Autore: Carlo Romeo
Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Storia del Trentino: l’età contemporanea. Il Novecento, in: “Storia e Regione / Geschichte und Region”, 17 (2008), n. 2, pp. 196-202.

 

 

 

 

 

Storia del Trentino

 

Andrea Leonardi, Paolo Pombeni (a cura di),

Storia del Trentino, vol. VI: L’età contemporanea. Il Novecento

Bologna, 2005, pp. 878

 

 

 

Con questo sesto volume si è conclusa l’imponente iniziativa editoriale (promossa dall’Istituto trentino di cultura e pubblicata dalla casa bolognese Il Mulino), che è riuscita a mettere a disposizione, nell’arco di pochi anni, un aggiornatissimo quadro storiografico della storia del Trentino, dalla preistoria e protostoria (I) all’età romana (II), medievale (III) moderna (IV) e contemporanea (V). Il volume, che affronta gli sviluppi novecenteschi dalla fine della I guerra mondiale ai nostri giorni, si riallaccia, da un lato, ad alcune linee tracciate in quello precedente; gli elementi in gioco nella formazione identità trentina - che vive momenti di rapida e radicale metamorfosi al passaggio dalla Monarchia asburgica al Regno d’Italia - non possono che essere compresi anche alla luce del percorso ottocentesco: il ruolo del Welschtirol, la contesa nazionale, le nuove valenze geopolitiche seguite alle guerre di indipendenza italiane.

D’altro canto, nel presente volume l’accento più marcato è posto sulla “trasformazione”, parola che meglio raccorda come minimo comune denominatore le domande poste alle rispettive materie dai venti e più collaboratori (per un totale di 22 saggi). Dalla profonda crisi del Trentino di inizio secolo lo sguardo finisce col porre il proprio punto focale nella situazione presente, quella di una provincia alpina connotata da diversi elementi di “successo” nel confronto con la modernità.

Il volume si divide in quattro sezioni: storia politica, sociale, economica e, infine, quella del “paesaggio”, inteso nelle sue varie declinazioni. Gli interventi iniziali dei due curatori tracciano le linee interpretative generali di questa metamorfosi, coordinando e integrando gli apporti dei diversi saggi. Paolo Pombeni (La grande trasformazione. Il Trentino nel “secolo breve”) riflette sulla costruzione dell’identità regionale trentina a partire delle strutture politiche, sociali e culturali. Vi è sottolineata anzitutto la necessità di distinguere in qualunque analisi la realtà delle aree agricole delle vallate e quella dei centri urbani: oltre a Trento, Rovereto anche quelli in un certo senso “minori” ma inseriti in ampie reti di relazioni economiche e sociali, come le località turistiche. Il vulnus apportato dalla Grande guerra, oltre che materiale, è anche identitario e se ne ricordano opportunamente le contraddittorie immagini successive: quella alimentata nel Ventennio di un Trentino martire della causa nazionale e quella, opposta, del lealismo asburgico di marca cattolico-rurale. Segue poi l’individuazione degli snodi di elaborazione della “coscienza trentina”: dalla sostanziale delusione delle istanze autonomistiche dopo l’annessione, al ruolo (rovesciato rispetto all’800) di “sentinella dei sudtirolesi”, dal magma dell’autonomismo postbellico alla costruzione di un sistema di valori che, attraverso l’attuazione dell’autonomia politico-amministrativa, riesce a mediare fra tradizione e innovazione.

