Autore: Gerald Steinacher

Rif. bibl. Steinacher, Gerald, La guerra dal cielo, in: Agostini Piero – Romeo Carlo, Trentino e Alto Adige province del Reich, Temi, Trento, 2002, pp. 297-306.

 

Per la popolazione del Trentino e dell'Alto Adige la guerra aerea cominciò il 2 settembre 1943. Circa cento bombardieri americani gettarono il loro carico su Trento e Bolzano. Il ponte ferroviario sull'Isarco fu gravemente danneggiato e si potè ripristinarlo soltanto 8 giorni dopo. La popolazione bolzanina reagì allo stesso modo di quella di Innsbruck tre mesi dopo: «In preda al panico molti si prepararono ad andarsene e sfollarono sulle montagne dei dintorni». (1)

La guerra aveva dunque raggiunto la regione e questa volta era immediatamente visibile da tutti. L'«Heimatfront» (il «fronte interno») divenne anche qui sinonimo di una triste realtà quotidiana. Il 13 settembre 1943 fu pubblicato il primo avviso per la difesa antiaerea. La misura dell'impotenza di fronte a questa minaccia traspare dalle stesse prescrizioni: nel rifugio antiaereo devono essere a disposizione «secchi d'acqua, pale, sabbia e almeno una maschera antigas». I «Blockleiter», fiduciari di quartiere della Nsdap, si preoccupavano che «in ogni casa fosse istruita una comunità di difesa antiaerea». Il giorno dopo il quotidiano locale informava con grande evidenza sull'«Autodifesa nella guerra delle bombe», poco dopo sulla «Costruzione di rifugi ospedalieri» e di «Misure antiaeree nella città ospedaliera di Merano». L'obiettivo di allestire rifugi in quantità sufficiente per la massa della popolazione era irraggiungibile. I più dovettero accontentarsi della propria cantina.

 

Bombardamento su Bolzano, ott. 1943 (Univ. of Keele/GB)

Nel periodo dal febbraio all'aprile 1945 a Trento si ebbero fino a cinque allarmi aerei al giorno. Bisogna anche considerare che il sistema di allertazione non funzionava sempre. Nel novembre 1944 si poteva leggere questo sul «Bozner Tagblatt»: «Attenzione! Allarme aereo. In caso di mancanza di sirene, il segnale di allarme aereo nella città di Bolzano verrà dato tramite sirene manuali». Anche in Alto Adige e Trentino l'oscuramento fu prescritto e strettamente sorvegliato. In questo modo furono avvertiti della guerra aerea anche coloro che abitavano in masi e agglomerati particolarmente isolati, i quali non si rendevano nemmeno conto del pericolo proveniente dal cielo. Alcuni dei cosiddetti "lanci d'emergenza", cioè lo sganciamento del carico di bombe in caso di problemi (ad es. per mancanza di carburante), raggiunsero anche valli isolate. Si risparmiava la popolazione civile disinnescando le bombe. Queste si conficcavano nel terreno senza causare troppi danni. Vi furono però anche esplosioni di bombe disinnescate. Per gli abitanti delle valli più remote ciò rappresentava sempre un avvenimento memorabile, come fu a Lüsen/Luson presso Bressanone il 22 dicembre 1943. Queste parole di un testimone sono rappresentative per molte altre località:  «La scorsa domenica vivemmo una particolare esperienza. A mezzogiorno, stavamo mangiando, sentimmo il rumore di aerei, ma non li potevamo vedere perché il cielo era tutto nuvoloso. Dal rumore sembravano parecchi. Solo a sentirlo tutti si fecero irrequieti e agitati. Da ogni parte uscivano dalle case per cercare di vedere qualcosa. Poi ci fu un boato tale che la casa tremò dalle fondamenta, i quadri sui muri oscillarono, il bestiame nella stalla si mise a muggire. (…) Ancor più movimentato fu a Petschid. Lì, infatti, cadde una bomba in un campo di fieno. Fece un buco enorme e distrusse le finestre dei dintorni. Nel bosco dietro il fabbro vennero giù parecchie bombe. Molto rumore, grande paura, ma nessun danno.» (2)  

