Da: Grand Hotel: l’Alto Adige nelle pagine di scrittori italiani degli anni Venti e Trenta, conferenza di Carlo Romeo tenuta presso il Touriseum nell’ambito del ciclo “Literatour. Words on the road” (Museo Provinciale del Turismo di Merano/ Castel Trauttmansdorff, 12.10.2007)

 

Cartolina di Toblach (Dobbiaco), inizi '900

 

[…] Immaginiamo ora l’atmosfera dei primi del secolo. La fama di diverse località di cura del Tirolo è al culmine. Probabilmente un dépliant turistico arriva nelle mani di un giovane poeta romano, Sergio Corazzini (1886-1907), che passerà alla storia come uno dei più tipici esponenti della corrente dei “crepuscolari”. Il termine fu coniato dallo scrittore e critico letterario Giuseppe Antonio Borgese, che tra il resto nel primo dopoguerra scrisse molto sull’Alto Adige come corrispondente del “Corriere della Sera”. Borgese voleva indicare quei poeti accomunati da un sentimento di tramonto, di decadenza e disfacimento. Soprattutto Corazzini si distingue per il continuo richiamo al tempo che passa, alla morte che avanza, alle illusioni che svaniscono; la malinconia e il rimpianto per una giovinezza che si chiude su se stessa.
In altre parole, è improbabile che la poesia “Toblach” - pubblicata nella raccolta “L’amaro calice” (1905) - venga mai scelta per una campagna di promozione turistica della Val Pusteria. Perché Corazzini sceglie Toblach / Dobbiaco per ambientare questa allucinata riflessione sulla morte? Impossibile rispondere con certezza. Corazzini non visitò mai il Tirolo, anzi non si mosse quasi mai dalla capitale. Probabilmente gli capitò sottomano qualche pubblicità di case di cura tirolesi, in rinomate località di soggiorno per malati di tisi: aria buona, montagne, dolcezza del paesaggio.
Verosimilmente fu colpito dal nome, in chiave fonosimbolica. “Toblach”, come suono, è sufficientemente cupo da accompagnare lo stravolgimento che opera Corazzini. Gli elementi del paesaggio trascolorano dalla dolcezza di un locus amoenus alla funerea fissità di un sepolcro: il “sole inestinguibile”, le “campane terribili”, le “monotone fontane”. Per il topico elenco delle “vanità terrene ”, nella seconda parte, il riferimento letterario più diretto sembra essere il “vallone” della Luna ariostesca (Orlando Furioso) in cui si raccolgono le cose perdute sulla Terra.

 


Sergio Corazzini

 

TOBLACH

 

Da: L’Amaro calice (1905)

 

I

E giovinezze erranti per le vie
piene di un grande sole malinconico,
portoni semichiusi, davanzali
deserti, qualche piccola fontana
che piange un pianto eternamente uguale
al passare di ogni funerale,
un cimitero immenso, un'infinita
messe di croci e di corone, un lento
angoscioso rintocco di campana
a morto, sempre, tutti i giorni tutte
le notti, e in alto, un cielo azzurro, pieno
di speranza e di consolazione,
un cielo aperto, buono come un occhio
di madre che rincuora e benedice.


II

Le speranze perdute, le preghiere
vane, l’audacie folli, i sogni infranti,
le inutili parole de gli amanti
illusi, le impossibili chimere,

e tutte le defunte primavere,
gl'ideali mortali, i grandi pianti
de gli ignoti, le anime sognanti
che hanno sete, ma non sanno bere,

e quanto v’ha Toblach d’irraggiungibile
e di perduto è in questa divina
terra, è in questo tuo sole inestinguibile,

è nelle tue terribili campane
è nelle tue monotone fontane,
Vita che piange, Morte che cammina.


III

Ospedal tetro, buona penitenza
per i fratelli misericordiosi
cui ben fece di sé Morte pensosi
nella quotidiana esperienza,

anche se dal tuo cielo piova, senza
tregua, dietro i vetri lacrimosi
tiene i lividi tuoi tubercolosi
un desiderio di convalescenza.

Sempre, così finché verrà la bara,
quietamente, con il crocefisso
a prenderli nell’ultima corsia.

A uno a uno; Morte li prepara,
tutti vanno verso il tetro abisso
lungo, Speranza! la tua dolce via!


IV

Anima, quale mano pietosa
accese questa sera i tuoi fanali
malinconici, lungo gli ospedali
ove la morte miete senza posa?

Vidi lungo la via della Certosa
passare funerali e funerali;
disperata etisia degli Ideali
anelanti la cima gloriosa!

Ora tutto è quieto: nelle bare
stanno i giovani morti senza. sole,
arde in corona. la pietà de' ceri.

Anima, vano è questo lacrimare,
vani i sospiri, vane le parole
so quanto ancora in te viveva ieri.