Andrea Leonardi (Le traiettorie dello sviluppo: verso la conquista di un benessere generalizzato) riassume gli aspetti di un difficile cammino economico, in cui si riversano pesantemente i “ribaltoni” istituzionali. Vi è ricordato il ruolo che la rete delle organizzazioni mutualistiche, costruita dall’attivismo cattolico nei decenni precedenti, ebbe nell’alleviare le critiche condizioni lasciate dalla guerra. La situazione socio-economica complessiva nel Ventennio (in particolare dal crollo del 1929 fino alla metà degli anni Trenta) presenta comunque un quadro deprimente: alti tassi di disoccupazione, un’agricoltura priva di vocazioni specifiche, un’industria che stenta a decollare, il crollo di una parte consistente del sistema creditizio locale. Né la ricostruzione né il primo affacciarsi del “miracolo economico” sembrano scuotere l’economia trentina, incapace di agganciarsi al trend delle vicine regioni padane. Il “miracolo trentino”, se così si può definire, coincide con la seconda autonomia e col pieno dispiegarsi del ruolo di indirizzo e coordinamento da parte dell’ente provinciale.

 

A Fabrizio Rasera spetta di compiere il primo lungo percorso politico-istituzionale (Dal regime provvisorio al regime fascista: 1919-1937). Vi è anzitutto approfondita la pesante eredità della guerra, non soltanto in termini di vittime e danni economici ma anche di lacerazioni familiari e sociali. La contrapposizione di diverse esperienze, la loro frammentazione, i miti della Grande Guerra sono alla base delle contraddizioni della memoria pubblica trentina. Rasera ricostruisce poi i delicati equilibri del cosiddetto “periodo liberale”, tra emergenze e necessità immediate e proposte di strategie per il futuro, soprattutto riguardo ai sudtirolesi: dalla “penetrazione pacifica” del governatore militare Pecori-Giraldi alla “nazionalizzazione degli italiani dell’Alto Adige” di Credaro. Il ruolo del Trentino dopo l’annessione è più che mai legato a quello dell’Alto Adige. L’istituzione della provincia separata di Bolzano (1927) rimette ancora in gioco i termini della questione. Emerge con tutta forza la questione del “trentinismo” o, come suggerisce l’autore, dei “trentinismi”, categoria dai contorni sfumati in cui trovano voce tensioni diverse. Tra queste: la frustrazione di ceti dirigenti trentini che si vedono dapprima allettati e poi scavalcati nella “missione nazionale” verso l’Alto Adige, la diffidenza verso la centralizzazione romana, la concorrenza sul piano di opportunità nel pubblico impiego da parte delle “vecchie province”. L’analisi definisce puntualmente i contorni del fascismo trentino, per smitizzarne l’immagine di fenomeno importato. Se è vero, infatti, che la Federazione trentina è una di quelle maggiormente soggette al ricambio dei vertici politici, il “nucleo economico” (che rivela una certa continuità) è saldamente trentino. Aperto a diverse prospettive è poi lo sguardo al rapporto tra Chiesa trentina e fascismo: il vasto consenso al Concordato del ’29, la dura contrapposizione del 1931, l’allontanamento o il “soffocamento” delle figure di maggior spicco dei popolari (De Gasperi), le voci di un cattolicesimo che se non apertamente “critico” può almeno definirsi “pensoso” (in particolare negli ambienti del periodico di “Vita Trentina”) e quelle più schierate, invece, nella crociata antibolscevica. Il saggio si conclude con la repressione e persecuzione degli oppositori: popolari, socialisti e comunisti. Si sarebbe potuto anche accennare alla repressione del movimento delle Katakombenschule (col famoso “martire di Salorno” Josef Noldin) e di quello filonazista negli anni Trenta, soggetti per ciò che riguarda la Bassa Atesina alla commissione di confino e ammonizione di Trento.

Armando Vadagnini ricostruisce il denso decennio 1938-1948, dalle leggi razziali, attraverso le “opzioni” fino alla guerra, l’occupazione, la Resistenza e l’avvio della Repubblica. È un periodo di rapidi capovolgimenti in cui non è sempre facile individuare gli orientamenti delle popolazioni. Nel periodo di “sospensione” e “annessione mimetizzata” della Zona di operazioni nelle Prealpi, l’identità trentina registra persino un tentativo di strumentalizzazione da parte della politica del Gauleiter Hofer. Riflesso di queste contraddizioni è stata la lunga controversia su figure come quella del commissario prefettizio Adolfo De Bertolini. Ciò che caratterizza il quadro politico trentino del primo dopoguerra è il grande rilievo che il tema autonomistico riesce da subito a ritagliarsi all’interno dei neonati partiti della repubblica, sulla spinta della mobilitazione di massa dell’Asar.

