Ripubblicate le prose di Antonio Manfredi (1912-2001), poeta e pittore viareggino, meranese d’adozione.

Alphabeta 2022 

 

ANTONIO MANFREDI, Alto Adige segreto

Introduzione di Carlo Romeo / Postfazione di Siegfried De Rachewiltz

Prima edizione: Ricciardi, Milano-Napoli 1963

© 2022 by Edizioni alphabeta Verlag, Meran/Merano

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ISBN 978-88-7223-395-5

 

 

 

Antonio Manfredi, da Alto Adige segreto

 

Vitelloni

 

Era stipato di gente: l’ora di punta, tra le sette e le otto di sera, al Piccolo Bar. Poi, d’un tratto, si sfolla. E non resta sul Corso di Merano che qualche vetrina illuminata e rari passanti.

Irene Galter cominciò come cassiera al Piccolo Bar e da quel giorno – bionde e brune, occhi azzurri e occhi neri – le più belle di Merano si contendono quel posto. L’ultima ha lo sguardo furbo, la battuta pronta, è la cocca di tutti.

Toni è già al suo posto e la giovane moglie gli tiene bordone. È carnevale, Toni sta per giocare uno dei suoi scherzi famosi. Ma l’inseparabile Ossi non lo perde di vista. E Fellin – terzo dei più fedeli habitués del Piccolo Bar – senza parere sorveglia tutti e due. Pian piano vengono schiacciati nell’angolo dalla folla.

In mezzo, un chiassoso gruppo d’ufficiali di cavalleria. Schierate sulle due panchette, le solite “belle”. Poi arriva l’avvocato, che ha appena chiuso lo studio. Il dottore che viene a controllare la clientela che è anche la sua. E il commerciante di mele che parcheggia la Giulietta davanti alla vetrata. Ma solo più tardi, dopo cena, il Piccolo Bar diventa il regno dei vitelloni.

Portano le ragazze, tra le quali spicca una dai capelli platinati, occhi lunghi bistrati d’azzurro, pelliccia di leopardo sui pantaloni da sci. Siede sulla panchetta e si mette a fumare disperatamente, scientificamente. È fredda, distaccata. Le altre l’attorniano come primule la rosa al centro del mazzo.

I vitelloni gareggiano nel vestire trascurato. Cappellucci di panno con la penna, scarponi da sci, giubbotti verdi di Loden. E parlano con l’erre moscia, perché molti son figli d’un italiano e d’una tirolese.

Sciamano verso mezzanotte per i ritrovi della valle, ma sono spedizioni piuttosto melanconiche che neppure i canti di montagna ravvivano. E d’inverno han qualcosa di disperato.

Eppure senza i vitelloni il Corso sembrerebbe più vuoto. Scorgendoli dietro i vetri appannati, ci si riconcilia con l’ingrata stagione. Non sono sfrontati né sciocchi; e amici di tutti, tirolesi e italiani.

Quando i vitelloni sgomberano, la cassiera scende dal podio e il Piccolo Bar chiude. Ecco che spunta dal Corso la guardia notturna col cane lupo e infila nei negozi, con molta cura, i suoi misteriosi bigliettini. È intabarrata fino agli occhi. In fondo risuona il martello, come una pistola, dell’uomo che sta cambiando i cartelloni del cinema. Sgattaiola l’ultimo nottambulo. Anche la guardia è sparita. Si spengono le vetrine. Il Piccolo Bar, ultimo a chiudere, è il primo a riaprire domani.

 

 

Antonio Manfredi

 

 

INDICE

 

Prefazione

Un incontro appartato e segreto.

L’Alto Adige di Antonio Manfredi di Carlo Romeo

 

ALTO ADIGE SEGRETO

Salorno-Salurn

Psicologia dei tirolesi

Si pentirà, dottor Magnago!

Etnografia, Volkspartei e clero tirolese

Loro arrivano, io parto

Novacella

La terra

Cavallini

Il cittadino

Sette in trattoria

Opzioni, partiti italiani, “Dolomiten”

Una partita di calcio

L’Athesia e i pionieri

Gergo, moda e verdure

I diavoli di Termeno

Il lungo sonno della cultura

I Menhirs di Matthias

La cooperativa di Bolzano

Castelli

Domenica a Parcines

Gli affreschi di San Procolo

Cinquant’anni di caccia

Turismo

Turisti disciplinatissimi

Luci e ombre della cultura

Artigianato

La Stube

Insegne artigiane

Fiori

Prima che il sole esca dai monti

Johanna

Scuole di musica e arte

Ad Avelengo con Edith

La morte di Wolfi

Kuperion

Sotto la neve, serenate di gatti

Gnomi a Glorenza

Il giorno dei morti

Niglas e Krampus

Vitelloni

Scuola tirolese

Università bilingue a Bolzano

Dissidenti tirolesi

L’Alleanza culturale

Nemici della cultura

Esame di coscienza

 

Postfazione

Antonio Manfredi, poeta e pittore.

