Ricordando Massimo Bertoldi e la sua rigorosa passione di storico del teatro.
Rif. bibl.: Bertoldi, Massimo, Macerie e passione. La ricostruzione della vita dello spettacolo a MKerano e Bolzano 1945-1948, in Dalla liberazione alla ricostruzione. Alto Adige / Südtirol 1945-1948, a c. di G. Mezzalira, F. Miori, G. Perez, C. Romeo, Edition Raetia, Bolzano 2013, pp. 311-330.
MACERIE E PASSIONE
La ricostruzione della vita dello spettacolo
a Merano e Bolzano 1945-1948
di Massimo Bertoldi
Preludio bellico
“Una sera è suonato l’allarme che il sipario [della Sala Veritas, poi cinema teatro Concordia] si era appena aperto […]. Abbiamo invitato la gente a rifugiarsi nello scantinato del Tribunale [di Bolzano] e a ritornare quando il pericolo fosse passato […]. Dopo mezz’ora risultò che l’allarme fosse fasullo e quindi la gente tornò verso la sala teatrale […]. Non appena si ricominciò, l’allarme fece scattare tutti in piedi: e questa volta era un allarme serio! Ovviamente tutti ritornarono la sera dopo.”
L’episodio raccontato da Sandra Zizzola, attrice di una filodrammatica, riflette la drammaticità di una situazione bellica, imprevedibile e sempre in agguato, che non piega la vitalità del teatro. La compagnia di attori e il pubblico trasformano la sala nello spazio in cui si consuma, oltre alla realizzazione dello spettacolo, una sorta di rito della condivisione quasi fraterna di un dramma intorno al quale si ricompatta l’identità di una collettività lacerata dalla quotidianità segnata dai rischi della guerra, dall’incubo della morte.
“Nel periodo dal 1943 al 1945 – ricorda ancora la Zizzola – c’è stata una disgregazione quasi totale. Molti giovani sono finiti sotto le armi. Ma non è passato molto tempo, perché la voglia di fare qualcosa era sempre assillante”[1].
Questa “voglia” si calava in uno scenario desolante e misero di risorse. È quanto riferisce Lauro Daidà, altro attore dilettante dell’epoca, a proposito di Bolzano, quando descrive la situazione dei principali centri urbani della regione: “Bolzano aveva solo una biblioteca; concerti non ne venivano organizzati e, se lo erano, proponevano musica classica; il Teatro Verdi era stato raso al suolo dai bombardamenti. Restava qualche sala da ballo […]. L’attività culturale era scomparsa”[2].
Il teatro comunale della città aveva esercitato un ruolo primario nella vita dello spettacolo. La sua storia artistica fu una sorta di specchio delle vicende politiche dell’Alto Adige. Inaugurato nel 1918, aveva ospitato solo compagnie tedesche, locali e straniere, fino al 1924; poi, fino al 1936, si erano alternati attori di madre lingua tedesca e italiana; nella terza e conclusiva fase erano state vietate rappresentazioni in lingua tedesca e venivano imposti solo spettacoli italiani. I bombardamenti del 1943 avevano compromesso l’agibilità della struttura[3].
Soprattutto durante la guerra il regime fascista investì molto sul teatro. Nell’evidente bisogno di rinnovare consensi popolari e alimentare la propaganda bellica, accanto alla prioritaria attenzione riservata alle compagnie professionali, incrementò la promozione delle compagnie minori e delle filodrammatiche[4].
Dietro il paravento dell’arte scenica si nascondeva, da un lato, la volontà di distrarre dalle tensioni della guerra, dall’altro lato, l’intento di trasformare la fruizione teatrale nella condivisione della stessa causa bellica. Gli attori dilettanti, spiegò il critico teatrale del quotidiano fascista La Provincia di Bolzano il musicologo Guglielmo Barblan, “gli stessi magari che fra poche ore saranno chiamati a indossare l’uniforme dell’ardimento e della gloria, trovano nella risorsa del proprio spirito la serenità di rivolgersi al pubblico […] con il volto atteggiato al riso oppure alla riflessione che è di tutti”. Spirito amatoriale e doveri patriottici dell’attore-soldato disegnarono i tratti di un teatro “non come facile ritrovo del vacuo passatempo serale” ma come “un arengo di vita […] dove si è chiamati ad assolvere una missione di alto significato morale e umano”. Poco interessava che lo spettacolo fosse comico o drammatico, importava la sua funzione morale e politica. Così al pubblico tradizionale si affiancò un altro tipo di platea, l’“auditorio grigio-verde” al quale furono indirizzati specifici spettacoli[5].
La ricaduta nel contesto atesino di questi indirizzi programmatici assunse peculiarità proprie. Al difficile processo di massificazione dello spettacolo e alla connessa diffusione di valori ideologici, si intrecciava il completamento del programma di italianizzazione della società tirolese.
Nel 1941, per esempio, si registrano spettacoli curati da diverse filodrammatiche della città, quali Croce Rossa, Dante, Dopolavoro Postelegrafonici, Centuria Lirica della GIL (Gioventù Italiana del Littorio). Particolare attenzione fu riservata ai giovani attori del GUF (Gruppi Universitari Fascisti) di Trento e di Bolzano. I primi presentarono il dramma Dentro di noi di Siro Angeli, poeta narratore e sceneggiatore, vincitore con La casa nel 1937 dei Littoriali, i concorsi annuali ai quali partecipavano soprattutto universitari del GUF e neolaureati; i secondi, rappresentati dal trio formato da Cianci Gatti, Mario Bonoldi e Guido Guidi, si cimentarono con la rivista La radio… che scocciatura[6].
L’attività delle compagnie dilettanti continuò nel 1942 e rafforzò la circuitazione dei gruppi locali, come dimostra la rappresentazione di Filosofi a rapporto da parte del GUF di Merano, con attori gli alpini universitari. Assunse i caratteri della celebrazione di regime la manifestazione promossa dalla GIL, che organizzò un concorso locale con la partecipazione dei complessi dei Fasci di Nova Ponente, Sarentino e Vipiteno, e i gruppi rionali di Oltrisarco e San Quirino, i cori dei comandi GIL del Fascio di Lana, Bressanone, Merano, Vipiteno, Nuova Ponente e la Centuria federale. Alla fine, in un crescendo di emozioni e ovazioni, tutti i complessi si unirono e diretti dal maestro Mario Sette esibirono Giovinezza, Mediterraneo, Vincere, Suona la tromba e il trionfale Inno a Roma.
Oltre agli spettacoli nelle sedi istituzionali maturava a partire dal 1942 un modo di proporre teatro strettamente connesso alla guerra. Per allietare i soldati italiani reduci dalla Russia e concentrati nei campi di contumacia ricavati nelle caserme di Vipiteno, Monguelfo, Brunico, Laives e Merano si predisposero intrattenimenti generalmente di varietà o di avanspettacolo, interpretati da compagnie extraregionali o locali.
Il cosiddetto “Torpedone del buonumore” sovvenzionato dalla GIL era formato da un gruppo di giovani attori dotati di abilità nel canto che: “Il sabato e la domenica, andavano in tutta la provincia. […] Inventavano sketch, cavolate divertenti, satira, atti unici, brani lirici, trii di ballo, duetti di romanza leggera […]. Erano applauditi ovunque”[7]. A Laives il 3 aprile 1942 recitò la compagnia di rivista di Nino Taranto. “L’ampio salone era gremito di militari” e l’attore “è stato spassoso, ha suscitato continue risate”[8]. Un’altra figura di prestigio, il tenore Beniamino Gigli, si esibì il 20 giugno al cospetto dei militari feriti ricoverati in una caserma di Bolzano.