Alfredo Canavero e Roberta Caccialupi affrontano il periodo della “prima autonomia”, quella della Regione Trentino-Alto Adige istituita nel 1948. Vi sono indagati i limiti della provvisoria alleanza tra DC trentina e Svp, unite da un medesimo humus ideologico ma divise fieramente sul campo etnico. Spiccano le figure dei protagonisti politici di quegli anni, come il presidente della giunta regionale Tullio Odorizzi, cui si contrapporrà Bruno Kessler, dell’ala “fanfaniana” della DC, che nel pieno del periodo terroristico avanza il suo “piano” (1960) di apertura alle richieste sudtirolesi.

Sara Lorenzini si occupa degli sviluppi nella seconda autonomia (1973-1992), una fase decisiva di elaborazione dell’identità del Trentino, rimasto “orfano” della questione sudtirolese. Dall’analisi degli atti del Consiglio provinciale emergono due temi caratterizzanti il dibattito politico trentino: il “dilemma” tra mera gestione amministrativa e vera e propria politica nonché la rivendicazione di un sempre maggiore ruolo internazionale.

Il contributo di Maria Garbari (Morte e rinascita dell’autonomia) offre un rigoroso quadro riassuntivo delle vicende istituzionali con un’attenzione particolare ai momenti di frattura e di contrapposizione: l’irrompere del centralismo italiano, il naufragio e la continua riproposizione dei progetti autonomistici, i rapporti ambivalenti con le richieste sudtirolesi. Un cammino, lungo un secolo, che dopo la definitiva “scissione” (costituzionale) della Regione nelle Province (2001) “anziché chiudersi con il raggiungimento di un impianto autonomistico stabile e condiviso (…) apriva una terza fase dell’autonomia”.

Aprendo la sezione dedicata alle “strutture del sistema sociale”, Marco Brunazzo e Sergio Fabbrini applicano al caso trentino gli strumenti di analisi della “geografia elettorale”. Inserito nella “zona bianca” (a dominanza democristiana) contrapposta a quella “rossa” (socialista e comunista) il Trentino è l’area italiana che lungo tutto il corso della cosiddetta “prima repubblica”, dal 1948 al 1992, ha fatto registrare la più alta concentrazione in percentuale di consenso alla DC. Al di là del tradizionale orientamento cattolico e conservatore della popolazione, anche qui il partito dello scudo crociato, sarebbe stato percepito come il migliore garante della continuità del modello locale e il più efficiente tramite tra gli interessi locali e quelli nazionali.

Il contributo di Severino Vareschi ripercorre le vicende della Chiesa trentina attraverso l’azione dei diversi presuli succedutisi, a partire dal lungo episcopato di Celestino Endrici (1904-40). La diocesi viene investita dai rivolgimenti politici, dagli spostamenti di confine, dalle tensioni etniche, sino alla “storica” ridefinizione del 1964, con cui il testimone di una millenaria mediazione tra mondo tedesco e italiano viene in un certo senso consegnato alla neonata diocesi di Bolzano-Bressanone. Ma oltre che all’aspetto istituzionale, il saggio è attento alla dialettica delle correnti interne, all’azione sociale dispiegata dalle organizzazioni cattoliche, ai mutamenti del rapporto col territorio e la società, in particolare dopo il Concilio Vaticano II.