Ricordi e racconti di Siegfried de Rachewiltz

 

 

 

Dalla Prefazione

 

Estratti da: Romeo, Carlo, Un incontro appartato e segreto. L’Alto Adige di Antonio Manfredi, in Antonio Manfredi, Alto Adige segreto, © Edizioni alphabeta Verlag, Meran/Merano 2022, pp. 7-30.

 

 

UN INCONTRO APPARTATO E SEGRETO.

L’ALTO ADIGE DI ANTONIO MANFREDI (estratti)

 

di Carlo Romeo

 

Ritratti a mano libera

Le prose di Alto Adige segreto qui riedite uscirono nel lontano 1963, «sullo sfondo dell’attualissima questione etnico-politica». (1) L’editore sottolineava la particolare prospettiva offerta da questo ritratto umano della «tanto discussa regione», così lontano e diverso dall’«improvvisazione e dal luogo comune». L’implicito riferimento era ai tanti reportage, trasformati spesso in instant books, che sull’onda della cronaca uscivano in quegli stessi anni su «una regione che molti credono di conoscere». (2) Tra i motivi del modesto riscontro di lettori che ottenne il libro di Manfredi, non vi era comunque solo il rifiuto del clamore della cronaca. Il volumetto sembrava rifiutare anche una delle principali regole del mercato librario: la docilità alla catalogazione. Ancor oggi si rimarrebbe incerti su quale scaffale collocarlo: etnografia, letteratura di viaggio, saggistica d’inchiesta o altro ancora. E persino riguardo allo stile queste prose potrebbero sembrare extravagantes rispetto alla sorvegliatissima produzione del loro autore. (3) Il percorso di Antonio Manfredi, poeta e pittore, si mosse sempre su linee di ricerca quanto mai metodiche e rigorose. Qui la scrittura trascorre liberamente i confini di vari generi, ricombinandoli, come varia appare pure la struttura, in qualche punto prosimetrica. (4)

Non si trattava dunque né di un’inchiesta giornalistica, né di un saggio politico, storico o etnografico, bensì del ritratto a mano libera di un artista. L’autenticità alla quale mirava era tutt’altra cosa rispetto alla (presunta) oggettività di un reportage o all’esaustività di una trattazione. In questi quadretti Manfredi aveva raccontato il suo Alto Adige, segreto perché appartato e silenzioso. L’incontro era il frutto del suo cammino di italiano «approdato per caso» (Itinera) in una terra assai diversa da quella in cui era nato e cresciuto; una terra che finalmente stava facendo sua, nella vita e nell’arte, che per lui erano la stessa cosa. […]

 

 

Da Viareggio a Merano

 

Lacerato tra mare e montagne

è sempre un viaggio, uno

spostamento, al quale

occorre dedicare tutto

se stesso, quanto più pare la vita

accartocciarsi in un pugno.

(Da L’appuntamento, 1975)

 

Antonio Manfredi nasce a Viareggio nel 1912, in quel paesaggio versiliese che fin dall’infanzia lo segna di una forte impronta e il cui mito evocherà spesso nelle sue poesie. Ancora adolescente, sfrutta a pieno tutti i vantaggi di una cittadina di provincia tutt’altro che “provinciale”.

