Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Correndo dentro il Novecento. Cenni biografici su Piero Siena. In: A Pier Luigi. Un omaggio per i 60 anni de “Il Cristallo”, a cura di Sonya Beretta, Centro di Cultura dell’Alto Adige / Edizioni Alphabeta Verlag 2018, pp. 17-20.

 

 

 

CORRENDO DENTRO IL NOVECENTO

CENNI BIOGRAFICI SU PIERO SIENA

 

di Carlo Romeo

 

 “Gli avvenimenti che mi sono accaduti sono fatti normali, non c’è nulla di eccezionale”: così si esprime Piero Siena nelle pagine finali del bel libro di memorie nato dai suoi colloqui con Paola Tognon (1). Eppure sono poche le biografie che al pari della sua intrecciano e restituiscono così intensamente gli snodi più importanti del Novecento italiano. Anche il suo rapporto con l’arte non ha avuto nulla di accademico ed è stato vissuto non come professione bensì come passione, alimentata e accompagnata dalla curiosità verso i più diversi aspetti della realtà, dalle concrete amicizie e incontri personali, all’impegno politico fino all’entusiasmo per le novità tecnologiche (i motori, la sua seconda passione).

 

Piero Siena nasce il 17 aprile 1912 a Castelbelforte, paesino del Mantovano, in un contesto contadino. Il padre svolge un’attività di rivendita di sementi e intermediazione nella vendita di granaglie. La madre, originaria del vicino paese di Castelgoffredo, è anch’essa figlia di un piccolo coltivatore diretto. Primogenito maschio, frequenta le scuole medie a Mantova e qui comincia il liceo scientifico. Ben presto però interrompe gli studi regolari e si dedica intensamente alla pittura. La famiglia non lo ostacola; il padre anzi gli mette a disposizione un piccolo locale da attrezzare a laboratorio.

Fondamentale nella sua formazione risulta il costante contatto con il vivace ambiente artistico mantovano a cavallo degli anni Venti e Trenta. Entra a far parte del gruppo del “Novecento mantovano”, stringendo amicizia soprattutto con il pittore Arturo Cavicchini e lo scultore Clinio Lorenzetti, poco più grandi d’età. Vince un premio a una Mostra Sindacale d’Arte e ottiene una borsa di studio dall’Istituto Franchetti per studiare tre anni presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia (2).

Qui segue soprattutto i corsi di pittura e incisione di Emanuele Brugnoli. Ha come compagni pittori come Renato Birolli e Giulio Turcato, ma grande importanza nella sua formazione avrà anche l’amicizia con il critico Sandro Bini, anch’egli d’origine mantovana. Comincia a gettare lo sguardo oltre il panorama nazionale, visitando esposizioni all’estero. La Biennale di Venezia del 1930 risulta per lui determinante, soprattutto per l’incontro, nel padiglione tedesco, con l’opera di Klee e Kandinskij. La più grande ammirazione ̶ una “folgorazione” che forse nella sua carriera di critico non sperimenterà mai più in modo così totale e assoluto  ̶  è destata però in lui dagli espressionisti, nel cui linguaggio gli sembra di trovare una perfetta combinazione tra arte e politica, estetica e azione di lotta: sono proprio le stesse opere che di lì a poco, nella Germania nazionalsocialista, verranno condannate come “arte degenerata”.

A questo periodo risalgono le sue prime riflessioni sul rapporto tra arte e politica, un tratto comune dei giovani intellettuali della sua generazione. Il processo è favorito involontariamente dalla stessa politica del regime fascista verso i giovani universitari, letterati e artisti. È proprio nei GUF, nelle mostre sindacali d’arte, nelle strutture culturali finanziate dal partito che, sotto la facciata di un totalitario consenso, cominciano a circolare idee, dibattiti, confronti che negli anni porteranno molti di questi giovani a posizioni critiche, “di fronda” e in qualche caso consapevolmente antifasciste.