Lia De Finis traccia un ampio quadro delle trasformazioni del sistema educativo trentino, partendo dal travaglio con cui la solida organizzazione asburgica si dovette confrontare con la nuova scuola italiana; travaglio che, se non proprio concluso, sembrò almeno alleviato dalla riforma Gentile. Efficaci “finestre” danno poi conto dell’avvicendarsi degli orientamenti didattico-organizzativi e, laddove necessario, anche del “clima” instaurato da studenti e docenti all’interno delle scuole (soprattutto quelle superiori concentrate a Trento e Rovereto). Il lungo percorso si conclude con la provincializzazione della scuola trentina (1988), grazie alla quale si è potuto dotare di ulteriori strumenti un sistema formativo ed educativo che le odierne valutazioni comparative internazionali pongono a livelli di eccellenza.

La questione universitaria è il tema del contributo di Vincenzo Calì. Dal 1866, con la perdita di Padova, la mancanza di un ateneo per gli “italiani d’Austria” non solo provoca una “diaspora” di cervelli, ma fa di quella universitaria una (irrisolta) questione principe delle rivendicazioni nazionali, fino ai fatti di Innsbruck del 1904. Grande attenzione è poi dedicata al cammino che porta negli anni Sessanta, sull’onda della modernizzazione kessleriana, all’istituzione della Facoltà di Sociologia, la prima in Italia,.

Gianni Faustini presenta lo sviluppo dei “media” trentini nel secolo della comunicazione. A parte il generale “appiattimento” del Ventennio fascista, il panorama della stampa locale si rivelerà sempre relativamente vivace e variegato. Oggi la provincia è in testa nelle classifiche nazionale anche nel campo della lettura di quotidiani e di ascolto dei telegiornali regionali.

 

 

All’industria è rivolto il primo degli interventi della sezione economica. Andrea Bonoldi riflette sui ritardi, dovuti sia a motivi strutturali che congiunturali, del processo di industrializzazione a livello locale, che non poté contare su iniziative governative paragonabili alla creazione della zona industriale di Bolzano. Nel secondo dopoguerra la “corsa” trentina fu sensibilmente più lenta di quella del Centro-Nord italiano e fu frenata tra l’altro dalle scarse competenze in materia attribuite alla Regione Trentino-Alto Adige. Anche in seguito tuttavia, sotto la piena centralità della politica provinciale, la crescita trentina sembra essersi interrotta “prima di tradursi come in realtà simili, in un sistema a industrializzazione diffusa caratterizzato da piccole e medie industrie interconnesse”.

La trasformazione dell’agricoltura trentina dalla coltivazione promiscua alla specializzazione produttiva è illustrata da Cinzia Lorandini, che sottolinea in apertura i vincoli naturali e strutturali del settore (scarsa superficie coltivabile, parcellizzazione della proprietà) cui si contrappone la solida tradizione di istituzioni di sostegno. Solo a partire dagli anni ’60 si affermeranno politiche e tecniche che innalzeranno la coltivazione specializzata (emblematico il caso della mela) e, valorizzando la tipicità, permetteranno all’agricoltura trentina di affrontare i mercati internazionali.

Il contributo di Alberto Ianes affronta minuziosamente le complesse dinamiche del settore terziario in Trentino, dalla crisi postbellica alla definitiva terziarizzazione negli anni ’60. Andrea Leonardi ricostruisce il percorso che ha portato dal turismo d’élite di alcune località trentine sullo scorcio dell’Ottocento all’odierno turismo di massa pluristagionale: un’evoluzione in cui si intrecciano tradizione (i Kurorte asburgici), politiche economiche, richiami “nazionali”, campagne pubblicitarie, promozione di atteggiamenti e modelli moderni e internazionali.

Bruno Zanon apre la sezione dedicata ai “Mutamenti del paesaggio” affrontando il cruciale nesso tra attività umana, programmazione e ambiente. Le infrastrutture, il progressivo ritiro delle attività silvo-pastorali, la formazione di nuove polarità urbane hanno segnato lungo il secolo un progressivo “predominio” del fondovalle sulla montagna. Una vera e propria pianificazione si sarebbe avuta solo negli anni Sessanta, col Piano Urbanistico Provinciale, varato nel pieno dell’“era Kessler”.