Una Viareggio anni Venti in singolare equilibrio tra il “vàghero” Lorenzo Viani, l’“egittologo” Enrico Pea e il leggendario, ormai, Giacomo Puccini. Integrata, all’inverno, di quel pizzico d’anarchia che la rendeva piccante. E, all’estate, dalla multicolore calata, lungo l’intero arco versiliese, di personaggi-chiave della cultura dell’epoca: da Pirandello a Ungaretti, da Longhi a Carrà. (5)

Frequenta il locale liceo classico «Giosuè Carducci» e per prima è la pittura ad affascinarlo […]

 

Dopo la laurea viene l’assunzione da parte dell’amministrazione comunale di Merano. Essa si collega alla nomina, nel marzo del 1939, del nuovo podestà della cittadina passirese: il lucchese Raffaele Casali, anch’egli proveniente da Viareggio, di cui è stato commissario prefettizio per ben cinque anni. In Versilia Casali si è occupato a fondo di problematiche turistiche e pertanto la sua nomina viene accolta dal quotidiano fascista “La Provincia di Bolzano” come la «felice scelta» di un uomo che «giunge a noi preparatissimo» visto che si auspica un «potenziamento e lo sviluppo sempre maggiore del nostro importante centro turistico in tutti i suoi settori». (9) Tra le ipotesi che sono allora in discussione c’è anche quella di aprire un casinò, proprio come negli anni precedenti è avvenuto, almeno temporaneamente, a Viareggio. (10) Il parallelo tra i progetti nelle due località è forse all’origine della “leggenda cittadina” secondo la quale l’iniziale destinazione di Manfredi sarebbe stata quella di croupier.

Dato storico è invece la necessità da parte dell’amministrazione comunale di rafforzare l’organico, che si fa più acuta già sullo scorcio di quello stesso 1939, quando si mettono in moto le cosiddette Opzioni, ovvero l’applicazione degli accordi italo-germanici sui sudtirolesi e i ladini. Si tratta del primo grande avvenimento altoatesino a cui assiste Manfredi, adibito in varie mansioni soprattutto d’archivio.

 

Letterato in riva al Passirio

Già dagli Trenta Manfredi aveva cominciato a scrivere poesie, rielaborandole continuamente, con quel lavoro di lima, unito a un atteggiamento di severa autocritica, che gli sarebbe stato sempre peculiare. Nell’immediato dopoguerra arrivò l’occasione di rivelarsi come poeta. Probabilmente su invito di Aldo Borlenghi, da Merano Manfredi inviò il suo fascicolo di poesie alla seconda edizione (1947) del prestigioso premio letterario «Libera Stampa», promosso dall’omonimo giornale socialista di Lugano, cronologicamente la prima testata antifascista in lingua italiana. (11) Il premio, che l’anno prima era andato a Vasco Pratolini, voleva essere segnale di una rinascita civile che passava anche attraverso quella culturale. Della giuria facevano parte i migliori nomi della critica dell’epoca, tra cui Gianfranco Contini, Giansiro Ferrata e Carlo Bo. La vittoria andò proprio al giovane e sconosciuto Manfredi, che accorse da Merano in tempo per la cerimonia di premiazione. […]

 

La sua prima raccolta lirica (Poesie) fu pubblicata, nel 1954, nella collana più prestigiosa in Italia: «I poeti dello Specchio» della Mondadori. Il “lavoro di lima” sulle poesie che aveva inviato al premio «Libera Stampa» era durato ben sette anni. La sua connaturata esigenza di rigore si riflette nella lunghezza degli intervalli all’interno della sua produzione poetica. La seconda raccolta (Annamaria) apparve nel 1961, la terza (Otto poesie) addirittura nel 1985. Solo le ultime tre ebbero intervalli più brevi: Dentro le parole (1990), Passo dietro passo (1991), Itinera (1995). (18)

Pur con la sua proverbiale riservatezza, Manfredi fu uno dei protagonisti di quella vivace stagione artistica e culturale che animò Merano negli anni Cinquanta e Sessanta, segnata da una dimensione internazionale sconosciuta al resto della provincia. (19) È il mondo così vivacemente rievocato da Luigi Serravalli (20), allora addetto stampa presso l’Azienda di turismo e soggiorno, ed ora esaurientemente documentato in corposi volumi bilingui. (21)

 

Alto Adige segreto

Il periodo di gestazione di Alto Adige segreto coincise cronologicamente con la svolta pittorica di Manfredi, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, cioè con l’inizio delle raffigurazioni di Monti e boschi dell’Alto Adige: questo il titolo dell’esposizione con cui Manfredi nel 1961 tornò alla pittura dopo un decennio di silenzio. Pur nel contesto di un «paesaggio mentale» (Vittorio Sereni) di ascendenza metafisica, si trattava per la prima volta del radicamento del suo esile tratto all’interno di un preciso, determinato ambiente.

