Una riflessione sulle prospettive passate e future del MART di Rovereto (Roberto Antolini)
FRA BOTTICELLI E DEPERO:
LE PROSPETTIVE DEL MART DI ROVERETO
di Roberto Antolini
Presentando l’ultima mostra aperta il 22 maggio al MART di Rovereto ̶ su Botticelli e la sua influenza nella storia dell’arte fino ai nostri giorni ̶ il presidente leghista della Provincia di Trento Maurizio Fugatti, ha lodato «l’era Sgarbi» al MART che, ha affermato, rappresenta «un risultato positivo per Rovereto, la Vallagarina e tutto il Trentino […] abbiamo letto che su Rovereto e la Vallagarina la presenza turistica comincia ad essere importante, e questa mostra farà aumentare sicuramente la partecipazione». (1) Veramente, in senso stretto, parlare di successo (il «risultato positivo») il giorno dell’inaugurazione di una mostra ha poco senso: il successo si valuta il giorno della chiusura, soppesando qual è stato l’afflusso di visitatori (anche volendo astrarre dal rapporto fra costo della mostra e incasso da vendita dei biglietti). Evidentemente Fugatti intendeva dire che è già un successo l’apertura di una mostra come questa, che al MART non si vedeva dai tempi della direzione Belli (facendo eccezione per quella del 2020 con un’opera di Caravaggio, che probabilmente avrebbe potuto esserlo – nello stesso senso – ma è stata “bruciata” dalla pandemia). Il successo dell’apertura di una mostra come questa in effetti si può già valutare, non dall’afflusso di visitatori, per la qual cosa è ancora presto, ma da altri indicatori: la presenza di opere molto importanti, “pezzi da novanta” della storia dell’arte come Botticelli, Filippo Lippi, Pollaiolo, Verrocchio (assieme a quelle esposte nella parallela mostra su Raffaello), nonché dallo spazio che trova sulla stampa nazionale, come le intere pagine di pubblicità della mostra sui quotidiani più importanti, a seguito delle quali – non abbiamo dubbi – non mancherà il conforto di buoni articoli delle migliori penne dei quotidiani stessi (ci mancherebbe!).
Entrambe queste due tipologie di successo comportano innanzitutto un rilevantissimo investimento finanziario. La presenza di opere importanti costa assai di valore-assicurativo, spese di trasporto e allestimento, oltre alle contropartite che di solito chiedono gli enti che le custodiscono: è stato il caso delle spese di restauro dell’opera di Caravaggio, presente alla mostra dello scorso anno, proveniente da Siracusa, che aveva chiesto in cambio appunto il restauro. Ma neppure la pubblicità a tutta pagina sui quotidiani nazionali è gratis. Quindi, in qualche modo, per il MART dell’era Sgarbi possiamo dire che un successo effettivamente si nota già: una buona disponibilità di finanziamenti provinciali. Tale disponibilità aveva accompagnato la partenza del museo nella prima “era Belli”, ma era poi scemata col passar degli anni. Da qui la fuga, nel 2011, di Gabriella Belli dal MART verso la evidentemente più accogliente Venezia, e le difficoltà in cui si erano trovati ad operare i giovani direttori che le erano succeduti, che hanno dovuto tenere in piedi l’attività espositiva del museo senza risorse adeguate per grandi iniziative, e sono giocoforza dovuti ripiegare sull’utilizzo “risparmioso” delle collezioni interne, oppure esponendo artisti contemporanei dai costi molto più contenuti (che cosa non farebbe un artista non ancora pienamente affermato per esporre al MART!). Iniziative, di conseguenza, dagli esiti di visibilità pubblica più modesti.
Quindi sì, si può parlare di successo per l’apertura di una mostra come questa, ma in particolare del successo di Vittorio Sgarbi nell’imporre l’apertura dei cordoni della borsa alla giunta provinciale a guida leghista, che lo aveva nominato contando sulla sua notorietà come storico dell’arte non meno che sulla consonanza politica, ma probabilmente senza alcuna idea di cosa ciò avrebbe comportato: adesso l’hanno visto.
L’era Sgarbi al MART scioglie anche una contraddizione che ha sempre avviluppato le attività del museo: la contraddizione fra due diverse prospettive. La prima era costituita dalle ambizioni di quell’intellighenzia roveretana che il MART ha voluto e concepito come potenziamento e valorizzazione del lascito di Depero al Comune di Rovereto. L’altra prospettiva era invece quella derivante dalla dimensione del Museo-grande opera, come marketing artistico per il turismo provinciale, che le ha conferito “la politica” allorché ha preso direttamente in mano il progetto. Sono state commissionate mura firmate dall’archistar svizzero Mario Botta per la nuova grandiosa sede, piazzata nel settecentesco monumentale corso Bettini, a sua volta sottoposto al generalizzato restauro che doveva farne il cuore dell’offerta di una proposta anche culturale all’interno del pacchetto turistico trentino, fino ad allora specializzato in montagne, piste da sci e tutt’al più laghi.
