodologie abusate, è alla base dell'articolo Marxismo, uno solo, che fa seguito a un intervento di Karl Renner, presidente della Repubblica austriaca, sul «marxismo rigeneratore e marxismo amministratore». L’accento di Balbo va ancora sulla tensione umana per riemergere dalla formula, che non serve più, che è insufficiente, per costruire nuove formule (10). E termina coll’osservazione che «il piano comune sul quale la purezza rigeneratrice di tutti gli uomini può incontrarsi è dunque il piano sperimentale». (11)

Non c’è dubbio che quella «irregolarità», quella «ricerca del nuovo, del diverso» (12), di cui Mario Alicata e Palmiro Togliatti rimprovereranno le scelte di Vittorini, cominci a risaltare nell’economia degli articoli (e dei collaboratori) del «Politecnico». L’impostazione del giornale come “terreno di lavoro” (soprattutto nel «Politecnico» settimanale e cioè fino all’aprile del 1946) favorisce l’articolarsi del dibattito sulla «nuova cultura» con gli interventi e i contributi più disparati. Fondamentale è l’incontro della rivista con l'esistenzialismo di Sartre, suggellato dal gemellaggio con «Les Temps Modernes» (gennaio 1946).

La posizione dello stesso Vittorini è oscillante; discute con Bo sulle «due vie» (13), ma lo fa anche con Concetto Marchesi, sottolineando la dimensione “esistenziale” prima che sociale dell'educazione scolastica. (14)

Su questo sfondo «Il Politecnico» farà la sua scelta culturale. La sua corrente pragmatista, suggestionata da richiami esistenzialistici, sfuggirà sempre più alle ragioni ideologiche. La polemica con Togliatti e la conseguente “sconfessione” da parte del P.C.I. segnano, com’è noto, la fine della rivista. Felice Balbo rimarrà sino alla fine al fianco di Vittorini e anzi sarà proprio lui a stendere il fondo dell’ultimo numero (Cultura antifascista, dicembre 1947).

Dal bilancio fallimentare della cultura italiana contemporanea, Balbo esorta nel finale a «storicizzare concretamente la nostra cultura, renderla responsabile, attiva [...] per la riqualificazione odierna di ogni valore, di tutto il passato, senza escludere nulla di ciò che è vivo e vero e che accresce il bisogno, la tensione di vita e di verità».”(15)

 

 

NOTE

 

1) Vittorio Possenti, Felice Balbo e la filosofia dell'essere, Vita e Pensiero, Milano 1984, pp. 31-47.

2) La lettera, dell'archivio Balbo, è citata da Anselmo Grotti, Saggio su Felice Balbo, Bollati Boringhieri, Torino 1984, p. 56.

3) Una nuova cultura,  «Il Politecnico», n. 1 (29 settembre 1945).

4) Lettera di un cattolico, «Il Politecnico», n. 3 (13 ottobre 1945).

5) L’altro pericolo, in «Il Politecnico», n. 10 (1° dicembre 1945).

6) Ibidem.

7) Il pericolo è sempre lo stesso, «Il Politecnico», n, 18 (26 gennaio 1946).

8) Ibidem.

9) Polemica e no, «Il Politecnico», n.7 (10 novembre 1945) in cui Vittorini replica all'articolo di Carlo Bo Cristo non è cultura, apparso su «Costume», n. 9.

10) Marxismo, uno solo, «Il Politecnico», n.26 (26 marzo 1946).

11) Ibidem.

12) Mario Alicata, La corrente Politecnico, «Rinascita», n. 5-6 (anno III) e Lettera a Elio Vittorini di Togliatti, in «Rinascita», n. 10 (anno III, ottobre 1946).

13) Cfr. nota 9.

14) Intervista a Marchesi, «Il Politecnico», n. 2 (6 ottobre 1945) e replica di Vittorini sullo stesso numero.

15) Cultura antifascista, «Il Politecnico», n. 39, dicembre 1947.