Autore: Carlo Romeo           

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, L’Heiliges Land e il Risorgimento. Le conseguenze dell’unità d’Italia sul Tirolo, in: "Alto Adige", 17.03.2011 (Dossier Unità d'Italia, p. III)

 

 

 

L’HEILIGES LAND E IL RISORGIMENTO

di Carlo Romeo

 

 

“La preghiera è l’arma con cui anche vecchi e bambini possono compiere grandi imprese. Impugniamo quindi tutte queste armi! Rinnoviamo l’Alleanza con il Sacro Cuore di Gesù, stretta dai nostri padri alla fine del secolo scorso e alla quale essi hanno consacrato la nostra patria per ogni tempo a venire. (…) Concordia, fedeltà e rettitudine ci proteggono ancor più delle montagne, di fronte alle quali la forza del nemico si è spesso infranta come un vaso di terracotta.”

Con queste infiammate parole il vescovo di Bressanone Vinzenz Gasser accompagnava la mobilitazione tirolese nella lettera pastorale del 2 maggio 1859. Una settimana prima l’Austria aveva dichiarato guerra al Regno di Sardegna-Piemonte, prontamente appoggiato dalla Francia di Napoleone III. Era cominciata la seconda guerra d’indipendenza che avrebbe portato in breve tempo all’Unità del Regno d’Italia.Tutte le tappe del processo risorgimentale italiano ebbero naturalmente profonde ripercussioni sul Tirolo, avvicinando progressivamente la minaccia del “nemico ereditario” dell’impero austriaco. Soprattutto la sofferta perdita del Veneto (1866) cambiò lo stesso ruolo geopolitico della contea tirolese: i suoi confini meridionali coincisero con quelli della Monarchia danubiana (e anche del germanesimo).

Nei decenni seguenti anche in Tirolo il tema politico dominante divenne quello nazionale. Le richieste di autonomia da parte del Welschtirol (Trentino) furono accolte come manifestazioni di separatismo e rigettate con forza dalla maggioranza delle forze politiche tedesco-tirolesi. L’autonomia al Trentino veniva considerata come il primo passo di una lacerazione del Tirolo che avrebbe indebolito l’intera Monarchia. Si infiammò la lotta nazionale che, attraversando quasi ogni espressione politica e culturale, trovò terreno di scontro soprattutto in quelle zone che testimoniavano la secolare vicinanza e convivenza di più lingue (Bassa Atesina, isole linguistiche, valli ladine).

 

All’irredentismo di alcuni circoli della borghesia trentina si contrapponeva il pangermanesimo di quelli tedesco-tirolesi .Le antiche “libertà” del Tirolo erano già state profondamente “svuotate” dalla politica centralista di Vienna, eppure l’identità tirolese sembrava cementata dalla fedeltà alla Casa imperiale (oltre che al cattolicesimo). Nel maggio del 1848, durante l’infuriare dei moti rivoluzionari, l’imperatore Ferdinando aveva scelto proprio Innsbruck come sede/rifugio del proprio governo. Episodi simili avevano consolidato l’immagine del Tirolo quale baluardo di lealismo e conservazione di fronte alle spinte liberali e nazionali. La mobilitazione antirisorgimentale dei tirolesi riprese i motivi del “periodo eroico” antinapoleonico. Emblematica fu la ricomparsa sulla scena, nel 1848, del fanatico consigliere di Andreas Hofer, l’ormai 72enne cappuccino padre Haspinger, che si pose come cappellano militare alla testa di un corpo volontario studentesco. Dopo la “presa” di Roma nel 1870, poterono accentuarsi in chiave religiosa gli elementi di avversione al “nemico”, un Regno d’Italia “scomunicato” dal pontefice, governato dalla massoneria, pervaso di laicismo.

Eppure negli stessi anni, sulla spinta dei rovesci in politica estera, anche l’Austria procedeva a radicali riforme. La “Patente di Febbraio” del 1861 chiuse l’epoca del neo-assolutismo e introdusse il costituzionalismo. Attraverso riforme elettorali il suffragio fu progressivamente allargato. Una serie di leggi impose principi liberali nel campo dell’istruzione, dei rapporti con la Chiesa, dei diritti civili. A quest’ondata liberale tentò di reagire l’Heiliges Land, in nome delle proprie consuetudini e della propria unità religiosa. Il “Kulturkampf” in Tirolo fu particolarmente aspro e si concluse solo verso la fine del secolo. La Dieta provinciale, egemonizzata dai cristiano-conservatori, si oppose tenacemente a Vienna riguardo all’istituzione di comunità evangeliche e al controllo dello Stato sulla scuola. Tuttavia alcuni processi erano irreversibili; insieme ai mutamenti economici e sociali, alla diffusione della stampa e dell’associazionismo, si svilupparono nuove forme di attività politica.

 

Fu Claus Gatterer, all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, il primo a sottolineare la necessità per la coscienza austriaca di uno sguardo obiettivo sul Risorgimento italiano. In questo ritardo egli rinveniva una delle ipoteche di quell’«inimicizia ereditaria» tra Austria ed Italia fondata su reciproche incomprensioni e pregiudizi; un’inimicizia che sarebbe sfociata nella Grande Guerra. Del resto, le stesse contraddizioni del mito risorgimentale in Italia avevano contribuito a quest’incomprensione, sovrapponendo alle idealità democratiche e civili una rigida visione monarchica e autoritaria.

Negli slogan delle “radiose giornate di maggio” del 1915, con le quali l’Italia entrò in guerra, il patriottismo risorgimentale era ormai un lontano ricordo, sovrastato dalla retorica nazionalista e imperialista. Allo stesso tempo, nella Monarchia danubiana l’opzione militarista e autoritaria aveva finito col prevalere sui principi liberali e sui progetti di mediazione con le aspirazioni nazionali.