L'11 aprile 1945 in un lancio d'emergenza fu centrato in pieno il Radöllerhof a Siusi, che andò completamente distrutto. Nella circostanza morirono 14 persone, tra cui anche alcuni scolari che, tornando a casa dalla scuola, si erano colà rifugiati a causa dell'incursione aerea. A Siusi si registrarono danni materiali anche in altre case e l'interruzione delle comunicazioni telefoniche. Nel terzo attacco su Bolzano, il 4 ottobre 1943, 64 bombardieri B-17 scagliarono sulla città, in due ondate, 165 tonnellate di bombe. La linea ferroviaria lungo il Brennero venne gravemente danneggiata. Già il 17 ottobre il Gruppo Armate B comunicava che la situazione nella produzione industriale dell'Italia del nord era molto critica: l'attacco aveva interrotto il flusso di 160 convogli in direzione della Germania. Il quinto attacco su Bolzano, il 2 dicembre 1943, ebbe conseguenze catastrofiche per la città. Obiettivo delle due ondate di bombardieri era la stazione ferroviaria. Nell'occasione però le circa 94 tonnellate di bombe caddero in ampio raggio sul territorio cittadino, da ponte Talvera fino a Sant'Osvaldo. Le fonti ufficiali parlarono di 45 morti e 177 feriti. In questo attacco morì, centrato in pieno, anche il Voksgruppenführer e prefetto Peter Hofer, mentre viaggiava per le vie cittadine durante una pausa dell'incursione. Gli attacchi colpirono dal 9 al 12 dicembre anche altre importanti linee ferroviarie in Italia. Il 15 dicembre alle 12.20 suonarono nuovamente le sirene: 53 apparecchi tornarono all'attacco della stazione. Furono colpiti anche la linea verso Merano e un convoglio merci e si registrarono 12 vittime. Una bomba sulla centrale elettrica di Bolzano tolse la corrente per la linea ferroviaria. Dopo gli attacchi del dicembre 1943 si radicalizzò l'informazione sul «Bombenterror» («terrore delle bombe»). L'incremento dell'impiego dei bombardieri da parte alleata doveva essere ricambiato in pari misura. Già nelle settimane precedenti l'invasione alleata della Normandia del giugno del 1944, il regime nazista aveva cercato di strumentalizzare la paura, l'insicurezza e l'aggressività accumulata dall'inerme popolazione. I prigionieri dovevano servire da capri espiatori. La propaganda sulla guerra aerea s'inasprì con grandi titoli come «Nuovi criminali metodi del terrore aereo. Attacchi a volo radente sulla popolazione civile da parte dei gangster dell'aria», oppure «Gangster dell'aria uccidono donne e bambini». Al pericolo degli attacchi a bassa quota, che si faceva sempre più evidente in vista dell'invasione, Goebbels reagì in un editoriale del «Völkischer Beobachter» del 27 maggio 1944, con un aperto invito al linciaggio nei confronti di aviatori catturati. Due giorni dopo Martin Bormann, il braccio destro di Hitler, inviò una circolare in cui si univa all'appello di Goebbels. Si giunse così ad alcune uccisioni, anche nel Tirolo del nord, ma ciò non bastava alla dirigenza delle SS: la popolazione avrebbe anzi «dimostrato nei confronti di aviatori nemici abbattuti una malintesa compassione». Heinrich Himmler, capo delle SS e della polizia, ordinò di punire tali comportamenti con l'internamento in un campo di concentramento. Gli Alleati appresero dalla stampa i pericoli che attendevano gli aviatori abbattuti. Anche in Alto Adige si ebbero casi di maltrattamento di aviatori alleati. L'8 aprile 1945 tre sopravvissuti di un equipaggio furono percossi vicino a Vipiteno da uomini del Sod, prima di essere consegnati alla polizia. Nell'agosto del 1944 l'aviatore statunitense William R. Sultan fu fucilato, probabilmente da un uomo del Sod. Nei confronti degli aviatori nemici morti ci si comportò nello stesso modo. Morti e feriti non sempre furono sepolti o assistiti, soprattutto quando si trovavano in tratti rocciosi di difficile accesso. Quando il 29 marzo 1944 un bombardiere americano fu abbattuto dalla Flak a Cornedo all'Isarco, i dieci cadaveri furono lasciati lì. Ricorda un testimone: «Da allora fu mio desiderio sapere di più su quei soldati morti, che il giorno successivo vidi carbonizzati sul luogo dell'impatto. Un'immagine che fino a oggi mi è rimasta negli occhi.» (3)  