A un certo punto m’è parso di poter osservare come al microscopio questi orizzonti lucidi, spaziosi, anche freddi, che sono tipici di una terra, come l’Alto Adige, dove ogni cosa ha l’immobilità capziosa e tendenziosa d’un rituale. “Ma guarda un po’” mi son detto in questi ultimi anni “ci sto qui da tanto e solo adesso mi accorgo che in un prato, in un albero questo paese ha concentrato la propria essenza”. (24) […]

 

 

Fin dal titolo “intimista”, Alto Adige segreto mirava a distanziarsi dalla spettacolarizzazione dell’alterità e del conflitto. Basti pensare che, sorprendentemente, non vi era nemmeno un cenno alla tambureggiante cronaca di allora: manifestazioni, bombe, processi e così via. Tutto ciò costituiva uno sfondo implicito. Il problema della convivenza veniva affrontato secondo un cammino particolare, tutto psicologico e interiore: come se Manfredi volesse evitare che la violenza della cronaca ne confondesse l’itinerario e ne annebbiasse i passi.

Per la stessa ragione invano cercheremmo nel libro riferimenti ai consueti diagrammi politici e istituzionali. […]

 

 

Il filo rosso che attraversava tutte le pagine di Alto Adige segreto era l’importanza della dimensione culturale e sentimentale del problema, ovvero l’incomprensione tra due gruppi linguistici che continuavano a non comunicare, tra la «reticenza e l’ipocrisia ufficiale». Un varco si sarebbe potuto dischiudere soltanto attraverso la cultura, della quale veniva denunciato il «lungo sonno». Ancora poco o nulla la politica culturale aveva fatto nel senso di un’«educazione» all’incontro. La politica sudtirolese era anzi orientata alla separazione, quella italiana all’indifferenza e alla negazione del problema: «S’è continuato a capire poco delle cose atesine, bruscamente bruciate dal fascismo. S’è continuato a considerare l’Alto Adige una provincia italiana come le altre».

Motivo ricorrente, che fornisce l’abbrivio a molti quadretti, è la consonanza tra paesaggio e psicologia. (31) I caratteri dei tirolesi rispecchiano l’asprezza e durezza

dell’ambiente, soprattutto nella gelosa custodia della tradizione. Tra i fattori dell’esasperato etnicismo, Manfredi indicava chiaramente anche il monopolio instaurato dal conservatorismo clericale. È interessante notare che, negli stessi anni, i suoi accenti anticlericali gli stavano procurando qualche noia anche in Ticino. Le sue trasmissioni alla radio svizzera italiana, le sue scelte di libri, autori e argomenti, venivano continuamente criticate dalla locale stampa cattolica, talvolta persino con toni da crociata, sullo sfondo di una specie di “guerra fredda” cantonale. (32)

La prospettiva dello sguardo in Alto Adige segreto è squisitamente meranese. Benché ricorrano talvolta anche altri ambienti (Novacella, Bressanone, Termeno, Bolzano), la geografia del paesaggio umano riguarda prevalentemente il Meranese e la vicina Venosta. È questo il microcosmo che Manfredi conosce meglio e da cui coglie i segni di una vitale dissonanza (per certi versi dissidenza) rispetto alle immagini consuete dell’Alto Adige, sia quelle del conflitto che quelle della cartolina turistica e folcloristica.

Questo Alto Adige segreto prende allora il vivace volto dei tanti personaggi che lo hanno colpito: artisti di qualunque età e fortuna, naturalmente cosmopoliti; l’esperta di musica popolare, Johanna, che gira l’Europa con la sua «topolino»; colti aristocratici di campagna come Wolfgang von Goldegg (a cui dedica un commosso omaggio in versi); singolari contadini come Matthias, capace di descrivere il menhir trovato sul suo terreno «come parlasse d’aratura, di potatura, di semina»; gli occhi di Edith «una delle centomila ragazze d’oggi, assetate di vita» e così radicata nella sua terra. Un mondo colto anche nelle sue contraddittorie metamorfosi, tra attese e paure, in equilibrio tra la tradizione e l’avanzare del benessere, del turismo, della società cittadina.

Si tratta di sfumature, suggestioni, verità minime che rifuggono dal clamore. Il quadro umano trascritto in questi appunti preferisce l’ascolto silenzioso, l’angolo appartato, il dettaglio trascurato che all’improvviso illumina «passo dietro passo», come nelle quotidiane passeggiate del poeta lungo il Passirio.