L’invasione nazista a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943 segnò una drastica interruzione delle attività in lingua italiana. “Mettersi a far commedie in italiano? – ricorda Giorgio Dal Piai – Peggio che andar di notte. Sarebbero diventate una tragedia”[9]. Tuttavia maturarono in forma embrionale le traiettorie che segnarono gli obiettivi e caratterizzarono l’attività delle compagnie italiane e tedesche nel dopoguerra. Furono percorsi culturali indipendenti e diversificati nella scelta dei repertori. Se lo spettacolo di lingua tedesca ricercava legittimità in risposta alla soppressione delle associazioni nel 1935, il versante italiano, non ancora emancipato dal peso dell’ideologia nazionalistica, intendeva riabilitarsi dopo la dura censura nazista.
A Merano la Meraner Volksbühne, attiva dal 1909, aveva ottenuto nel 1943 l’utilizzo del Teatro Puccini, che sottopose ad accurata opera di riordino e pulizia e vi organizzò rappresentazioni a favore di militari e invalidi.
A Bolzano il teatro italiano risorse nella clandestinità. Fu una coraggiosa avventura della neonata filodrammatica Liberi Dilettanti che si fece protagonista di recite nel teatrino improvvisato all’interno del villaggio aziendale della Magnesio. Aggirò i divieti nazisti posizionando una vedetta all’ingresso pronta a dare l’allarme e in caso di irruzione poliziesca la platea si sarebbe improvvisamente trasformata in un auditorio di fedeli attenti alle prediche di don Daniele, il cappellano della fabbrica e direttore della compagnia. Grazie a questo stratagemma, “ardito e pericoloso”[10], il pubblico operaio applaudì la messinscena di testi che circolavano con una certa frequenza nei circoli amatoriali, tra i quali i drammi Nonno Ercole di Carlo Repossi, Luce che torna e Terra lontana di Riccardo Melani, La suonatrice d’arpa composta da David Chiossone del 1859 e Addio giovinezza, commedia firmata da Sandro Camasio e Nino Oxilia, messa in scena per la prima volta nel 1911 riscuotendo subito un grande successo nazionale. Il recupero di Romeo e Giulietta di William Shakespeare diede un tocco di internazionalità e classicità ad un repertorio basato su testi di autori italiani generalmente degli anni trenta. Con il misero ricavato ottenuto dalla vendita dei biglietti furono acquistati viveri per i detenuti del vicino campo di concentramento. L’intraprendente don Daniele pagò con l’arresto la passione per lo spettacolo, la solidarietà e lo spirito assistenziale.
Nel processo di ricostruzione del dopoguerra la pratica dello spettacolo diventò il fulcro dell’attività culturale. Il coinvolgimento riguarda tanto le classi agiate quanto i ceti popolari che abitavano un territorio segnato da divisioni etniche, accresciute dall’andamento della guerra. Merano e Bolzano assursero a centri di riferimento per la cultura teatrale italiana e tedesca[11]. Le due città percorsero strade parallele, ora divergenti ora intersecabili. Maturarono esperienze e si svilupparono progetti che, oltre a nutrire ambizioni artistiche, contribuirono a compattare la spiritualità, la morale, l’identità politica e culturale di due comunità. Conviene seguire in che maniera e quali forze agirono nei due centri altoatesini, individuare la tipologia e analizzare le attese del pubblico. Trattandosi di stagioni strutturate non seguendo la logica del calendario con gli appuntamenti distribuiti in un arco temporale predefinito, è opportuno ragionare in termini di anno solare. Nel corso del presente saggio si riportano i titoli delle opere nella lingua in cui sono state rappresentate. Quando possibile viene indicata tra parentesi la traduzione ufficiale in italiano.
Merano 1945
Nel luglio 1945 la filodrammatica Juventus presentò al pubblico raccolto nella piccola sala parrocchiale di Maia Bassa Una notte sul molo del citato Martini, proseguì nei mesi successivi, tra l’altro, con i tre atti comici Signore, voglio essere il vostro cameriere particolare dello scrittore cattolico Germano Caselli.
Si affiancava alla filodrammatica Minerva di Merano[12], compagnia legata all’omonimo circolo culturale diretta fino al 1949 da Erika Fuchs, carismatica attrice professionista, figlia dell’illusionista viennese Erik Jan Hanussen e dell’attrice Theresia Fuchs.
“La signora delle camelie” rappresentato nel 1945 al Puccini di Merano.
Gli attori sono Claudio Micheli e Erika Fuchs. (Dal Piai 1987)
Nata nella capitale austriaca nel 1920 e cresciuta a Merano, nel 1939 si trasferì a Roma dove entrò in contatto con il Teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia, frequentò l’Accademia nazionale d’arte drammatica di Silvio D’Amico, fu scritturata prima da Dina Galli per la messinscena di Scampolo di Dario Niccodemi, poi dal giovane Renato Rascel alla guida di una compagnia itinerante attiva, come il citato Torpedone del buonumore, con un repertorio di varietà e rivista per i soldati angloamericani presenti in Italia meridionale. Quando la Fuchs rientrò a Merano, aveva acquisito un ricco bagaglio artistico in ambito attorale, padroneggiava una buona conoscenza dei testi di maggior successo e disponeva di adeguate competenze organizzative. La somma di questi elementi lasciò un segno indelebile sulla crescita della cultura teatrale meranese.
“Entravamo nella sala prove alle nove di sera – ricorda la Fuchs – e uscivamo all’alba, mentre Merano si risvegliava. Facevo sia la regia, sia la parte della protagonista e recitavo sia in italiano sia in tedesco”[13].
I trascorsi romani indirizzarono le scelte artistiche. La filodrammatica Minerva debuttò nel Teatro Puccini proprio con Scampolo, commedia brillante sentimentale di cui è protagonista un’orfanella romana che si difende dalle insidie della vita fino a sposarsi con l’uomo amato, un ingegnere poco affermato. Scritta nel 1916 aveva commosso generazioni di spettatori ed era stata un cavallo di battaglia di attrici di grido. Durante il fascismo era entrata stabilmente nei repertori filodrammatici.
Per quanto riguarda la rinascita dello spettacolo in lingua tedesca, a dicembre la Meraner Volksbühne recitò la commedia Tiroler Weihnachtsspiel nel teatro di via della Posta (oggi via Leonardo da Vinci), nuova sede del gruppo ricavata all’interno della Casa degli apprendisti cattolici (Katholische Gesellenhause). La scelta del testo non fu casuale. L’autore, Josef Garber, era un sacerdote meranese, storico dell’arte e scrittore morto a Monaco di Baviera nel 1933. La ricostruzione della scena teatrale di madre lingua tedesca iniziò con il filtro di elementi spirituali legati alla Natività, che assursero a sottili metafore della rinascita della popolazione tirolese nel difficile clima del dopoguerra.
Il ritorno della musica nella sala del principale teatro cittadino mantenne un rapporto di continuità con il recente passato. Si annoverano concerti tenuti dall’Orchestra di Cura (Kurorchester) di Gilberto Gravina. Il maestro ne fu direttore a partire dal 1932.