Un componente dell'equipaggio fu internato. Solo nel settembre 2000 ci si "ricordò" del fatto e si innalzò una lapide commemorativa per le dieci vittime. E' significativo che ancor oggi, nelle ricognizioni sui luoghi degli abbattimenti, ci si imbatta in resti umani. Perché in più di mezzo secolo non si sono seppelliti i morti? A terra potevano verificarsi tuttavia anche forme di aiuto. L'11 aprile 1945 la Flak di Bressanone colpì un B-24 statunitense. Il velivolo si schiantò presso Natz. I nove uomini dell'equipaggio riuscirono a salvarsi. Così ricorda il cannoniere:«Dopo l'atterraggio fui raggiunto da un contadino tedesco che mi portò nella sua casa. Reifer e Scott erano già seduti al tavolo della cucina e mangiavano una minestra. Subito dopo entrarono due soldati tedeschi che ci condussero a fondovalle dove erano riuniti gli altri uomini dell'equipaggio, ad eccezione del secondo pilota. Poi ci fecero marciare verso una piccola città vicina e fummo messi nella locale prigione per trascorrere la notte. Durante la notte fu portato lì anche il nostro secondo pilota. La mattina seguente fummo presi in consegna dalla Luftwaffe che ci mise su un camion e ci portò a Bolzano.»  (4) Il seme dell'odio gettato dalla propaganda non cadde sempre su un terreno fertile. Invece di mettere in atto il linciaggio, questi contadini hanno mostrato quella tanto esecrata «compassione», invitando «i nemici» a mangiare una minestra.

Il Duomo di Bolzano gravemente danneggiato dai bombardamenti

Complessivamente sono testimoniate più di 30 cadute di aerei alleati nell'area altoatesina. La difesa antiaerea era tuttavia del tutto insufficiente ed aveva più che altro un valore psicologico. Teoricamente la quota di abbattimenti avrebbe dovuto essere del 10 %, in realtà fu notevolmente inferiore. Gli allontanamenti dalla rotta e le avversità climatiche erano problemi che preoccupavano gli incursori molto più della Flak («Fliegerabwehrkanone»). Non cambiarono la situazione le costanti esercitazioni di tiro e il grande numero di batterie pesanti installate lungo la linea del Brennero. Nel marzo del 1945 si raggiunse il numero massimo di 525 cannoni. Le parole di un testimone mettono in luce proprio questa insufficienza: «C'erano allora intorno a Bolzano tre postazioni della Flak, che dovevano difendere la città dai bombardamenti. Una sul Salten/Tschögglberg, una sul Virgolo e una a Frangarto, ma le ultime due erano in parte solo modelli in legno perché i tedeschi avevano pochi cannoni di contraerea. La città di Bolzano e la linea del Brennero erano allora sotto bombardamento continuo. Mi ricordo molto bene quando il 20 aprile (1945, nda) – era stato certamente pensato come regalo per il compleanno del Führer – gli americani hanno bombardato a tappeto la linea ferroviaria e la stazione di Bolzano. L'intera città era sotto una nube di fumo così fitta che non si vedeva niente. Eravamo del tutto impotenti contro gli attacchi. In totale abbiamo abbattuto solo tre apparecchi». (5)  