 

Su invito del professor Giuseppe Cerrina, conosciuto a Venezia, Piero Siena ha l’occasione di organizzare una mostra personale a Merano (1932). I suoi rapporti con l’Alto Adige si sono del resto consolidati da quando a Bolzano si è trasferito con la famiglia uno zio materno. Siena comincia a trascorrervi periodi sempre più lunghi, coltivando la pittura di paesaggio (“alla Segantini” come ricorderà) e trovandovi anche lavori provvisori. Sempre a Bolzano si sposa e ha due figli, un maschio e una femmina, nati entrambi prima della guerra.

Tra le passioni riconducibili alle radici mantovane e coltivate da Siena sin dalla giovinezza vi è quella per la velocità e in particolare per i motori, che determina passaggi importanti della sua vicenda biografica. Il primo coincide con la specializzazione con cui viene arruolato e in seguito impiegato in guerra: addetto al servizio trasporti di un reparto di guastatori, guida camion carichi di esplosivi. Nel 1942 parte con l’ARMIR (nel Corpo d’Armata Alpino) per la campagna di Russia, vivendo tutte le cruenti fasi delle operazioni belliche nell’Ucraina orientale. In occasione della battaglia di Nikolajevka (gennaio 1943) è tra le decine di migliaia di soldati italiani che non riescono ad uscire dall’accerchiamento e viene catturato dai russi.

Dopo qualche tappa intermedia e il ricovero in un ospedale per prigionieri, grazie alla simpatia di un ufficiale sovietico che parla italiano, viene dapprima inserito in un reparto internazionale e poi destinato a un campo di ufficiali italiani vicino a Mosca. Qui viene reclutato nell’organizzazione di propaganda comunista e antifascista rivolta ai prigionieri, gestita soprattutto da italiani fuoriusciti in Russia prima della guerra. Conosce tra questi il cognato di Togliatti, Paolo Robotti, Giovanni Germanetto (l’autore di Memorie di un barbiere) e le figlie di Francesco Misiano, Ornella e Carolina, impegnate direttamente nelle trasmissioni in lingua italiana di “Radio Mosca” (3). Oltre che alla redazione di queste trasmissioni, Siena collabora al periodico L’Alba, notiziario di propaganda per i prigionieri.

È in questo contesto, a due passi da Mosca, che Piero Siena si iscrive per la prima volta al partito comunista italiano. Rinnoverà la tessera per 49 anni, fino agli inizi degli anni Novanta, ovvero fino alla “svolta Occhetto”, quando il partito cambierà nome e simbolo.

Alla fine della guerra viene rimpatriato, con un viaggio da Mosca a Bolzano che dura 45 giorni. Dato che scende dal treno direttamente a Bolzano, senza recarsi al centro di raccolta di Pescantina, il suo nome viene inizialmente inserito nelle liste dei dispersi.

 

Nel dopoguerra, stabilitosi definitivamente a Bolzano, trova lavoro nel campo della sua “passione” per i motori, come agente concessionario di marchi automobilistici (tra cui Lancia e Maserati) e come responsabile del settore vendite della Castrol. Partecipa persino ad alcune gare automobilistiche su strada, tra cui la famosa “Mille Miglia”.

In campo politico sceglie invece di non entrare nella militanza attiva, nonostante il suo nome  ̶  dati i suoi “trascorsi moscoviti”  ̶  sia ampiamente conosciuto ai vertici di Botteghe Oscure e, in senso opposto, agli informatori che redigono le liste dei soggetti “da tenere d’occhio” nel clima di imperante “guerra fredda”. Continua a coltivare rapporti di amicizia con alcuni alti dirigenti romani e partecipa alle iniziative culturali del partito, tra cui l’associazione Italia-Urss, recandosi più volte in Russia come membro di delegazioni.

Se la sua scelta politica di fondo non subirà mai significativi mutamenti, un certo disagio al suo senso critico gli procureranno invece le posizioni, perlopiù conservatrici, del partito in campo artistico. Le difficoltà nel conciliare le direttive politiche e le esigenze della libertà dell’espressione artistica si manifestano prestissimo nel PCI, già con la polemica Vittorini-Togliatti del 1947 sulla rivista “Il Politecnico”. Per Siena essa rappresenta in nuce l’anticipazione di un conflitto irrisolto, che diventa per lui lacerante allorché lo stesso Togliatti, in veste di critico d’arte, sulle pagine di «Rinascita» mette violentemente al bando e ridicolizza i giovani astrattisti, che pure erano vicini al PCI (4). Il predominio e dirigismo del PCI in alcuni ambiti culturali rimane ferreo almeno fino alla metà degli anni Cinquanta. L’ostracismo del partito verso l’astrattismo, considerato espressione decadente ed estetizzante, a favore di un realismo “impegnato”, determina per lungo tempo l’emarginazione (e spesso gli stenti economici) di molti artisti di cui Siena è ammiratore e personale amico.