Bolzano 1945
È difficile stabilire in che misura l’inagibilità del Teatro Verdi pesò, almeno nel 1945, sulla ricostruzione delle attività filodrammatiche. Vero è che, come detto, diverse compagnie dilettantesche vi si erano esibite, strappando consensi di pubblico e di critica nell’ambito di serate e manifestazioni orchestrate dalla propaganda fascista; altrettanto vero è che le stesse filodrammatiche disponevano di altri spazi distribuiti nel tessuto della città, quali il cinema-teatro Roma, il cinema-teatro Druso, il cinema-teatro Dante, che nel 1948 non furono però utilizzati. Le poche rappresentazioni teatrali si tennero nella Sala Veritas ricavata negli ambienti parrocchiali di Cristo Re, dove la filodrammatica Aurora della Lancia di Bolzano presentò per i reduci di guerra I veli, sogno tragicomico scritto nel 1925 da Dario Benini, la filodrammatica Minerva recitò Il bugiardo di Carlo Goldoni, la filodrammatica interaziendale Magnesio si confrontò con Per la porta del russo Ossip Félyne del 1920.
Locandina della filodrammatica “Minerva” del 1945. (Dal Piai 1987)
Alla lenta e faticosa ripresa del teatro popolare corrispose il rilancio della musica. Per soddisfare i gusti e riformare l’auditorio borghese cittadino furono organizzati concerti nella sala dell’Istituto Tecnico Battisti (Sala AMG). Spiccano i nomi di Leo Petroni e Nunzio Montanari, musicisti saliti alla ribalta sul palcoscenico del Teatro Verdi e conosciuti per l’attività didattica svolta presso il Conservatorio Claudio Monteverdi[14]. In ottobre si tenne l’unico concerto orchestrale dell’anno. Il maestro Aladar Janes diresse un complesso d’archi composto da docenti del Conservatorio affiancati da strumentisti locali. Assunse i crismi della manifestazione esclusiva il concerto pianistico vocale che si svolse in agosto nei giardini del Palazzo Ducale, a favore del Centro assistenza reduci. Il soprano Zoe Laghiù, il baritono Giovanni Inghilleri e il tenore Paolo Castelpietra, accompagnati al pianoforte dal maestro Montanari, deliziarono la platea con “alcuni dei pezzi migliori del loro repertorio cantando molte vecchie celebri romanze delle opere più note”. Dalla breve recensione, oltre all’apprezzamento dell’esibizione, emergono il ricordo funesto del passato e, di riflesso, la voglia di riscatto. Scrisse l’anonimo cronista: “[…] non possiamo nascondere che ieri sera, quando abbiamo udito in quella villa ove già risuonarono le voci sgradevoli e dure degli sgherri di Hitler, quei canti melodiosi ora appassionati ora languidi ora erompenti degli artisti, […] ci siamo sentiti un poco commossi ed abbiamo sentito risorgere per un improvviso miracolo d’arte quel sentimento di sensibilità per le cose belle che era scomparso in noi in questi duri anni guerra”[15].
Anche se riferite al concerto in questione, queste parole coniugano i valori attributi al consumo dello spettacolo in generale. Che il pubblico fosse borghese o popolare, italiano o tedesco, il dato oggettivo rimaneva la fruizione di un prodotto capace di restituire quanto la guerra aveva violentemente negato: “Il sentimento di sensibilità per le cose belle” significava il ritorno al senso della vita, spirituale e materiale. L’elemento variabile era dato dal modo in cui l’operaio, l’impiegato, la casalinga, il libro professionista, partecipavano e vivevano le attese della ricostruzione, anche quando assumevano il ruolo di spettatori.
Tuttavia la ripresa delle attività musicali locali faticava ad organizzarsi, sia per le limitate risorse economiche che per la latitanza del destinatario. “Disinteresse o meglio apatia è infatti l’espressione del nostro attuale pubblico”, scrisse Aladar Janes. Osservò inoltre che “nell’estate che succedette alla liberazione si notò invero un certo risveglio, uno stato euforico che sembrò di buon auspicio”. Fu un momento “fittizio”, animato da passioni e iniziative individuali. Per superare la situazione era necessaria, a suo vedere, la riapertura del Conservatorio: “Solo allora si potrà riprendere quell’attività musicale che distingueva Bolzano; e la costituzione di trii, quartetti, quintetti ed orchestre d’archi saranno uno sbocco naturale di tanta forza artistica”[16].
Merano 1946
Durante il 1946 il calendario meranese si arricchì di spettacoli e registrò lo sviluppo di nuove esperienze che consolidarono il processo di ricostruzione avviato nel 1945 negli ambienti culturali italiani e tedeschi. La scelta dei repertori rispondeva da un lato alla necessità di proporre commedie popolari e di facile consumo, dall’altro lato ambiva a ricucire lo strappo con le rispettive tradizioni.
Nel programma della Meraner Volksbühne figurarono le opere di autori tedeschi che il pubblico meranese e anche bolzanino aveva applaudito prima dei divieti fascisti. Nel teatro di vicolo della Posta si susseguirono le farse Familie Hannemann (Famiglia Hannemann) di Otto Schwartz e Max Reimann, Der verkaufte Grossvater di Franz Streicher, Hilfe, die Welt geht unter di Wilhelm Jacobi e Werner Holzmann. In autunno la compagnia, forte del successo ottenuto da parte di pubblico e critica, si confrontò con un’opera famosa del repertorio austriaco, Im Weißen Rößl (Al Cavallino Bianco) di Ralph Benatzky. Anche il successivo ’s Nullerl di Karl Morre, altro testo classico del genere popolare contadino, fece registrare grande concorso di pubblico.
Karl Margraf, altro fondamentale protagonista dello spettacolo locale, fondò la Südtiroler Landesbühne, con la quale propose nel Teatro Puccini apprezzati allestimenti di operette di scuola viennese quali Die Fledermaus (Il pipistrello) e Der Zigeunerbaron (Lo zingaro barone) di Johann Strauss, Schwarzwaldmädel (La ragazza della Foresta Nera) di Leon Jessel, Der Vetter aus Dingsda (Il cugino di Dingsda), di Eduard Kunneke, Die spanische Fliege (La mosca spagnola) di Franz Arnold ed Ernst Bach e Paganini di Franz Lehár. Composta prevalentemente da giovani attori dilettanti, la compagnia si fece applaudire in tutta la provincia. Diventò la compagnia stabile del Teatro Puccini. Il progetto artistico di Margraf trovò consensi in attori professionisti, rifugiati a Merano durante la guerra, che vi aderirono favorendo il miglioramento della qualità artistica. Tra questi figurarono la vedette Edith Hölzl, Traute Wassler che poi emigrò nel Volkstheater di Vienna, Greti Capisaldi scritturata nel 1947 dalla Scala di Milano, Ursula Danera, il caratterista Horst Rüdiger, Erich Schieder[17]. Anche Erika Fuchs fu scritturata per qualche spettacolo.
Oltre all’operetta viennese, il Teatro Puccini recuperò la lirica. Diventarono serate memorabili le rappresentazioni del rossiniano Barbiere di Siviglia diretto dal maestro Aldo Felizianetti con la presenza del baritono di statura internazionale Carlo Galeffi, della Bohème di Giacomo Puccini con Vera Montanari nel ruolo di Mimi, del Rigoletto di Giuseppe Verdi per la direzione di Giovanni Fratini, maestro già operativo nel Teatro Verdi di Bolzano, con la partecipazione di Giovanni Inghilleri e Liana Grani, artisti di prestigio nazionale[18].
Allo spettatore italiano non mancò l’offerta della filodrammatica Minerva che nel Teatro Puccini recitò la favola per bambini Biancaneve, Tutto per la donna di Nicola Mannari con Erika Fuchs protagonista, che poi si distinse ne La nemica di Dario Niccodemi, successivamente proposta nel Teatro ex GIL di Bressanone ed a Vipiteno, e ne La Signora della Camelie di Alexandre Dumas figlio. Infine si confrontò con Scampolo (Strassenkind) di Niccodemi in lingua tedesca. Offrì inoltre intrattenimenti di varietà ai reduci ricoverati nell’ospedale Esperia e per gli ospiti del Grand Hotel.