All'impotenza il sistema reagì con violenza crescente, non tanto verso gli Alleati quanto verso la propria popolazione attraverso la propaganda. I sudtirolesi apprendevano giorno dopo giorno dalla stampa come gli «attacchi terroristici» fossero vendicati colpo su colpo dalla Luftwaffe nazista. In questo senso un ruolo particolare ebbero le cosiddette «armi segrete» che avrebbero dovuto portare all'ultimo minuto «la vittoria finale». Ci si riferiva soprattutto ai primi caccia a reazione e ai missili, cioè le «V(ergeltungs)-Waffen» («armi di rappresaglia»). Sui quotidiani si leggeva paradossalmente: «Danni delle V2 a Londra», «I missili V martellano ininterrottamente l'Inghilterra», «Anversa e Liegi sotto i colpi delle V», «Bombe V sui rifornimenti nemici», «I nuovi caccia tedeschi», etc. Non pochi credettero effettivamente, o vollero credere, alle illimitate possibilità delle nuove armi. Molti pensavano come l'SS-Mann Otto Messer: «Eravamo naturalmente molto fieri delle nuove armi e nutrimmo la speranza che attraverso queste la guerra avrebbe potuto finire rapidamente a nostro vantaggio». Fu taciuto ovviamente il fatto che questa tecnologia, non ancora sviluppata, dal punto di vista militare era poco efficace. La traiettoria dei missili V2 non poteva essere precisa e il raggiungimento dell'obiettivo era perlopiù casuale. I caccia a reazione erano abbastanza avanzati tecnologicamente, ma erano prodotti in piccole quantità e spesso impiegati male.

Dato che la difesa era del tutto insufficiente, le forze di ricostruzione dovettero lavorare a ritmo sostenuto. Per riuscire a tener aperta la linea ferroviaria del Brennero, nonostante le incursioni continue, tra Fortezza e Verona stazionarono unità di lavoro della Todt fino a 11.500 uomini. Nella prima fase dei bombardamenti si riuscì pertanto a riparare interruzioni di linea in poche ore e ponti in quattro giorni. Nell'aprile 1945, cioè nelle ultime settimane del conflitto, la guerra aerea subì un'ulteriore intensificazione.  L'8 aprile vennero attaccate strutture ferroviarie presso Salorno, San Michele, Fortezza, Bressanone, Campo di Trens e Vipiteno. Altri attacchi seguirono il 9, 10, 11 e 12 aprile sui ponti ferroviari. Il 14 nuovo bombardamento su Salorno, il 19 su Ora e Vipiteno; un altro pesante il 20 aprile su Campodazzo, Brennero, Brunico, Fortezza, Campo di Trens, Chiusa, Salorno e Vipiteno. L'ultimo grande attacco su una località altoatesina fu su Bronzolo il 24 aprile; 82 bombardieri gettarono il loro carico sul ponte ferroviario. Il 30 aprile i caccia alleati incalzarono incessantemente le truppe tedesche che si rifluivano verso nord. L'ultima incursione fu il 3 maggio 1945, ma questa volta al posto delle bombe furono lanciati i volantini che annunciavano la resa tedesca.

Fino al termine della guerra vi furono su Bolzano 15 attacchi aerei. Morirono circa 200 persone, 325 edifici furono rasi al suolo, 548 gravemente danneggiati. A Trento i morti furono 360. La località più bombardata fu Ora con 44 attacchi. Il numero complessivo delle vittime in Alto Adige non è ancora stato calcolato. Il fatto che nell'area delle due province la popolazione e le strutture industriali furono relativamente risparmiate si deve all'obiettivo tattico delle incursioni alleate: il territorio veniva bombardato per la sua importanza nelle comunicazioni e i bersagli principali furono normalmente stazioni e ponti ferroviari. Ancor oggi la guerra aerea torna a far parlare di sé, ogni volta che lo scavo di lavori edilizi porta alla luce una bomba inesplosa, il cui disinnesco richiede talvolta la chiusura di interi quartieri e l'allontanamento di migliaia di persone.   

 

 

Note

 1) Thomas Albrich, Arno Gisinger, Im Bombenkrieg. Tirol und Vorarlberg 1943-1945, Innsbruck, 1992, p. 115.

2) Serafin Bacher, Etwas vom Zweiten Weltkrieg in Lüsen, in «Tiroler Chronist», 80 (2000), p. 21.

3) Karneid: Denkmal für zehn tote Soldaten in «Z-Zeitung am Sonntag», 17 sett. 2000.

4) Intervista con Raymond Engel. Riportato da Keith Bullock in una lettera all'autore, 30.10.2000.

5) Leopold Steurer, Martha Verdorfer, Walther Pichler, Verfolgt, Verfemt, Vergessen. Lebensgeschichtliche Erinnerungen an den Widerstand gegen Nationalsozialismus und Krieg. Südtirol 1943-1945, Bolzano 1993, pp. 230-231.