Il saggio di Michele Nicoletti ripercorre i temi del dibattito culturale in Trentino, attraverso l’attività di associazioni, circoli, riviste, etc. Dagli “studi patri” di rivendicazione nazionale di inizio secolo, passando per l’aggressività delle iniziative futuriste (Alfredo Degasperi), il discorso non può che dedicare ampio spazio alla cultura cattolica, la cui posizione predominante non verrà meno neppure nel lungo confronto col regime fascista. Importanti poi i capitoli che danno conto dei dinamici sviluppi del dibattito negli anni ’60 e ’70, infiammato dalle novità conciliari e dall’avvio dell’università.

Vivace nell’impostazione e caloroso nel tono, il contributo di Franco De Battaglia conduce attraverso gli snodi della “cultura popolare” del Trentino novecentesco, nell’assunto che ogni “invenzione della tradizione” (Hobsbawm) si nutra pur sempre di radici autentiche. Ed è inevitabilmente la montagna a riempire di sé le operazioni culturali di maggiore durata e spessore: l’avventura dei fratelli Pedrotti tra musica corale e fotografia, il teatro dialettale dei Mor e dei Pola, la ricerca del mondo degli “ultimi” di Gorfer e Faganello. Attorno alla montagna si muove il cuore dell’associazionismo (Sat, Alpini, etc.). La panoramica insegue le immagini ben dentro al presente: la Marcialonga, il mito ciclistico di Moser, fino alle tragedie del Cermis e di Stava che “segnano la fine dell’innocenza del turismo trentino”.

Sotto il profilo dell’antropologia Giovanni Kezich concentra la sintesi del lungo “travaglio” identitario trentino in tre momenti esemplari: il Congresso nazionale di arti e tradizioni popolari tenutosi a Trento nel 1934; la ricerca “pionieristica” di Wolf e Cole negli anni Sessanta sulla “frontiera invisibile” e la fondazione nel 1968 del Museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele all’Adige.

Gli scarti e le convergenze del Trentino con i trend demografici nazionali sono illustrati da Augusto Ascolani. L’analisi sottolinea i periodi di crisi, spopolamento ed emigrazione (ad esempio tra le due guerre), le fasi di urbanizzazione (a partire dagli anni ’50), con grande attenzione alle dinamiche attuali, condizionate da tendenze globali.

Conclude il volume una breve ma densa rassegna di Danilo Eccher sugli artisti trentini del Novecento. Come taglio potrebbe sembrare un corpus a se stante e invece risulta integrante in molti passaggi per ciò che riguarda il discorso culturale. L’indiscusso rilievo di artisti, cenacoli, gruppi trentini esemplifica gli orientamenti intellettuali d’élite e i vivaci rapporti tra la (presunta) “periferia” e i “centri” di elaborazione culturale. Un tentativo di analoga tematizzazione sarebbe stato forse possibile anche in merito alla letteratura trentina, dialettale e no (qualche spunto è nel contributo di De Battaglia).

Un’opera collettiva di questo respiro impone inevitabili scelte, sacrifici e la serena accettazione di naturali disomogeneità. Dal punto di vista della scrittura, in alcuni saggi non sempre pare ben trovato l’equilibrio tra tipologie ed obiettivi diversi: dall’enunciazione dei modelli teorici di analisi, alla questione storiografica fino all’esigenza narrativo-informativa (rincorsa spesso nelle note). Inevitabili poi le sovrapposizioni di temi, cesure, contesti, pur inquadrati in prospettive diverse. Qualche accorgimento redazionale di raccordo (ad esempio appendici statistiche) avrebbe agevolato la consultazione. Ma al di là di questi aspetti marginali, il volume conclude nel migliore dei modi la fondamentale collana, riuscendo esemplare delle enormi potenzialità che può offrire una “storia regionale” attrezzata dei migliori strumenti critici.