A mezzo secolo da Schöne Welt – böse Leut una conferenza-spettacolo di teatroBlu.

 

 

 Autore: Mauro Fattor

Rif. bibl.: Fattor, Mauro, Gatterer, la storia e il racconto. In «Alto Adige», 20.03.2019, pp. 10-11.

 

 

 

 

GATTERER, LA STORIA E IL RACCONTO

 

di Mauro Fattor

 

È passato esattamente mezzo secolo da quando il giornalista, storico e narratore Claus Gatterer pubblicò “Schöne Welt – Böse Leut” (“Bel paese, brutta gente” nell’edizione italiana della Praxis 3), considerato oggi un classico della letteratura sudtirolese sul periodo del fascismo e nazismo. Nato nel 1924 a Sesto Pusteria da una numerosa famiglia contadina, Claus Gatterer visse di persona l’italianizzazione sotto il fascismo, la lacerazione delle opzioni e l’emarginazione subita dalle famiglie di Dableiber come la sua. Terminati gli studi al seminario Vinzentinum di Bressanone, trascorse gli anni dell’occupazione nazista in Italia, tra Padova e Parma, periodo che ricordò come fondamentale per la sua formazione.

 

Finita la guerra, si gettò con entusiasmo nella vita politica della neonata SVP e nel giornalismo. Già nel 1948 si trasferì in Austria percorrendo nel giro di pochi anni una brillante carriera che lo portò da Innsbruck a Salisburgo e infine a Vienna, responsabile della redazione esteri del quotidiano “Die Presse”. A cavallo degli anni ‘60 e ’70 fece uscire uno dopo l’altro una serie di volumi storici dalle prospettive fino allora inedite: su Cesare Battisti, sulle minoranze in Italia, sui miti e pregiudizi dell’“inimicizia ereditaria” tra Italia e Austria (tutti volumi editi anche in italiano grazie alla bolzanina Praxis 3). Passando dalla carta stampata alla televisione (ORF), nel 1974 fondò e diresse per un decennio il magazine “Teleobjektiv”, con coraggiosi reportage di inchiesta che gli procurarono persino alcuni processi. Del resto il suo motto era “Nel dubbio dalla parte dei deboli”, come s’intitola l’ampia biografia dedicatagli da Thomas Hanifle. Immediatamente dopo la sua scomparsa (1984) il Club dei giornalisti austriaci gli dedicò un premio annuale volto a incoraggiare il “giornalismo critico”.

 

Venerdì 22 marzo (ore 20.30) al Centro culturale Cristallo di Via Dalmazia a Bolzano si tornerà a parlare di Gatterer e del suo romanzo nella conferenza-spettacolo di teatroBlu “Bel posto, cattiva gente”, con immagini, letture di Nicola Benussi e contrappunto storico di Carlo Romeo, che ci spiega le motivazioni della scelta, partendo proprio dallo spiegare perché il libro di Gatterer sia da considerarsi un classico.

 

«Intanto per la sua originalità ̶ risponde senza esitazione lo storico bolzanino  ̶  Assorbe e oltrepassa tutti i modelli precedenti e tende a sfuggire a una classificazione: ricordi, storia, riflessione critica. Alessandro Costazza ne ha trovato una felice definizione: il romanzo di formazione di uno storico. Tutta la narrazione si muove con ironia tra il piano dei ricordi di bambino e adolescente e quello lucido, disincantato dell’intellettuale. E poi ha la capacità di trasformare il microcosmo narrato in qualcosa in cui tutti possono riconoscersi. È il miracolo di alcuni scrittori. Per certi versi il “piccolo mondo” di Sesto degli anni Trenta raccontato da Gatterer può persino richiamare quello di Ponteratto del dopoguerra narrato da Guareschi con don Camillo».

 

Il librò uscì nel 1969, appena finita la stagione delle bombe, quando la questione sudtirolese si avviava alla soluzione del Pacchetto. Facile immaginare che in questi ricordi ci fossero anche significati politici e civili.

 

«Del Sudtirolo e della sua storia recente ̶ continua Romeo  ̶  si era parlato molto nella controversia tra Italia e Austria. Gatterer sentiva ora il bisogno di raccontarla in modo diverso, dal basso, oltre la facciata astratta della storia istituzionale e quella deformata delle narrative etniche. Sentiva che solo così si poteva restituire l’autenticità delle esperienze vissute: l’oppressione da parte del regime fascista, il senso di precarietà e poi l’amarezza per le opzioni e le loro conseguenze, ma anche le ipocrisie, la cattiveria e la bontà della vita di paese. È stato un libro fondamentale, precursore nella costruzione di una nuova narrativa su quel periodo. I suoi effetti si sarebbero visti a distanza, anche nell’immaginario: pensiamo solo ai primi due film di Verkaufte Heimat, dove lo sceneggiatore Felix Mitterer sembra citarlo quasi continuamente.

 

Certo, quando il libro uscì, qualche lettore sudtirolese si lamentò sconcertato con l’editore Fritz Molden, da sempre molto vicino alla causa sudtirolese (aveva addirittura finanziato il primissimo BAS). Questi rispondeva che non avevano capito niente di quello che Gatterer aveva fatto. E forse solo col passare del tempo si è apprezzato pienamente quello che il libro rappresentava, nella sua sintesi tra intelligenza critica e sentimento: la massima espressione d’affetto di uno scrittore per la propria Heimat e la sua gente».