Con dolcezza e silenzio scorre

la quotidiana passeggiata minuto

per minuto, passo dietro passo

rinnovandosi e arricchendosi

come la vita d’invenzioni

significati, scoperte in cui s’accende

e rigenera il cuore: qualcosa

che brilla e consola, apre la corsa

nella libertà della mente

nella certezza del gesto: quanto

basta a illuminarti passo dietro

passo, minuto per minuto.

(Da Passo dietro passo, 1991)

 

 

NOTE

1) A. Manfredi, Alto Adige segreto, Ricciardi Editore, Milano-Napoli 1963. Questa e le successive citazioni sono tratte dalla quarta di copertina.

2) Alto Adige segreto, in “Corriere della Sera”, 22 marzo 1964.

3) Eros Bellinelli, uno dei più intimi conoscitori della produzione di Manfredi, parlò di «brevi, intensi capitoli alternanti parti saggistiche a parti vicine al ritmo e alla rapidità narrativa» (Alto Adige segreto, in “Libera Stampa”, 24 gennaio 1964).

4) Ad arricchire ulteriormente il quadro, si aggiungevano una quarantina di fotografie artistiche, di forte impatto semantico, la cui funzione non era di semplice corredo decorativo.

5) Antonio Manfredi, Ricordo di Aldo Borlenghi, in “L’Approdo letterario” (nuova serie), n. 74 (giugno 1976), pp. 92-102. Sul periodo viareggino si veda anche: Antonio Manfredi e Ugo Cuesta, Viareggio anni venti: personaggi, ambienti, Pezzini, Viareggio 1992. […]

9) Il dottor Raffaele Casali podestà di Merano, in “La Provincia di Bolzano”, 15 marzo 1939, p. 6; Lo scambio delle consegne alla podesteria, in “La Provincia di Bolzano”, 2 aprile 1939, p. 6.

10) Vasco Ferretti, Gabrielli Pasquali, Viareggio. Cento anni di Casinò, Edizioni L’Ancora, Viareggio, 2010.

11) “Libera Stampa” era nato come settimanale nel 1912. Diventò quotidiano nel 1920 e dal 1923 circolò in Italia clandestinamente. Vi collaborarono numerosi intellettuali antifascisti rifugiatisi in Svizzera. […]

18) Antonio Manfredi, Poesie, Mondadori, Verona 1954; Annamaria. Poesie e disegni, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1961; Otto poesie, Edizione Pananti, Firenze 1985; Dentro le parole, Vallecchi, Firenze 1990; Passo dietro passo, Offizin S., Merano 1991; Itinera, Scheiwiller, Milano 1995.

19) Carlo Romeo, Attese e malinconie in una città bifronte. Letterati italiani nella Merano degli anni Cinquanta, in: Prospettive di futuro. Merano 1945-1965, a cura di Markus Neuwirth e Tiziano Rosani, Merano 2012.

20) Luigi Serravalli, A Merano in attesa di Ezra Pound, Curcu&Genovese, Trento 2002.

21) Cultura in movimento. Merano 1965-1990, a cura di Markus Neuwirth, Ursula Schnitzer, Kunst Meran Merano Arte 2020. […]

24) Intervento di Manfredi del 1967, ora pubblicato in Dante Alighieri di Merano (a cura di), Antonio Manfredi, citato. […]

31) Il rapporto tra geografia e antropologia, insieme alla sfida di raccontarne lo sfuggente «magma unitario», continuò ad appassionare Manfredi anche negli anni successivi. Ne è traccia il racconto Un popolo, presentato come parte di un «testo ancora in elaborazione» e rivolto al paesaggio antropico e ai caratteri della popolazione viareggina (“Libera Stampa”, 18 giugno 1983).

32) Il diocesano “Giornale del Popolo” contestava l’egemonia socialista e di sinistra che a suo dire dominava tra i collaboratori della radio e televisione ticinese e definiva Manfredi «potente colonna delle emissioni culturali, che non lascia passare occasione per sbavare il suo livore anticlericale» (L’assemblea della CORSI, in “Il Giornale del Popolo”, 16 marzo 1959). Tre anni dopo però lo stesso giornale fece una sorta di pubblica ammenda degli ingenerosi giudizi, recensendo entusiasticamente una conferenza di Manfredi su Clemente Rebora «fatta con animo partecipe e con esemplare facoltà di illuminazione» (Manfredi al Circolo di Cultura: Tormento nella poesia del Rebora prima e dopo il sacerdozio, in “Giornale del Popolo” 9 marzo 1962).