Josef Noldin. Sein Einsatz, sein Opfermut, sein Nachwirken / Impegno, Missione, Epilogo, Hg./a cura di Christoph von Hartungen e Alois Sparber, Athesia, Bozen 2009.

Si tratta della più completa biografia di Josef Noldin (Salorno 1888-Bolzano 1929), una delle principali guide della resistenza sudtirolese alla politica del fascismo negli anni Venti, confinato per due anni nell'isola di Lipari. Il volume raccoglie i saggi (riveduti e ampliati) di un convegno su Noldin svoltosi a Salorno nel 1999 organizzato dal Tiroler Geschichtsverein/Sektion Bozen e dalla Gaismair Gesellschaft.
Oltre ai contributi il libro raccoglie numerosa documentazione inedita e la riproduzione integrale del diario liparota di Noldin. Di seguito l'indice e un brano del contributo "Un'isola e i suoi confinati" di Carlo Romeo.

Josef Noldin, Athesia 2009


Alois Sparber, Dr. Josef Noldin - eine Biographie

Rainer Seberich, Schulpolitik im Bozner Unterland vor und nach 1918

Mimmo Franzinelli, "Tutta l'Italia un grande confino". Vigilanza, controllo e repressione degli antifascisti
in Italia dalla seconda metà degli anni Venti

Carlo Romeo, Un'isola e i suoi confinati. Lipari al tempo del confino di Josef Noldin (1927-1928)

Leopold Steurer, Das Südtiroler Unterland und Josef Noldin als Kristallisationspunkt nationaler Konflikte

Michael Gehler, „Märtyrer Südtirols“: Josef Noldin im Urteil der zeitgenössischen und späteren Rezeption

Christoph Hartungen, Noldin. Ein deutsches Schicksal. Die Lebensgeschichte des Josef Noldin im
Tatsachenroman Franz Ruckers (alias Franz Zangerl)

Das Tagebuch Josef Noldins auf Lipari

Tutti i contributi sono accompagnati da ampi abstract in lingua italiana e tedesca.

 

La cittadina di Lipari e il Castello

 

 

Autore: Carlo Romeo

 

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Un'isola e i suoi confinati. Lipari al tempo del confino di Josef Noldin (1927-1928), in: Christoph von Hartungen, Alois Sparber (Hg.), Josef Noldin. Sein Einsatz, sein Opfermut, sein Nachwirken / Impegno, missione, epilogo, Athesia, Bozen 2009, pp. 132-137

 

 

Il confino a Lipari nelle descrizioni del diario di Noldin

 

di Carlo Romeo

 

Il brano che segue conclude il saggio riguardante il contesto del confino a Lipari e in particolare ricostruisce i rapporti instaurati da Noldin con gli altri confinati, come emergono dal diario pubblicato postumo nel 1936.

 

 

(...) Laddove indulge ad osservazioni di contesto, Noldin si rivela abbastanza preciso, anche se non diffuso, riguardo a persone ed avvenimenti specifici, riportando le voci ed i commenti che circolavano nella colonia. Spesso imprecise risultano, invece, le datazioni, anche di fatti univoci e di grande rilievo nel racconto; ciò induce a pensare che la redazione del diario non si sia avvalsa di appunti immediati, diretti, giornalieri, bensì di note organizzate secondo criteri diversi da quello cronologico.
Nel racconto di Noldin l’incontro con Lipari è quello con un mondo estraneo, connotato dalle caratteristiche (quasi tutte negative) di un “mondo alla rovescia” rispetto a quello di provenienza. La sporcizia dei vicoli, la scarsa acqua piovana raccolta nelle cisterne, l’arretratezza dei sistemi di produzione agricola (l’uva che viene spremuta ancora coi piedi), le misere condizioni di vita dell’isola; tutto ciò riempie parecchie delle pagine. Della popolazione locale Noldin traccia fugaci e generici schizzi, spesso condizionati da cliché antimeridionalistici.
Tra Noldin e i suoi compagni di confino nascono invece alcuni rapporti amichevoli e persino simpatie personali. È però resa esplicita sin dall’inizio la grande distanza tra le discussioni e le problematiche dei confinati italiani - a loro volta divisi in gruppi e sottogruppi (il «pollaio» di cui parla Carlo Rosselli) - e la sensibilità tedesco-nazionale di Noldin.  Non mancano ironie sui deputati socialisti, che appartengono a famiglie capitaliste, sui comunisti, sui repubblicani; soprattutto a Noldin tutti costoro appaiono indifferenziati sotto il profilo dell’ideologia nazionale.
A testimoniare la manifesta estraneità di Noldin all’ambiente circostante basterebbe la tagliente descrizione lasciata nelle sue memorie dal giornalista Giovanni Ansaldo, la cui scanzonata penna, va sottolineato, si dimostra assai caricaturale verso tutti i compagni di confino.