Con una certa discontinuità si mosse la filodrammatica Arcobaleno, comunque apprezzata in Pia de’ Tolomei di Beniamino Palmas e nel Conte di Montecristo da Alexandre Dumas.
Bolzano 1946
Il 1946 fu un anno importante per lo spettacolo che progredì in parallelo alla proliferazione degli spazi deputati all’esercizio delle arti sceniche.
Nella Sala Veritas di Cristo Re, l’omonima filodrammatica recitò Tacere di Mario Tiranti, Nel vortice di Umberto Signorini, L’ultima mela del ghiozzo di Igeo Righi e la commedia brillante Cercasi abile detective di Remo Fusilli. Si esibirono i Liberi Dilettanti con Per la porta di Ossip Félyne e la neonata filodrammatica Amici dell’Arte legata all’Azienda elettrica di Bolzano con Vecie storie, commedia in dialetto trentino di Dante Sartori. Nel cartellone fu inserita l’esibizione del pianista trentino Bruno Mezzena.
Poco utilizzata fu l’aula magna dell’Istituto Cesare Battisti, che fu aperta per un concerto vocale e strumentale a favore dei reduci e per la filodrammatica Amici dell’Arte che recitò La nemica di Dario Niccodemi e La fine di un dramma di Onip.
Vicino a questi spazi furono recuperati altri ambienti. Nel cinema-teatro Druso la filodrammatica Minerva allestì Zente refada, commedia satirica scritta da Giacinto Gallina nel 1875, che colpisce le manie e svela le contraddizioni di una borghesia diventata ricca e volgare. La stessa compagnia deliziò il pubblico presente nel teatrino della Casa del Popolo (ex Casa del Fascio) per assistere a La nemica e successivamente Scampolo di Niccodemi. Dal 18 ottobre dispose di un teatro proprio in viale Trieste, inaugurato con La nostra pelle di Sabatino Lopez.
Nel cinema-teatro Corso la compagnia veneta guidata da Gino e Gianni Cavalieri interpretò Scandalo sotto la luna di Ferdinando Palmieri e Casa caneta di Elia Lockmann. L’ex Palazzo del Turismo aveva il compito di colmare il vuoto lasciato dal Teatro Verdi. Un accordo firmato dal commissario prefettizio del Comune di Bolzano, Federico Führer, con l’Azienda autonoma di soggiorno e turismo pattuì la “affittanza della sala grande del Palazzo del Turismo ad uso teatro”[19]. Il contratto era entrato in vigore il 1° dicembre 1944 e si protrasse fino al 31 dicembre 1945. La sala grande del Palazzo del Turismo aveva ospitato nel 1940 e nel 1942 la Biennale d’Arte della Venezia Tridentina e nel 1943 i concerti sinfonici organizzati dalla Società dei Concerti[20]. Per coprire le spese dei lavori di ristrutturazione, resi necessari dai danni subiti a seguito dei bombardamenti, fu bandito un concorso fra impresari di cinema, “obbligandosi a cedere in godimento il locale in cambio di lavori che avrebbero dovuto farsi secondo un criterio determinato dagli amministratori stessi: non con fini di pura speculazione, ma con intendimenti di una certa ricercatezza e signorilità”. Vinse il bando la Società italiana rappresentazioni cinematografiche (SIRC) di Verona, perché “si è impegnata di condurre a termine i lavori necessari in cambio della gestione del locale per proprio conto e per la durata di sedici anni”[21]. Una clausola contrattuale ne prevedeva, per venti giorni l’anno, l’uso per spettacoli teatrali. La sala disponeva di 801 posti si cui 730 in platea, 71 in una doppia fila di 14 palchetti costruiti nella parete di fondo. Il palcoscenico misurava 16 metri in larghezza, 10 metri di altezza e 8,20 di profondità; il boccascena risultò alto 6,40 metri e largo 9 metri.
Il salto di qualità per l’ambiente bolzanino fu dato dalla riapertura del Conservatorio e dalla ricostruzione della Società dei Concerti attiva dal 1942. Alla fine di marzo fu inoltre fondata la società Amici della Musica sostenuta dall’ANPI, che mise a disposizione la sala sociale della sede di piazza Vittorio Emanuele (oggi piazza Walther) per otto concerti da camera[22]. Preceduta da esibizioni di Leo Petroni e del Nuovo Quartetto Italiano (i violinisti Paolo Borciani e Elisa Pegreffi, il violista Lionello Forzanti, il violoncellista Franco Rossi), la stagione fu inaugurata dal doppio recital di Nunzio Montanari (16-17 aprile), cui seguirono il violinista Giannino Carpi accompagnato al pianoforte da Montanari, il violoncellista Antonio Valisi, il soprano Elsa Schmidt-Marschner con il violoncellista Balilla Fabbri e ancora Montanari, il coro trentino della SAT. Gli ultimi spettacoli si tennero nella sala di Palazzo Ducale e videro impegnati il Quartetto Poltronieri (Alberto Poltronieri, Giannino Carpi, Giuseppe Alessandri, Antonio Valisi), Arturo Benedetti Michelangeli[23] e il Trio di Bolzano.
Se questi furono appuntamenti per pochi e scelti spettatori, per un pubblico più vasto furono predisposti intrattenimenti estivi iscritti nel cartello del cosiddetto “Cine-Giarda”, ampio spazio all’aperto dotato di palcoscenico e platea che si trovava all’inizio di corso Italia. Oltre alla proiezione di pellicole cinematografiche, vi si tennero spettacoli teatrali. Fu invitata la Compagnia Grandi Spettacoli di Operette e Riviste diretta da Nora De Rios e Nino Gandosio per un ciclo di operette di cassetta, Madama di Tebe di Carlo Lombardo, La vedova allegra e La danza delle libellule di Franz Lehár e La principessa della Czarda di Emmerich Kálmán, cui si aggiunsero Acqua cheta e Primarosa di Giuseppe Pietri.
Lo spettacolo più suggestivo per l’impatto visivo e ricco di significati extrateatrali proposto a Bolzano nel 1946 fu Jedermann, das Spiel vom Sterben des reichen Mannes (Ognuno, il dramma della morte del ricco) di Hugo von Hofmannsthal. Era stato presentato prima nel Teatro Puccini di Merano poi sul sacrato della parrocchia meranese di San Nicolò, quindi nel capoluogo in piazza Gries. Le rappresentazioni del 22 e 23 ottobre si tennero davanti all’ingresso principale del Duomo e gli introiti erano destinati alla sua ricostruzione. La facciata bombardata assurse a scenografia per gli attori della compagnia stabile guidata da Karl Margraf e diventò metafora che visualizzava la tragedia di una spiritualità lacerata, di un’identità morale e religiosa smarrita. A partire dagli anni del primo dopoguerra il capolavoro di von Hofmannsthal era diventato una sorta di parabola storica, spirituale e materiale del popolo tedesco che veniva esaltato per le virtù cristiane della tolleranza e della carità. Jedermann aveva inaugurato nell’agosto 1920 il festival di Salisburgo, fondato dallo stesso autore con Richard Strauss e Max Reinhardt al quale fu affidata la regia dello spettacolo che si tenne sul sagrato del Duomo, suscitando non poche polemiche..
Merano 1947
Le esperienze del 1946, seminate nel solco tracciato dalla Meraner Volksbühne e dalla Südtiroler Landesbühne germogliarono e diedero prodotti di quantità e qualità. La vita teatrale si sostanziò definitivamente nel tessuto culturale della città e si passò dalla fase della ricostruzione alla stabilità, con progetti lineari per quando riguarda gli orientamenti letterari del repertorio.