 

Nel frattempo ha modo di sviluppare la sua attività di critico, in cui si distingue per chiarezza interpretativa ed efficacia comunicativa. Scrive per testate collegate al partito, come “L’Unità” e “Rinnovamento”, ma anche per il «NAC», il Notiziario Arte Contemporanea fondato a Milano negli anni Sessanta di Francesco Vincitorio. Dal 1960 per più di 40 anni arricchirà con le sue rubriche e segnalazioni i numeri della rivista di varia umanità “Il Cristallo” del Centro di Cultura dell’Alto Adige (5).

Il fondamentale ruolo di Piero Siena nel mondo artistico altoatesino è nella sua capacità di veicolare all’interno della realtà locale i frutti più interessanti del panorama artistico italiano (ma non solo) della seconda metà del Novecento, grazie alla sua naturale vocazione a promuovere, stimolare, intessere relazioni. A confermarlo basterebbe l’infinito elenco degli artisti  ̶  appartenenti a generazioni, correnti, gruppi tra loro assai distanti  ̶  con i quali coltiva duraturi rapporti che il più delle volte si trasformano in fraterne amicizie: da Gino Severini a Nino Franchina, da Lucio Fontana a Renato Birolli, Antonio Corpora, Tono Zancanaro, Karl Plattner e tanti altri ancora. Nel 1986, a 74 anni, viene chiamato a far parte del comitato artistico dell’associazione promotrice del Museo d’Arte Moderna di Bolzano, che nel 1991 assume il nome di Museion. Ne sarà il direttore dal 1987 al 2001, promuovendo e curando più di un’ottantina di mostre ed eventi e riuscendo a gestire e mediare una pluralità di focalizzazioni: dall’arte regionale (includendo il “Tirolo storico”) a quella italiana, austriaca, germanica moderna e contemporanea. Il “professor Siena”  ̶  come tutti lo chiamano affascinati dalla sua signorile e cordiale autorevolezza  ̶  regge alla grande il timone dell’istituzione sino quasi ai novant’anni. Con straordinaria curiosità e capacità di lettura e aggiornamento, nonostante i rapidi mutamenti dei linguaggi artistici, colma il divario generazionale rispetto ai collaboratori. Una curiosità che non viene mai meno fino al 17 novembre 2003, quando giunge al traguardo la sua lunga corsa dentro un secolo di colori, conflitti e passioni

 

 

NOTE

 

1. Piero Siena, Anni & Vita, a cura di Paola Tognon, SilvanaEditoriale, Milano 2002.

2. La fondazione mantovana (tuttora attiva), nata agli inizi del secolo dalle volontà testamentarie del commendatore-filantropo Giuseppe Franchetti, rappresentava un importante sostegno per i migliori talenti della provincia nei più svariati campi e favorì la formazione di numerosi giovani artisti.

3. Cfr. Luigi Amadesi, Italiani a Radio Mosca, in «Rinascita», 05.09.1969 (n. 35), pp. 15-16. Dal giugno 1941 fino alla sua partenza per l’Italia (maggio 1943) lo stesso Togliatti vi tenne la rubrica Discorsi agli italiani (raccolti in volume nel 1948).

4. Roderigo di Castiglia (pseudonimo di Palmiro Togliatti), Segnalazioni, in «Rinascita», 1948, n.11. La polemica, in cui interverranno numerosi artisti, da Guttuso a Mafai e Turcato, continuerà nei numeri seguenti.

5. Una bibliografia completa degli scritti di Siena è stata curata da Susanna Piccoli e Alessandra Riggione in: Il colore della vita / Die Farben des Lebens. Hommage à Piero Siena, SilvanaEditoriale, Milano 2004, pp. 89-97.