Il dr. Noldin, bel pezzo d’uomo sulla quarantina, è però di idee ristrette e di ingegno limitato: quelle quattro idee alla tirolese piantate ben salde nel capo, la razza tedesca, il Tirolo indomabile, la tradizione di Hofer (…) Egli era un ferventissimo apostolo e credente della dottrina delle razze umane, e in sordina, nella eccellenza ed inevitabile predominanza della pura, nobile, generosa nordische Rasse.  (1)

Pochi sono in definitiva i personaggi e gli avvenimenti della Colonia che si trovano raccontati nel diario da Noldin, al punto che è possibile farne una rapida rassegna.


Domizio Torrigiani

Domizio Torrigiani, Gran Maestro della Massoneria italiana, con cui Noldin si trova a vivere per un certo periodo, è di gran lunga il confinato più in vista della colonia, soggetto ad un controllo permanente da parte di ben due pattuglie. (2) Così è annotato il suo arrivo da Noldin, non senza tratti di gustosa ironia.

2 maggio 1927. Oggi c'è stata una grande animazione. Sulla nostra isola è sbarcato come confinato l’avvocato Torrigiani, Gran Maestro della Massoneria italiana, famoso per il coinvolgimento nel processo Zamboni. Tutta Lipari era ammassata sul molo per vedere in carne ed ossa questo “Diavolo” (Gottseibeiuns), che si rivelò un anziano dignitoso signore con barba bianca. Accompagnato dai più alti funzionari di polizia, scese dalla nave e mentre passava per la strada le donne dei pescatori si fecero il segno della croce, come fosse arrivato il diavolo in persona.

Domizio Torrigiani

 

Il rapporto col Torrigiani è anche l’unico che riveli nel diario un accenno di “storia”, di svolgimento psicologico; da un’iniziale, accesa disputa patriottico-nazionale fino ad una simpatia e stima reciproca. Sotto la data del 20 giugno 1927 è annotata, infatti, con estremo risentimento la discussione avuta col Gran Maestro riguardo alle responsabilità della guerra mondiale, attribuite da questi unicamente alla Germania. Un anno dopo il rapporto sembra invece ormai cementato. Vi contribuisce il fatto che per un breve periodo si trovano a convivere da soli a Villa Amendola (Beltramini e Morea hanno ottenuto un paio di settimane di “licenza”).

Così convivo da solo col Torrigiani. Il mio vecchio insegnante di religione Padre Schluz si strapperebbe i capelli disperato se sapesse che mi trova a vivere proprio col Gran Maestro della Massoneria italiana. In realtà la nostra convivenza si è rivelata piacevole e credo che non causerà grandi danni alla salvezza della mia anima. Trascorriamo il tempo senza annoiarci. Alla sera hanno luogo grandi discussioni accademiche fino a notte inoltrata. Non sono certo sempre d’accordo con le opinioni del Gran Maestro, tuttavia ci comprendiamo alla perfezione. Questo posso dire, che Domizio Torrigiani è stata una piacevole rivelazione tra tutti i deputati e politici che ho conosciuto qui; un uomo che ha girato il mondo e l’ha guardato con occhi aperti, forse un po’ troppo orientati unilateralmente alla Francia, ma senz’altro dotato di concetti chiari e della capacità di esprimere il suo pensiero in modo preciso e logico. Che differenza con le chiacchiere dei nostri socio-comunisti.   (3)

La simpatia verso Torrigiani si fa ancora più esplicita nella nota del 10 luglio 1928, laddove riferisce del complimento ricevuto dallo stesso (e che a Noldin sembra forse confermare le proprie convinzioni razziali): «Egli potrebbe intendersi bene con un marchigiano o un tirolese come me, ma mai con un italiano del Meridione o un siciliano».