L’impegno della Meraner Volksbühne si fece assiduo e si caratterizzò per un nuovo indirizzo nella scelta dei testi, che affiancò al filone della commedia dialettale di ambientazione contadina autori iscritti nella tradizione della drammaturgia tedesca. Fu il caso di Ludwig Thoma, affermato romanziere e commediografo bavarese. Scrisse opere satiriche in cui bersagliava le dinamiche familiari come in Die kleinen Verwandten e colpiva i ruoli sociali in Erster Klasse (Prima classe), commedie applaudite a Merano nella versione curata dalla Meraner Volksbühne. La quale proseguì con successo le repliche del fortunato Im Weissen Rössl (Al cavallino Bianco). Esito analogo ottenne la messinscena di Der siebte Bua (Il settimo Bua) di Max Neal e Max Ferner, commedia contadina che si svolge in un maso bavarese dove l’attesa del settimo figlio della famiglia è accompagnata da una serie di divertenti e inaspettate sorprese, e la trilogia Der Naz, Der Gafleiner, Der Joch ricavati dal ciclo Die sieben Todsünden, (I sette peccati capitali) del tirolese Franz Kranewitter, rispettivamente dedicati all’avarizia, invidia e ingordigia. Si rimase nell’area tirolese con Die Longfallerin di Otto Mayr ambientata nel 1750 in un maso di Tirolo. Tra le altre produzioni spiccano Apostelspiel (Gli apostoli) di Max Mell e ’s Nullerl dell’austriaco Karl Morre[24].
La Südtiroler Landesbühne approfondì l’operetta viennese. Karl Margraf propose agli attori della compagnia stabile del Teatro Puccini testi famosi e di sicura presa sul pubblico. La scelta fu vincente, considerata l’affluenza per assistere alle rappresentazioni di Der Vetter aus Dingsda (Il cugino di Dingsda) di Eduard Kunneke, Das Land des Lächelns (Il paese del sorriso), Der Graf von Luxemburg (Il conte di Lussemburgo) di Franz Lehár e Das Dreimäderlhaus (La casa delle tre ragazze) di Franz Schubert. In esse lo spettatore meranese, oltre al gradimento estetico e musicale, poteva rivivere i fasti dell’epopea asburgica ora sepolti dalla storia ed evocare i legami recisi con il Tirolo austriaco.
Per quanto riguarda il melodramma la direzione del Teatro Puccini si limitò alla messinscena di Madama Butterfly di Giacomo Puccini, affidata alla direzione orchestrale di Giovanni Fratini e all’interpretazione nei ruoli principali di Grete Rapisardi, Maria Rinaldi e Carlo Colombo.
L’avvenimento clou della stagione fu il ritorno sul palcoscenico del Teatro Puccini della Exl-Bühne, la celebre compagnia di Innsbuck fondata nel 1902 dall’attore e regista Ferdinand Exl che annoverava frequenti ospitalità a partire dagli anni venti[25]. Le rappresentazioni dei cavalli di battaglia – Via Mala di John Knittel, Der verkaufte Großvater di Anton Hamik, Die sieben Todsünden, (I sette peccati capitali) di Franz Kranewitter, Der G’wissenswurm (Il tarlo della coscienza), di Ludwig Anzengruber – costituirono, oltre a garanzia di qualità, un simbolico atto di definitivo superamento della censura fascista e di riappropriazione della propria cultura teatrale per la comunità di madre lingua tedesca.
Bolzano 1947
La sera del 16 marzo 1947 fu inaugurato il Teatro del Lavoratore dai Liberi Dilettanti con la messinscena di I due sergenti di Baudouin d’Aubigny, dramma popolare francese incentrato sulla gara di amicizia fra due militari messi a rischio di vita. Si trovava in un luogo funesto, dai ricordi inquietanti, precisamente all’interno del lager di via Resia, che, appena dimesso, era stato trasformato rapidamente e restituito alla vita, quella dei miseri. Le celle diventarono stanze di appartamenti; il Teatro del Lavoratore, che occupava uno dei capannoni posizionati a sinistra dell’ingresso, diventò luogo di ritrovo e di svago. Fu dotato di un ampio palcoscenico, di panche comuni e sedie che lo spettatore si portava da casa. Per la filodrammatica Liberi Dilettanti fu una sorta di sede. Vi replicò la commedia di d’Aubigny, vi recitò ancora La nemica di Niccodemi e La voce della tempesta di Emily Brontë. Non solo. Il Teatro del Lavoratore diventò punto di incontro del movimento filodrammatico cittadino. Si proposero il Gad Lancia con Trenta secondi d’amore di Aldo De Benedetti, il Minerva con L’avvocato difensore di Mario Morais.
Locandina del 1947 della filodrammatica “Minerva” per uno spettacolo presso
il “Teatro del Lavoratore”, nell’ex campo di concentramento di Bolzano. (Dal Piai 1987)
“Vi passavano in quegli anni – ricorda Dal Piai – numerose compagnie di giro. Carrozzoni in cerca di sbarcare il lunario, ma anche gruppi di una certa professionalità. Andava bene ogni cosa, purché la proposta fosse frequente”[26]. Arrivò, per esempio una compagnia drammatica professionista, l’Unione Lavoratori dello Spettacolo.
A questo spazio dai requisiti popolari si affiancò il rinnovato cinema-teatro Corso. La compagnia di Cesco Baseggio presentò un repertorio simile a quello esibito prima nel Teatro Puccini di Merano. Comprendeva Sior Todero brontolon di Carlo Goldoni, L’avvocato difensore di Morais e il Tramonto di Renato Simoni. In una seconda venuta gli spettatori assistettero alla rappresentazione di altri due esempi di teatro veneto, Sior Tita paron di Gino Rocca e I rusteghi di Goldoni. Alla prosa si affiancò la musica con i concerti sinfonici diretti dal maestro Aladar Janes e l’esibizione della celebre soprano Mafalda Favero, accompagnata al pianoforte da Nunzio Montanari. Oltre a spettacoli adatti ad una platea italiana, la sala del Cinema Teatro Corso si rivolse anche allo spettatore di lingua tedesca, che accorse per assistere alle operette Das Land des Lächelns (Il paese del sorriso) di Franz Lehár e Das Dreimäderlhaus (La casa delle tre ragazze) di Franz Schubert nell’edizione curata dalla Südtiroler Landesbühne di Margraf. Per quattro sere la star viennese Marika Rökk ottenne il tutto esaurito con uno spettacolo di varietà. Il concerto del maestro Luca Petroni in collaborazione con Fritz Wiedlich, direttore del Conservatorio di Innsbruck, completò l’offerta. “Come si vede – commentò il cronista del quotidiano Alto Adige – si è cercato di accontentare non soltanto i gruppi etnici, ma anche le varie aspirazioni dei singoli strati culturali e sociali”[27].
Con il sostegno del Conservatorio, decollò il progetto della Società dei Concerti. Il celebre violinista germanico Georg Kulenkampff accompagnato al pianoforte da Antonio Feltrami inaugurò il ciclo di concerti nella sala dell’Hotel Grifone. Seguirono il quartetto dell’Accademia Chigiana, il trio di Trieste, il Nuovo Quartetto Italiano, il pianista Nino Rossi, il Quartetto d’archi Lener, la soprano Lydia Stix accompagnata al pianoforte da Nunzio Montanari, il violinista Enrico Mainardi.
Anche il cinema-teatro Druso offrì spettacoli interessanti. Si alzò il sipario su commedie in lingua italiana e tedesca, quali Die Kath di Roman Pola allestita dalla debuttante Dilettanten Bühne, le tre repliche di En malgar… ma che om! del trentino Angelo Gentilotti a cura della filodrammatica Dilettanti Trentini.