All’origine di tutto c’è stato Depero. Dopo una vita spesa tutta dentro il movimento futurista – a braccetto con Marinetti & C. – l’artista lascia al Comune di Rovereto, da anziano nel 1957, una notevole collezione storica di sue opere assieme al suo imponente archivio (dove è raccolta una ricchissima documentazione sulla storia del movimento futurista), in cambio dell’apertura da parte del Comune di una “Galleria Museo Depero”, collocata nell’ex Banco dei pegni, nel centro storico (dove è ancora aperta la “Casa Depero” come sezione staccata del MART). Nel 1987 la Provincia Autonoma di Trento ed il Comune di Rovereto decidono di procedere alla fusione del Museo Depero con la sezione d’arte contemporanea del Museo provinciale d’arte, facendo nascere il MART come raccolta unitaria di collezioni d’arte e soggetto promotore di attività espositive, corredato d’un archivio-biblioteca denominato Archivio del Novecento, erede di quello originario di Depero, ma che successivamente viene notevolmente incrementato con l’arrivo di biblioteche ed archivi della maggior parte degli esponenti del movimento futurista, di architetti soprattutto razionalisti, e di altre figure importanti della vita artistica italiana del XIX-XX secolo, come Grubicy (il mercante degli artisti divisionisti italiani, e in particolare di Segantini), come Margherita Sarfatti ed altri.
Nei programmi originari il MART avrebbe dovuto essere un’entità con due anime intrecciate: da un lato una importante attività espositiva che guardava con particolare interesse all’età delle avanguardie, dall’altra un centro-studi – basato sull’Archivio del Novecento – che produceva ricerca su quel periodo storico, valorizzando l’importante ruolo svolto a Rovereto dalla presenza di Depero con la sua Casa d’Arte Futurista e dalla notevole serie di artisti ed architetti che sotto la sua influenza escono dalla cittadina, allora austriaca, nei primi decenni del secolo. Personaggi che lasceranno a loro volta una significativa impronta nella storia artistica italiana: da Carlo Belli a Roberto Iras Baldessari, da Fausto Melotti agli architetti Adalberto Libera, Gino Pollini, Luciano Baldessari. È una stagione artistica felice per Rovereto, che in questa infilata di artisti e architetti d’importanza nazionale raccoglie i frutti di una secolare tradizione intellettuale sedimentatasi dall’attività di una borghesia manifatturiero-commerciale, arricchitasi con l’attività serica. Da essa ha origine una locale cultura razional-illuministica e una vita artistico-culturale divisa fra l’identità nazionale italiana e la collocazione nell’area politico-amministrativa (e scolastica) austriaca. Una tradizione che la cittadina porterà, tramite l’irredentismo, nell’ambito culturale ̶ e dopo la Grande Guerra anche statale ̶ italiano. Compito del MART – per chi lo aveva ideato e messo in piedi – avrebbe dovuto essere anche studiare e promuovere questa storia culturale del territorio, uno dei rari momenti di modernità sviluppatosi in Trentino, valorizzando l’apporto anche locale alla cultura del Novecento. Tutto questo ora sembra dimenticato.
Possiamo dire che ora il nodo sia stato sciolto per altro verso: con queste mostre di richiamo, ma avulse da ogni intreccio con la storia culturale del territorio, hanno vinto completamente le ragioni della politica turistica su quelle della politica culturale. È avvenuto al di là di ogni differenza politica, anzi in una certa continuità d’intenti fra le ultime giunte di centro-sinistra (solo un po’ più imbarazzate ad imboccare questa sola direzione, contrastate com’erano dalla presenza nel loro campo dell’area elettorale dell’intellighenzia roveretana, e comunque stitiche di finanziamenti) e quella attuale, a trazione leghista.
E se ora il problema delle radici territoriali del museo e le prospettive di ricerca storico-archivistica sono scomparse da qualunque discorso ufficiale, era da tempo che la direzione non poteva essere che questa. Era già in nuce nel passaggio dalla funzionale ma sobria prima sede di corso Rosmini (ricavata da un ex grande magazzino) alla successiva grandeur del Polo Museale di corso Bettini: per le grandi opere servono grandi numeri, di pubblico e quindi di finanziamenti.
NOTA