Mario Magri

Il capitano Mario Magri, collaboratore di D’Annunzio nell’impresa di Fiume, era stato confinato a Lipari per tre anni. La sua forte personalità impressionò non pochi di coloro che lo conobbero. Frequentò spesso i Beltramini e Villa Amendola. Insieme a Torrigiani è uno dei due confinati con cui Noldin si intrattiene di più.

Il capitano Magri, un valoroso ufficiale combattente con un indomito gusto dell’avventura (…) Aveva combattuto con Gabriele D’Annunzio e fu accusato di aver tramato una congiura tra gli ufficiali. Temerario oltre misura, incurante di ogni regola, è un discendente di quelle stirpi che hanno brillato nell’oscurità sanguinosa dei tempi passati. (Tagebuch, Mitte August 1927)

Probabilmente alle conversazioni col Magri si riferisce Noldin quando accenna a progetti di fuga, definendoli velleitari. Il Magri, che in seguito fu rinchiuso nei cameroni del Castello per contravvenzione alle regole del confino, mise in atto i suoi propositi di fuga, come si dirà oltre. Catturato, fu processato e condannato. Trascorse quindi numerosi anni tra carcere e confino, tentando ripetute fughe. Morì alle Fosse Ardeatine nel 1944.

 

Josef Noldin a Lipari (Jugendhaus Dr. J. Noldin, Salurn)


Il «sangue caldo» di Del Moro

Puntuale è l’annotazione di Noldin riguardo ad un incidente che ebbe notevole risonanza tra i confinati. Il giovane confinato toscano Isso Del Moro, che alloggiava al Castello, aveva avuto un alterco con un confinato ex fascista probabile confidente dei miliziani. Ed era stato quest’ultimo ad avere fisicamente la peggio. Trascorsi quattro mesi di carcere a Milazzo, Del Moro era tornato a Lipari. Qui ebbe un nuovo scontro - questa volta sulla pubblica strada - con un ufficiale della Milizia. Lo stese a terra con un pugno e questa volta venne destinato al manicomio criminale, dove si suicidò impiccandosi. (4)
L’annotazione di Noldin si riferisce a questo secondo episodio, quando Del Moro reagisce alle offese verbali subite da parte del capitano della Milizia. Noldin riporta forse il fatto per conoscenza indiretta, tuttavia ne risulta particolarmente colpito. Il pestaggio di un capitano della Milizia dovette essere un tema di vasta discussione e commento da parte dei confinati e Noldin manifesta la più completa ammirazione per l’orgoglio del giovane: «Dentro di me erano toccate le stesse corde dell’onore e capivo perfettamente quel giovane, che, pur nella più profonda prostrazione, non aveva voluto lasciar macchiare il suo onore». (5)


Il suicidio di un confinato

Il 24 settembre 1928 Antonio Mottino (29 anni, muratore di Vercelli, comunista) si suicida nei cameroni del Castello. Pur datando il fatto ad un paio di settimane prima  e pur non conoscendo direttamente la persona, Noldin riporta il commento di compianto che circolava tra i confinati: «Egli aveva faticosamente messo da parte 150 lire e quando gli era giunta notizia che sua moglie era gravemente malata, aveva chiesto il permesso di andarla a trovare. Gli venne negato (…) Un po’ di umanità in più gli avrebbe salvato la vita». (6)


La sfortunata “fuga dei 4”

La notte del 21 luglio 1928 quattro confinati, alloggiati nei cameroni del Castello, fuggono calandosi dalla finestra ed eludendo i posti di guardia escono dalla centro cittadino, cercando rifugio nella campagna.  (7) Vengono arrestati, in ordine sparso, nel giro di pochi giorni. La fuga viene annotata diffusamente da Noldin, che però la colloca alla data 12 maggio 1928  (più di due mesi prima). Dei quattro evasi quello meglio conosciuto da Noldin è l’ex capitano Magri, cui attribuisce la probabile iniziativa della fuga; «quest’uomo irrequieto, bruciato dalla sete di libertà ha acceso nei cuori dei suoi tre compagni la fiamma della speranza». Molto precisa rispetto allo standard del diario appare l’indicazione degli altri tre fuggiaschi; «uno studente che si è dato molto da fare nella nostra piccola organizzazione scolastica (Michelagnoli, nda), un operaio veneto (Domaschi, nda), un giovane commerciante e ufficiale di Genova, che ci faceva visita ogni tanto per suonare un po’ di musica (Canepa, nda)». Altrettanto diffuso è il racconto dei particolari della spericolata ed avventata fuga così come evidentemente circolavano all’interno della colonia. (8)

Foto di gruppo di confinati a Lipari


«Viva la libertà!»