Nel corso dell’estate fu proposta la seconda edizione di spettacoli nel Cine-Giarda, e la qualità dell’offerta fu eccellente. Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti si avvalse della presenza esclusiva del soprano Lina Pagliughi, che tornava a Bolzano dopo quattro anni. Carlo Caleffi impreziosì il verdiano Rigoletto, mentre il rossiniano Barbiere di Siviglia costituì il culmine del ciclo lirico annoverando nel cast i talenti della Pagliughi e di Caleffi.
Il successo dello spettacolo all’aperto indusse l’ENEL, in collaborazione con la filodrammatica Minerva, a realizzare una serata di festival, il cosiddetto Carro di Tespi, nel piazzale interno della Casa del Popolo. Nel ricco cartellone figurarono la filodrammatica Minerva che presentò La nemica, Scampolo, La maestrina di Dario Niccodemi, e poi L’avvocato difensore di Morais e Tristi amori di Giuseppe Giacosa.
Carro di Tespi del 1947. Il circolo “Minerva” mette in scena “La nemica”
di Dario Niccodemi (Dal Piai 1987)
La filodrammatica Città di Bolzano si fece applaudire con La casa del parco di Giuseppe Romualdi, dramma poliziesco carico di suspense, e La voce della tempesta di Emily Brontë. Il castigamatti, commedia musicale brillante di Giulio Svetoni e Terra lontana di Riccardo Melani furono i testi scelti dai Liberi Dilettanti. In qualità di ospite il meranese Karl Margraf risultò abile interprete del varietà Ritmi e Melodie[28]. Pur disturbata dal maltempo, la manifestazione fece registrare un lusinghiero bilancio artistico e di pubblico.
Merano 1948
Il 5 gennaio debuttarono due nuove produzioni: nel Teatro Puccini l’operetta Die Fledermaus (Il pipistrello) di Johann Strauss a cura della Meraner Theater Ensemble per la regia di Karl Margraf e Kleider machen Leute! della Meraner Volksbühne, che l’indomani recitò la fiaba Il piccolo sarto coraggioso di Jacob Grimm nella sede di vicolo delle Poste.
La Meraner Volksbühne era diventata un organismo assai efficace sotto il profilo organizzativo, in grado di imprimere continuità alle iniziative. Il repertorio attinse dal serbatoio del teatro popolare di area austriaca applaudito negli anni precedenti. Nel cartellone si leggono le novità Alles steht Kopf di Anton Hamik e Felix Renker, commedia per i ragazzi, e Der Hallodri di Franz Streicher, la ripresa di Die kleinen Verwandten e Erster Klasse (Prima classe) di Ludwig Thoma, Der siebte Bua (Il settimo Bua) di Max Neal e Max Ferner, e ancora Die sieben Todsünden, (I sette peccati capitali) di Franz Kranewitter, Stadt und Land di Friedrich Kaiser e Die Mühle im Schwarzwald di Alwin Brosch.
Le produzioni della Meraner Theater Ensemble attinsero nuovamente dal ricco e fortunato serbatoio dell’operetta viennese. Per la messinscena di Die Frau ohne Kuß (La signora senza bacio) di Walter Kollo furono scritturati attori austriaci, quali Alexander Pichler del Raimund Theater di Vienna, Harry Hardt, André Mattoni, Alex Pichler e Max Schipper del Landestheater di Innsbruck. Quest’ultimo fu assunto dal regista Karl Margraf anche per la rappresentazione di Das unheilige Hans di Sandor Szlatinay, applaudita anche sul palcoscenico del cinema-teatro Druso di Bolzano, Die lustige Witwe (La vedova allegra) e Der Zarewitch (Lo Zarewitch) di Franz Lehár.
Se il teatro diffuso dalla compagnia amatoriale Meraner Volksbühne aveva raccolto intorno a sé un pubblico popolare e assai numeroso, raccolto nella piccola sala di vicolo della Posta, all’elegante platea del Teatro Puccini furono proposti spettacoli affidati alle competenze artistiche di compagnie di professionisti. Arrivò la Stadttheater-Ensemble di Innsbruck guidata da Magda Schneider, madre di Romy Schneider con la quale reciterà nella serie Sissi, il destino di un’imperatrice diretta da Ernst Marischka. Il pubblico tributò agli attori lunghi e calorosi applausi, tanto che la rappresentazione di Die Kammerjungfrau di Jules Devol conobbe esiti trionfali. L’attenzione verso le compagnie austriache proseguì con il ritorno della Exl-Bühne. Per le casse del Teatro Puccini significò la certezza di vendere molti biglietti, anche perché gli attori proposero in un’unica serata-evento un testo di grande richiamo, Der Weibsteufel (L’indemoniata) di Karl Schönherr, affidata alle cure sceniche di Leopold Hainisch e all’interpretazione dei ruoli principali a due attori storici e consacrati dell’Ensemble, Ilse Exl e il brunicense Ludwig Auer. Il gruppo di Innsbruck, invitato una seconda volta, offrì Die kleine Passion di Elmire Koref-Geyer e Das unheilige Hans di Sandor Szlatinay.
Bolzano 1948
Il 1948 fu l’anno che completò il processo di stabilizzazione del teatro in lingua tedesca nel movimento filodrammatico della città, prima dominato dalle compagnie di lingua italiana.
Durante l’estate la Bozner Bühne si costituì formalmente come associazione e tra i fondatori figurò il nome di Silvius Magnago. L’uomo politico aveva capito l’importanza del teatro per la crescita della vita culturale e, non da ultimo, per il suo ruolo primario nella ricostruzione dell’identità culturale tirolese. L’elargizione di contributi premiò la compagnia, che si era fatta applaudire con Der Kreidekreis (Il cerchio di gesso) di Klabund (pseudonimo di Alfred Henschke), Der Hexenmeister (Lo stregone) di Friedrich Gustav Triesch, commedia replicata tre volte, e soprattutto con Hanneles Himmelfahrt (L’Assunzione di Hannele) di Gerhart Hauptmann recitata in un “teatro affollato”, il cinema-teatro Druso, e con “attori festeggiatissimi”[29]. Il successo indusse la compagnia a replicare lo spettacolo altre due volte.
La consacrazione arrivò con le tre serate dedicate a Die spanische Fliege (La mosca spagnola) di Franz Arnold ed Ernst Bach, al cospetto di una platea che occupò ogni ordine di posto del Druso, il dramma Kindertragödie (Tragedia infantile) di Karl Schönherr e l’edizione in lingua tedesca di Gassenmädel (Scampolo) di Dario Niccodemi.
Seguendo l’esempio già collaudato nel Teatro Puccini, furono scritturate compagnie di attori professionisti. Salirono sul palcoscenico del Druso gruppi austriaci come Alpenlandbühne di Innsbruck con due commedie dialettali, ’s Glück vom Riedhof di Wilhelm Köhler e Trutzige Liab di Albert Leitner.
Anche il cinema-teatro Corso aprì i battenti a spettacoli in lingua tedesca. Si trattava di un segnale importante sotto il profilo delle relazioni politiche e culturali tra i gruppi etnici. Ospitò la Exl-Bühne di Innsbruck che propose rappresentazioni di testi popolari, Der G’wissenswurm (Il tarlo della coscienza) di Ludwig Anzengruber, Der verkaufte Grossvater di Franz Streicher, la commedia Via Mala di John Knittel e il citato dramma Der Weibsteufel (L’indemoniata) di Karl Schönherr. Mesi dopo, il 14 dicembre, la stessa compagnia si confrontò con Die kleine Passion di Elmire Koref-Geyer.
