La personale variante di un cyber-romanzo nell'ultimo lavoro dello scrittore di origine trentina, da tempo residente a Parigi (recensione di Roberto Antolini)

 

"Baco" di Giacomo Sartori

 

Giacomo Sartori, Baco, Roma, Èxòrma, 2019, € 16,50

 

Baco di Giacomo Sartori: una distopia personalizzata

di Roberto Antolini

 

Giacomo Sartori è uno scrittore che non si ripete. Se prendete in mano l’ultimo libro che ha pubblicato, difficilmente troverete analogie con il penultimo. Nella sua ormai quasi venticinquennale attività letteraria, ha svolazzato da un genere narrativo all’altro, in una evoluzione tutt’altro che casuale però.

Ha sempre messo al centro dei suoi testi personaggi molto irregolari, spesso con gravi problemi psichici: sembra che simili personaggi siano per lui il miglior punto d’osservazione sul mondo. E poi altro tema costante, che lo segue – come i suoi personaggi irregolari – da un tipo di testo all’altro, sono i disagi della famiglia, vista come cellula-base della società, al contempo necessaria ma nostalgicamente impossibile. Poi invece per i generi narrativi, per le tipologie testuali, è molto eclettico: svolazza o meglio sperimenta continuamente le sue varie possibilità.

Il suo è uno sperimentalismo strutturale, che naviga fra le varie possibili funzioni e forme del testo, delle sue architetture narrative e delle costruzioni di senso conseguenti. Probabilmente questa è anche una specie di guerriglia editoriale, un tentativo di barcamenarsi fra le varie tipologie di consumo letterario canonicamente ammesse dall’editoria che va attualmente per la maggiore (quella dei manager che passano dai libri alle patatine con analoghi criteri commerciali). Cercando di conquistarsi, in questo svicolare fra generi, spazi di libertà creativa, utilizzando le tipologie più affermate ma clonandole dall’interno, provocandone una mutazione.

È la storia editoriale anche di quest’ultimo romanzo Baco, per il quale aveva già firmato il contratto con un editore, il quale però intendeva metterci le mani in maniera intollerabile per Sartori, che con le sue resistenze ha fatto saltare il contratto già firmato. Dovendo poi rimettersi ad un certo punto  ̶  a lavoro editoriale già avviato  ̶  alla ricerca di un’altra sigla editoriale ospitante. Ma tutto è bene quello che finisce bene, infatti ne è uscita un’ottima edizione Èxòrma, casa editrice intorno alla quale si raccoglie un certo ambiente letterario romano (mentre Sartori vive ancora a Parigi), e in questi giorni anche l’edizione statunitense, che si intitola Bug. A Novel grazie alla traduzione di Frederika Randall per la Restless Books.

Sartori ha iniziato a pubblicare libri con una vena un po’ autobiografica, che tocca il culmine con Anatomia della battaglia dedicato ai tempi fascisti del padre, messi a confronto con quelli della sua giovinezza, gli anni Settanta. Ha poi pubblicato alcuni romanzi e racconti in cui ha riscritto liberamente vicende di cronaca nera. Non ha evitato neanche il romanzo più o meno storico con Cielo nero, dedicato alla fine di Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini (anche qui, in un certo senso, cronaca nera dei tempi del padre). Ha poi pubblicato, con Autismi, un esemplare libro di ‘letteratura da blog’, provandone prima i pezzi sul blog letterario Nazione Indiana, e poi raccogliendoli in volume. Dal penultimo libro, il surreale Sono Dio, compare invece una forma ‘tutta-fiction’, proprio inventata, costruita a tavolino in funzione del risultato complessivo, senza riciclare nella storia l’emersione di pezzi di realtà biografica o storica (se non fra le righe!).

L’ultimo, Baco, si inscrive in un ‘segmento di mercato’ piuttosto caratterizzato e anche alla moda: una vicenda che potremmo definire cyberpunk, imperniata sui personaggi di due fratelli hacker adolescenti e della loro strampalata famiglia, in un orizzonte distopico, per quanto contemporaneo.

La distopia della storia è costitutiva, le vicende diciamo personali vi sono inscritte come in un destino dai contorni sovrastorici, nei quali però si riconoscono bene le basi economico/sociali del nostro tempo (precarietà, crisi ambientale): le api, attività di sostentamento della madre, restano stecchite per l’inquinamento sparso dal vicino agricoltore, «si raccolgono con la pala» (p. 8) e «venivano in mente le immagini dei campi di sterminio» (p. 231).

Dicevamo che la famiglia impossibile quanto necessaria è uno dei temi tipici di Sartori. E qui la galleria dei membri della famiglia è quanto mai sartorianamente riconoscibile: dalla madre anarco-ecologista per la quale «la vera vita sono i cavoli e i rapanelli, e beninteso le api» (p. 11). O meglio erano, prima che finisse in coma in ospedale per un incidente occorsole dopo una litigata con il padre separato dei ragazzini, di cui l’io narrante dice «quell’irresponsabile ragazzo che mi era capitato come papà», informatico di professione, ma non così geniale come i figli (p. 151). Il nonno è un vecchio alternativo che racconta sempre della comune del bosco dei castagni dove aveva incontrato, e perso, la nonna. Ma è ancora un nume tutelare della strampalata famiglia: «la sua macchina non ha né aria condizionata né navigatore – dice il ragazzino più giovane - è davvero molto primitiva, però viaggiare con lui mi piace, perché ha sempre cose interessanti da raccontare» (p. 57).

La narrazione viene condotta tramite una lettera, lunga tutto il romanzo, che il ragazzino sordo e con problemi di linguaggio – scolasticamente inabile, incontenibile dal punto di vista nervoso (appunto: molto irregolare, come si diceva) – scrive sul computer, con l’aiuto della affettuosa ed affezionata logopedista, alla madre in coma in ospedale, non per spedirla però, perché «certi accadimenti accettano di essere intrappolati nelle parole solo a patto che le frasi restino murate in un archivio criptato, senza farsi vedere in giro, senza mai andare a spasso nella rete o altrove  … come un’anfora dell’antichità seppellita in una nave affondata in una fossa oceanica» (p. 17). E nessuno mi toglie dalla testa che questa è una metafora della letteratura contemporanea.

Un romanzo cyberpunk dunque? Direi solo all’apparenza, un meta-cyberromanzo, senza davvero il cupo pessimismo del genere. Una personalizzata variante del genere, in cui incontriamo sì un robot che cerca di sottrarsi ai limiti che gli erano stati dati, e la conseguente visione di un presente e di un futuro su cui si allunga l’ombra del potere sempre più autonomo delle tecnoscienze, ma assieme ai soliti personaggi di Sartori, alla sua filosofia della vita, e della letteratura.