Il diario di Noldin riporta gli echi della grande “retata” avvenuta nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1927 e racconta l’episodio della partenza degli arrestati, cui ha assistito personalmente. Circa 200 confinati, comunisti, vennero tratti in arresto da parte di un centinaio di carabinieri scesi all’improvviso sull’isola. Grazie a delatori la polizia era venuta a conoscenza del progetto di costituzione sull’isola di una rete clandestina del partito comunista. Dopo gli interrogatori, il mattino del 10 gennaio, 50 di loro furono condotti incatenati dal Castello alla nave. Numerosi altri confinati, insieme ai familiari, assistettero alla scena ai margini della piazzetta del porto (non era loro consentito accedere oltre). All’improvviso uno degli scortati, proprio mentre veniva sospinto verso il pontile, gridò : «Viva la libertà». E tutti i confinati risposero in coro, ad onta dei carabinieri che non riuscivano a far sgombrare la piazza.
La stessa scena raccontata nel diario di Noldin si ritrova in diverse memorie di testimoni. Ho scelto quella di Pietro Fabbri, che all’epoca aveva 14 anni ed era a Lipari col padre Paolo Fabbri confinato. Mi piace concludere con questa concordanza. Raccontato in lingue diverse, in tempi diversi, da testimoni di generazione e condizione diversa, l’episodio resta lo stesso, univoco e simbolico. Come lo stesso è il grido che ancor oggi ci giunge da quella piazzetta.
 
Mentre i carcerati venivano accompagnati, ammanettati, dal castello alla nave, ci fu una vera dimostrazione delle mogli, dei figli e dei confinati rimasti per salutare i partenti; il grido di un carcerato di “Evviva la libertà” scatenò un coro di tutti i presenti che agghiacciò Marina Corta piena di gente e di polizia che cercava di sgomberare la piazza. (Pietro Fabbri) (9)

Der Regen fiel in Strömen, als die Fünfzig, begleitet von Baionetten, gefesselt zum Schiff gebracht wurden. Die graue Masse der Verbannten stand wortlos, bis plötzlich aus dem Klirren der Ketten der Schrei ertönte: “Es lebe die Freiheit!”
Ein Schrei, der von den Zurückbleibenden wiederholt wurde, bis sich das Schiff im grauen Dämmer verlor.
(Josef Noldin) (10)

 

Note 

1) ANSALDO 1992, p. 319. Vedasi comunque l’Appendice II.
2) Domizio Torrigiani (prov. di Pistoia 1876-1932) era stato accusato di aver ispirato l’attentato di Zaniboni. In realtà col suo confino si voleva colpire la Massoneria, dichiarata illegale già nel 1925. Torrigiani trascorse 4 anni al confino per poi essere prosciolto nel 1932, poco prima della morte.
3) Josef NOLDIN, Tagebuch 28.06.1928

4) Cfr. Pagano 2003, pp. 166-9; Busoni 1980, p. 49.
5) Tagebuch, p. 144.
6) Tagebuch, 12.09.1928
7) Si tratta del già citato capitano Mario Magri, Gian Battista Canepa (32 anni, Chiavari, impiegato, socialista; con una lunga storia clandestina, sarà poi attivo nella Resistenza ligure), Giovanni Domaschi (36 anni, meccanico, anarchico veronese) e Alfredo Michelagnoli (23 anni, ligure, traduttore, comunista). Sarebbero stati condannati dal Tribunale civile e penale di Messina a 4 mesi di carcere e ad una multa pecuniaria, insieme a tre liparoti accusati di aver favorito il tentativo di fuga
8) Sulla “fuga dei 4” vedasi l’ampia ricostruzione di uno dei protagonisti: MARZO (G.B. Canepa) 1983, pp. 100-110
9) Pietro FABBRI, Mio padre Paolo Fabbri, in Centro Studi Eoliano (1990), p. 116.
10) Josef NOLDIN, Tagebuch, 10.12.1927