L’indomani la compagnia di Cesco Baseggio si presentò al pubblico bolzanino con due rappresentazioni tratte dal repertorio goldoniano, La bona mare e La gastalda veneziana. Il nome del drammaturgo e la notorietà dell’attore veneto bastarono a riempire la sala, anche perché al suo fianco recitava il celebre soprano Toti Dal Monte, che aveva abbandonato la lirica per la prosa. In precedenza Baseggio si era esibito nel cinema-teatro Corso in coppia con Elsa Merlini, altra attrice di grido. Presentarono un ciclo di testi goldoniani. Si divisero gli applausi quando recitarono Le baruffe chiozzotte e I rusteghi, l’attore dominò la scena con Sior Todero brontolon e l’attrice fu acclamata protagonista de La locandiera nel ruolo di Mirandolina.
Secondo il principio della varietà dell’offerta e dell’alternanza dei generi nello stesso cinema-teatro Corso trovò spazio anche lo spettacolo di varietà, quando la compagnia di Giuseppe De Vico e Lucy D’Albert creò situazioni di comicità e divertimento per due serate consecutive con Quando spunta la luna in Italy, che fu poi replicato nel Kursaal di Merano, da poco riaperto.
Il successo delle compagnie ospiti non compromise l’attività delle filodrammatiche. Nel Teatro del Lavoratore di via Resia i Liberi Dilettanti proposero Bianca e Fernando alla tomba di Carlo IV, duca di Agrigento, dramma di Carlo Roti, e Il bastardo del duca d’Argil di Giovanni Fissore. Nella sala del cinema-teatro Druso la filodrammatica veneta guidata dai fratelli Gino e Gianni Cavallieri attirò l’attenzione con Zente refada di Giacinto Gallina e Nina non far la stupida stasera di Arturo Rossato e Gian Capo.
Nel mese di ottobre la filodrammatica Minerva collaudò il Teatro dei Filodrammatici, uno spazio teatrale ricavato nell’ex GIL di viale Trieste. A spese proprie aveva attrezzato la palestra del collegio di specializzazione militare, dotandola di bar, ampio foyer, biglietteria, camerini e di una sala capace di “ospitare oltre 600 persone distribuite fra la platea e la galleria, ancora in costruzione, e avrà un palcoscenico di circa 120 mq. Con tutti i servizi necessari che troveranno una razionale sistemazione nei locali sotterranei”. È quanto si legge in un comunicato dell’associazione Minerva, cui competeva la gestione, inviato al Sindaco di Bolzano affinché partecipasse assieme a ditte, associazioni ed enti “alla realizzazione del teatro con materiali, manodopera, offerte in denaro”. Il Teatro dei Filodrammatici “darà modo alla popolazione meno abbiente di poter assistere, con una modestissima spesa, a manifestazioni d’arte, […], a spettacoli di prosa, concerti, conferenze, proiezioni di film educativi”, non trascurando la gioventù “per la quale verrà svolto uno speciale programma di manifestazioni culturali-educative”. Le finalità educative e ricreative cercavano un dialogo costruttivo con le problematiche etniche “per rinsaldare quei vincoli di fraterna pacifica convivenza fra il gruppo di lingua tedesca e quello di lingua italiana”[30]. La sala fu inaugurata il 28 settembre 1949 dal ministro Giuseppe Pella, presente a Bolzano per l’apertura della fiera campionaria. Sul palcoscenico salirono gli attori del gruppo di lingua tedesca con Die Geschwister (I fratelli) di Johann Wolfgang Goethe, seguirono gli interpreti di lingua italiana con L’avaro di Carlo Goldoni.
Idea di un nuovo teatro. Una questione tutta bolzanina
In occasione di una conferenza tenuta a Bolzano nel maggio 1948 Silvio d’Amico, critico e intellettuale di riferimento per il teatro italiano a partire dagli anni trenta, pose una domanda semplice e prevedibile per un osservatore esterno: “E a Bolzano che si fa per la ricostruzione del teatro distrutto dalla guerra?”. È immaginabile l’imbarazzo dell’interlocutore ma nello stesso tempo un senso di sollievo nel comunicare che dopo cinque anni stavano maturando i presupposti per la soluzione del problema. L’articolo del quotidiano Alto Adige, da cui è tratta la citata frase di d’Amico, diede inoltre notizia, tra l’altro, di un bando di concorso diffuso dal Comune in data 2 dicembre 1947 e ne pubblicò i passaggi fondamentali[31]. Si legge che al concorso potevano partecipare solo architetti e ingegneri italiani. Il criterio selettivo definiva la funzione anche politica del nuovo edificio teatrale, che perciò voleva consegnare alla comunità italiana un simbolico monumento della presenza nel territorio della propria cultura, così come nel 1918 era stato fatto per la comunità tedesca con lo Stadttheater (Teatro Civico) costruito da Max Littmann. Si trattava infatti di un progetto molto ambizioso, di faraoniche dimensioni. Erano previste una sala per gli spettacoli di prosa, lirica e musica capace di almeno 1.600 posti a sedere; una sala per proiezioni cinematografiche e per trattenimenti danzanti e conferenze da ricavarsi nel seminterrato e con annessi locali per servizio bar e ristorante; infine più sale per esposizioni e alcuni locali ad uso amministrativo.
Quanto questo progetto fosse assunto con riserve ed entusiasmo contaminato da scetticismo da parte della stampa e anche probabilmente dell’opinione pubblica, lo può dimostrare un articolo pubblicato dallo stesso quotidiano. L’autore raccontò di un incontro con Guido Salvini, attore e regista che aveva recitato con la sua compagnia nel Teatro Verdi. Dopo aver parlato della situazione del teatro italiano e delle due prospettive future, il discorso cadde su Bolzano. Questo passaggio dell’intervista merita una citazione. L’uomo di spettacolo chiede:
“[…] Che cosa è rimasto del grazioso Teatro Verdi di Bolzano?
Niente.
Peccato. Ma sarà ricostruito, altrimenti dove verranno accolti i complessi dei grandi centri appena potranno spostarsi?
Non sta a me stabilirlo. Per il momento si è fatto qualche accenno all’argomento e non c’è che la sola radio a tener desto l’interesse del pubblico verso il teatro. Ma tutto potrà succedere, non si sa mai! Quel troncone di edificio rimasto in piedi, sullo sfondo del Virgolo e i panciuti puttini della facciata del teatro Verdi, caduti tutt’intorno stanno supini come dei bambini in attesa di qualcuno che vada a rialzarli[32]”.
L’attesa sarà lunga, si dovrà pazientare fino al 9 settembre 1999, data di inaugurazione del Teatro Comunale progettato da Marco Zanuso. Fino a quella data lo spettatore italiano peregrinerà per diversi ambienti di spettacolo sparsi per la città; il pubblico tedesco si accomoderà nella sala della Haus der Kultur Walther von der Vogelweide aperta nel 1967.
NOTE
[1] La testimonianza è riportata da Giorgio Dal Piai, Teatro che passione! Storia del teatro amatoriale in Alto Adige, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige-Assessorato alla cultura in lingua italiana, Bolzano 1987: 364.
[2] La citazione è tratta da Dal Piai 1987: 374.
