Autore: Roberto Antolini
Rif. bibl.: Antolini, Roberto, Ivan il terrorista, Robin Edizioni, Roma 2009, pp. 48-49.
(www.robinedizioni.it)


Un romanzo denso, concentrato, giocato sulle percezioni solitarie del tempo di chi non ha più tempo. Siamo nei primi anni Ottanta del secolo scorso. Ivan, un giovane terrorista passato da anni alla clandestinità, rimane improvvisamente isolato dalla rete dell’organizzazione (colpita da una repentina ondata di arresti). “Saltato” ogni contatto, il suo viaggio si snoda tra statali, paesini e alberghetti fuori mano del Nordest (Veneto e Trentino). Una fuga che durerà solo un fine settimana.
Roberto Antolini (Trento 1950) lavora attualmente presso la biblioteca del MART. Ha curato diversi cataloghi artistici e collabora a riviste letterarie e culturali. (Carlo Romeo)

Roberto Antolini, Ivan il terrorista, Roma 2009

    (...) A quel punto era bastato il precipitare abbastanza casuale di alcune circostanze ed era stato inevitabile saltare il fosso fino in fondo, scivolare nell'armata perduta degli invisibili dall'incerto destino.
    Incerto come la notte in arrivo. Guidava nel crepuscolo, lungo un dritto viale alberato, quando, già un po' oltre l'abitato, in un tratto sgombro alla vista, intravide sullo sfondo il profilo d'ombra della compatta massa scura delle montagne stagliarsi contro le ultime pallide luci del cielo. Era arrivato ai piedi delle Alpi. Dove la distesa piatta dei campi si esauriva e cominciavano ad alzarsi i primi crinali, i cui contorni si disegnavano netti contro il cielo. Non distanti, nella direzione in cui si trovava un po' casualmente ad andare. La prima linea delle alture, ancora basse, non doveva essere più che a qualche chilometro. Altre poi incombevano dietro, un po' più distanti, via via più alte, sempre più sfumate. Cominciò a bruciare impaziente i chilometri e le montagne gli furono subito sopra. Solo qualche casa e qualche chiesa qui e là a interrompere l'ondulazione di una costa. Lassù decise di arrivare. Di fermarsi in groppa a uno dei primi declivi, spegnere tutte le luci dell'auto e farsi inghiottire dall'ombra. Galleggiando sulle sottostanti luci della pianura sempre più sprofondata nella notte, che correva giù e giù fino alla riva del Mare Adriatico, lungo la strada che aveva percorso anche lui nel corso della giornata. Notte di pizzerie e discoteche. Sonni di piombo e turni di guardia. Di padri che ronfano davanti a televisori rimasti accesi e di adolescenti insonni che ascoltano radio con cuffie. Dove juke-box suonano e baristi gay stappano in continuazione bottiglie di birra, donne si vendono e uomini comprano. Mentre acqua continua a scorrere indifferente in fossi e canali. E pipistrelli svolazzano intorno a piloni di viadotti, attraversando con i loro voli sgangherati il fascio di luce dei fari di auto erranti nella notte, con a bordo giovani impasticcati e commessi viaggiatori attardati.

Decisamente per quella notte preferiva evitare alberghi e ogni agglomerato sociale. Da quando si era trovato intruppato nell'armata degli invisibili, la catena degli eventi lo aveva travolto senza più possibilità di scampo. Riunioni con tonnellate di chiacchiere. E poi il lavoro clandestino, i pedinamenti, la raccolta di informazioni. Le azioni armate. Lui si era specializzato nelle rapine di autofinanziamento, aveva cominciato a prenderci un ambiguo gusto a quelle scariche adrenaliniche, unica interruzione di quella che era diventata una piatta e cupa routine clandestina. Via dai suoi ambienti bruciati, in anonime basi sempre sotto controllo di qualcun altro. Non gli era più capitato di riprendersi in mano la vita come era successo questa volta e solo perché qualcosa era andato storto. Ora voleva proprio vibrare del respiro della notte, avvolgersi liberamente nella sua coltre d'ombra. Lasciarsi andare a esaurimento sotto la volta stellata. Uscire da ogni argine sociale.
    Si inoltrò in una valletta fittamente abitata, che si insinuava ai piedi della prima fila di bassi colli, sboccando oltre, in una piana di estesi campi di granoturco inframmezzati da prati e qualche filare di vite. Sullo sfondo un abitato disperso, dietro il quale iniziavano ad alzarsi le vere montagne. Anticipavano il paese alcuni edifici bassi con silos esterni e balle di fieno accatastate. Qualcuno con davanti la casa d'abitazione, con trattore e triciclo del bambino nello spiazzo. Zaffate di odor di letame. Una stradina stretta e scassata saliva con una curva dopo l'altra fra vecchie case di pietra, villette a schiera, saloni di parrucchiera e fontane, asili infantili. (...)