Ettore Scola 1972

Una lettura dell’ambientazione sudtirolese di un film di Ettore Scola del 1972.

 

 

Alberto Sordi a Castel Tures

L’ambientazione sudtirolese nel film

«La più bella serata della mia vita» di Ettore Scola (1972)

 

di Carlo Romeo

 

Rif. bibl.: Carlo Romeo, Quando Sordi in Alto Adige vide il turismo del futuro, in «Alto Adige», 9 luglio 2024, p. 10.

 

Tra le opere del cinema d’autore italiano ambientate in Alto Adige, una delle più originali è «La più bella serata della mia vita», diretta nel 1972 da Ettore Scola e con Alberto Sordi protagonista. Liberamente ispirato al romanzo breve «La panne» di Friedrich Dürrenmatt (1956), il film è girato in massima parte nell’affascinante (e in questo caso inquietante) scenario di Castel Tures (Burg Taufers), nell’omonima valle laterale della Pusteria. Un’attenta lettura di tale ambientazione viene proposta da Roberto Antolini nel numero appena uscito della rivista «Arte Trentina».

Il racconto di Dürrenmatt era incentrato su uno dei temi più tipici del grande scrittore svizzero: il controverso rapporto tra giustizia e morale. A causa di un guasto all’auto, lo spregiudicato uomo d’affari Alfred Traps accetta l’ospitalità offertagli da un magistrato in pensione nella sua isolata villa di montagna. Costui, insieme a tre amici, anch’essi ex uomini di legge, ha un particolare passatempo: inscenare processi a personaggi immaginari e, quando possibile e con maggior piacere, a occasionali ospiti in carne ed ossa. Nel corso di una serata trascorsa tra cibi e vini pregiati, la vita del malcapitato viene indagata e rivoltata come un guanto fino alla scoperta dello scheletro nascosto. Infatti, secondo i quattro vecchi simili a immensi corvi, «che lo si voglia o no, c’è sempre qualcosa da confessare». La coscienza di Traps non reggerà: il mattino dopo lo troveranno impiccato nella sua stanza. Rispetto al rigore etico del luterano Dürrenmatt, l’adattamento di Scola (e Sergio Amidei) si muove con molta libertà, interessato com’è alla caratterizzazione critica della società italiana. «Lo vedevate un Sordi suicida perché oppresso dai sensi di colpa?», dirà anni dopo il regista. L’italianissimo Alfredo Rossi, in Svizzera per depositarvi milioni di lire, non perde fino all’ultimo il gusto della risata, segno distintivo di giocosa spacconaggine e indifferenza morale. E la giustizia nel suo caso non arriva attraverso un esame di coscienza, bensì un misterioso concatenarsi di eventi casuali. Come rileva Antolini, è soprattutto la scelta dell’ambientazione esotica dell’avventura a determinare le valenze etico-politiche del film. Castel Tures, con le sue sale medievali, la servitù locale che parla tedesco, i suoi riti arcani e incomprensibili, diventa il palcoscenico ideale, proprio in virtù della sua alterità, per la confessione dei peccati del piccolo borghese italico. Arrivista privo di scrupoli, impenitente bugiardo, dongiovanni e manipolatore, quella sera può togliersi di fronte ai commensali ogni maschera, ogni “doppia morale”, proprio perché si sente lontano dalle leggi e dalla società del Bel Paese.

 

Ettore Scola 1072 

 

Vi è un ulteriore passaggio nella libertà creativa della sceneggiatura di Scola che, nella migliore tradizione artigianale del cinema italiano, assorbe spunti colti dal contesto, quasi improvvisando fino all’ultimo. Risvegliatosi al mattino, dopo gli incubi notturni, il protagonista scopre che il castello è in realtà un organizzatissimo hotel. Nel salatissimo conto che gli viene presentato sono conteggiati non solo la cena e il suggestivo alloggio, ma anche lo “spettacolo” del processo, le promesse grazie della bella cameriera (la misteriosa Janet Agren che lo ha attirato sin lì) e persino la banda musicale in costume folkloristico che accompagna la sua partenza. È un ironico ribaltamento che allude alla presunta innocenza di un mondo idealizzato dall’occhio turistico.

 

Ettore Scola 1972

 

Il film di Scola, apprezzato dalla critica ma non dal grande pubblico, venne girato nell’estate del 1972 e fu l’ultimo di Pierre Brasseur, che interpretava il conte magistrato e che venne stroncato da un infarto a Brunico proprio negli ultimi giorni delle riprese.

Il contributo di Antolini, come detto, appare sulla rivista trimestrale «Arte Trentina», diretta da Warin Dusatti, giunta alla sua quinta annata. Oltre che online, la rivista è reperibile per i lettori bolzanini presso la libreria Nuova Cappelli.