[3] È sufficiente ricordare la stagione 1942/1943. Recitarono le compagnie del Teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia, di Annibale Betrone, Memo Benassi e Laura Carli, il Teatro di Venezia diretto da Carlo Micheluzzi, Marcello Giorda e Pina Cei, il Teatro Odeon di Milano guidato da Luigi Carini, il Teatro dell’Eliseo. Per quanto riguarda la lirica, sono da ricordare Tosca di Giacomo Puccini, Elisir d’amore di Gaetano Donizetti, Rigoletto di Giuseppe Verdi e L’amico Fritz di Pietro Mascagni, affidate all’interpretazione di celebri cantanti quali Emilio Renzi, Liana Grani, Mario Basiola. Un’esauriente trattazione degli spettacoli tenuti al Verdi durante la guerra si legge nel contributo di Giovanni Perez In: Fabrizio Miori, Tiziano Rosani (a cura di), Non abbiamo più caffè. Bolzano 1940-43: una città in guerra, Bolzano 2003, vol. I: 155-208. Le caratteristiche architettoniche dell’edificio, il suo ruolo nel tessuto culturale della città, la storia artistica delle stagioni teatrali e l’utilizzo a scopi civili, sono gli argomenti trattati nel volume a cura di Massimo Bertoldi – Angela Mura, Teatro Civico/Verdi di Bolzano. Storia di un teatro di frontiera. 1918-1943, Comune di Bolzano, Bolzano 2010.
[4] Pedullà 1994: 211-239 e 319-361.
[5] Guglielmo Barblan, «Cronache del teatro e della musica». In: Atesia Augusta, III (1941): 45-46.
[6] Sulla figura e la vita di Cianci Gatti (pseudonimo di Luigi Gatti), poliedrico uomo di spettacolo applaudito da platee nazionali e internazionali, vedi la monografia di Sandro Ottoni, Suonate pure! Io ho suonato abbastanza... Cianci Gatti. Il racconto di una vita, Cinisello Balsamo (Milano) 2007.
[7] La testimonianza è raccolta da Dal Piai 1987: 362.
[8] La Provincia di Bolzano, 4 aprile 1942.
[9] Dal Piai 1987: 18.
[10] Alto Adige, 23 settembre 1945.
[11] Punto di riferimento per la ricostruzione delle linee essenziali del teatro in lingua tedesca maturato nel dopoguerra sono i contributi di Gustav Kastl – Egon Kühebacher, «Aus der Geschichte des Bundes Südtiroler Volksbühne». In: Der Schlern, 49 (1975):450-466; Ingelies Zimmermann, «Über das Meraner Theater». In: Südtirol im Wort und Bild, 21. Jahrgang (1977): 8-11 e Hugo Seyr «Das hochsprachliche Theater in Südtirol. Entwicklung und Ausblick». In: Der Schlern: 49 (1975): 9-18. Per quanto riguarda la storia delle filodrammatiche italiane si rinvia al basilare lavoro di Dal Piai 1987 e Paolo Valente, «Notizie storiche sull’associazionismo culturale italiano in Alto Adige». In: Culturali Alto Adige 1954-2000. Associazioni culturali, personaggi, reti societarie, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige Cultura Italiana, Bolzano 2003: 32-33, 38-40, 79-80.
[12] Il Circolo Minerva era un centro culturale molto attivo. Organizzava conferenze in italiano e in tedesco, mostre fotografiche e di pittura. Oltre a promuovere l’omonima compagnia teatrale, propose frequenti concerti e serate di Lieder, e spettacoli di rivista che si svolgevano in lingua italiana, tedesca e inglese.
[13] Dal Piai 1987: 356.
[14] L’attività di Leo Petroni, figlio dell’ispettore tributario di Bolzano, è certificata a partire dalla stagione 1923/1924, quando si esibì nelle sale civiche. Nel novembre 1929 debuttò nel principale teatro cittadino come violinista aggiunto all’organico della compagnia viennese Kowalewsky, impegnata nella messinscena dell’operetta Paganini di Franz Lehár. Il mese successivo partecipò ad alcune rappresentazioni della compagnia di operette Isaplio guidata da Giuseppe Fiore. Nunzio Montanari arrivò a Bolzano nel 1939 in qualità di insegnante presso il Conservatorio. Vedi l’esauriente monografia di Gian Luigi Dardo – Andrea Bambace, Suonare! Per la gioia di suonare! Nunzio Montanari (1915-1993), Cinisello Balsamo (Milano) 2005.
[15] Alto Adige, 3 agosto 1945.
[16] A(ladar) J(anes), Bilancio o sbilancio musicale? in Alto Adige, 13 gennaio 1946. Vedi anche Giuliano Tonini, 150 anni di musica a Bolzano, Athesia, Bolzano 2006: 52-60. Le vicende storiche e artistiche del Conservatorio “Claudio Monteverdi”, fino al 1940 liceo musicale Gioacchino Rossini per poi diventare Regio Conservatorio di Stato affidato alla direzione di Mario Mascagni, al quale subentrò Cesare Nordio nel 1948, sono ricostruite da Claudio Gallico, «Origini e vicende del Conservatorio di Bolzano». In: Conservatorio Statale di Musica / Staatliches Musikkonservatorium “Claudio Monteverdi” Bolzano-Bozen. 1940-1965, Bolzano 1965: 9-16 e Hubert Stuppner, Musik und Gesellschaft in Südtirol, Band I, Bozen 1800–2000: Edition Raetia, Bozen 2009: 404-408, 459-499.
[17] Renate Abram, Il Teatro Puccini di Merano, Stadttheaterverein, Meran 1989: 84-86.
[18] Cast completo in Arrigo Valesio, Catalogo delle stagioni liriche al Teatro Civico di Merano dal 1900 al 1971/Auflestung der musikalischen Darbietungen im meraner Stadttheater von 1900 bis 1971, Merano. 2001: 136-137.
[19] ASB/SB, 1945, cat XV, classe 4, fasc. I.
[20] ASB/SB, 1945, cat XV, classe 4, fasc. I.
[21] Alto Adige, 31 ottobre 1946.
[22] Stuppner 2009: 419-421.
[23] Nella carriera di Arturo Benedetti Michelangeli i contatti con Bolzano costituirono tappe importanti. Di formazione milanese, il maestro, dopo i successi di Ginevra e la docenza di pianoforte al Conservatorio di Bologna, nel febbraio 1942 inaugurò l’attività della Società dei Concerti con un concerto nella Sala Dante Alighieri. Ritornò nel capoluogo atesino nel 1949 – intanto si era fatto conoscere in Inghilterra, Stati Uniti e Canada – per dirigere il Conservatorio Monteverdi, dove insegnò fino al 1959, ed entrare nel Comitato fondatore del Concorso pianistico internazionale Ferruccio Busoni. Vedi Vittorio Albani, «75 anni di musica». In Arturo Benedetti Michelangeli a Bolzano / Arturo Benedetti Michelangeli in Bozen. Immagini e suoni / In Bild und Ton, Bolzano: galleria Civica d’Arte- Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige-Assessorato alla cultura in lingua italiana 1997: 17-24.
[24] Karl Morre aveva scritto altri testi, tra i quali Deutsche Bauern, ambientato nelle vicinanze di Merano (“in der Umgebung Merans”), e pubblicato a Merano presso Ellmenreich nel 1902, anno in cui fu stampata a Bolzano da Buchhandlung Tyrolia Die Franzosen in Tirol. L’opera comica in tre atti con musiche di Adolf Peter si cala nel 1809, al tempo della sollevazione tirolese guidata da Andreas Hofer contro l’invasione delle truppe franco-bavaresi.
[25] Eugen Thurnher, «Ferdinand Exl». In: “Der Schlern”, 49 (1975): 446-449.
[26] Dal Piai 1987: 15.
[27] Alto Adige, 10 ottobre 1947.
[28] Dal Piai 1987: 48-49.
[29] Alto Adige, 8 marzo 1948.
[30] ASB/SB, 1948, cat XV, classe 4, fasc. II
[31] Alto Adige, 3 gennaio 1948.