Riflessione sui testi della beat generation italiana degli anni ’60, sulla scorta di una recente antologia (articolo pubblicato per gentile concessione della rivista milanese «Il Segnale»)
Alessandro Manca (a cura di)
I figli dello stupore. La beat generation italiana.
Antologia di poesia underground italiana
[S.l.] Edizioni Sirio, 2018. Allegato al libro un film in DVD di Francesco Tabarelli
Autore: Roberto Antolini
Rif. bibl.: Antolini, Roberto, “Una beat generation italiana”. In: «Il Segnale» ©, n. 112 (febbraio 2019), Milano. Si ringrazia la direzione della rivista per l'autorizzazione.
UNA BEAT GENERATION ITALIANA?
di Roberto Antolini
Nel suo libro C'era una volta un beat, Fernanda Pivano raccontava di quando, nel 1966, dopo il successo della antologia Poesia degli ultimi americani pubblicata nel 1964, Giangiacomo Feltrinelli le commissionava una collana di libretti alternativi di nuovi giovani autori “beat” italiani, che poi - nonostante il suo lavoro preparatorio ̶ non hanno visto la luce, perché
«era difficile capire allora che quei poeti erano voci della Sinistra, voci antifasciste, anticapitaliste: erano poeti e letterati che annunciavano l'unica e possibile via della politica, quella della partecipazione; annunciavano per strane, magiche, sotterranee relazioni storiche quello che fu il tentativo della Rivoluzione Culturale, cioè annunciavano la necessità e la possibilità di un tentativo globale di comunicazione pubblica».
In queste parole della Pivano c'è tutto l'essenziale della questione, cioè che il cosiddetto “beat italiano” è stata comunicazione e rottura culturale, ma non si può definire letteratura, perché la letteratura è un'altra cosa. Ora ne abbiamo le prove: una raccolta di testi del tipo di quelli a cui lavorava la nota americanista negli anni '60 esce ora in questo volume “I figli dello stupore. La beat generation italiana. Antologia di poesia underground italiana” curato da Alessandro Manca (Edizioni Sirio, 2018). Il volume è in realtà un allegato al prodotto originale, il DVD contenente un omonimo film di Francesco Tabarelli, prodotto a Trento tramite crowdfunding, con le interviste ai beat di allora, così come sono oggi: 50 anni dopo, vecchi e incanutiti, qualcuno integrato ma altri no. Il film mostra i volti e la voce degli autori (non tutti ovviamente) dei testi raccolti nel libro, scritti negli anni '60.
La beat generation americana era nata, nel 1944, alla Columbia University di New York. Era formata da giovani intellettuali che rifiutavano dall'interno quel gotha della cultura americana. Il beat italiano si raccoglie intorno a “Nuova Barbonia” (la definizione è del Corriere della Sera), un campo in riva al naviglio Vettabbia, in fondo alla milanese via Ripamonti, preso regolarmente in affitto nel 1967 dai primi “cappelloni” della città per farne un campeggio autogestito dove dar da dormire ad una prima tribù ribelle ed anticonformista, ma soprattutto emarginata (per la cronaca NB verrà spazzata via con lanciafiamme dalle forze dell'ordine aizzate dal CorSera). Da quella stessa tribù venne fuori ciclostilato, nel 1966, il primo esempio di stampa underground italiana, «Mondo Beat» (1), continuato poi, negli anni '70, dal già più celebre e diffuso «Re nudo» di Andrea Valcarenghi. I testi ora raccolti in questo libro sono tratti in primo luogo dalle pagine di «Mondo Beat», e da altre testate nate ad imitazione (spesso numeri unici una-tantum), da qualche libro che vede la luce miracolosamente presso editori regolari (Longanesi, Feltrinelli e poi Arcana), da edizioncine “alternative” autoprodotte o quasi, oppure dalle edizioni “ufficialmente” underground Pitecatropus, ma non mancano testi usciti «dall'archivio privato di Gianni Milano».
Difficile ovviamente dare al lettore un'idea di un materiale tanto disomogeneo. Diciamo che c'è anche chi un po' “letterario” lo è, come il torinese Gianni Milano: «Questa nostra periferia salata/ai limiti del pianto/dove anche l'erba s'incarognisce/dove anche i nuovi casoni come un cancro/si divorano gli ultimi liberi pascoli/dei gatti ...». Ma in genere sono testi che si pensano come immediate “grida di rabbia” ̶ ispirati da Howl, il più noto poema di Allen Ginsberg ̶ parole in libertà, esternazioni di sensazioni, visioni, incazzature. Si sente fortissima la lezione di Ginsberg, ma lui è un poeta visionario, si lancia in sequenze battenti di immagini che però poi sa ricondurre dentro una architettura semantica, a una forma di comunicazione poetica. Questi giovani autori per caso degli anni '60 italiani danno invece l'impressione di non porsi nemmeno il problema, gli basta urlare la loro condizione di marginalità. C'è ovunque – mi sembra – un'aria da crisi adolescenziale, da esistenzialismo introspettivo che cozza contro le strutture istituzionali della società ancora pesantemente repressiva di quegli anni, ma è una crisi adolescenziale storicizzata, soffocata dentro un gap generazionale che non era mai stato così straniante come in quell'Italia in pieno boom economico, appena passata dalla società contadina a quella industriale, dalla fame al consumismo, in marcia verso una faticosa secolarizzazione.
La Pivano parla di “anticapitalismo” ma non ne sono così certo, forse si tratta del percorso – certo penalizzante per chi ne pativa le contraddizioni – verso un capitalismo più aggiornato all'allargamento dell'area della coscienza consumistica, che si spinge ad occupare territori di consumo prima proibiti come quelli del sesso, della psichedelia, della libertà di comportamenti privati. Dove invece la Pivano ha ragione da vendere ̶ e ce ne accorgiamo proprio ora, con partiti arrivati al governo partendo da una pagina WEB ̶ è dove dice che «annunciavano la necessità e la possibilità di un tentativo globale di comunicazione pubblica». L'odierno scrivere da parte di tutti, senza controllo alcuno, sui social-media, è annunciato da questi scrittori per caso del beat italiano, da quel tempo in cui – come dice nel film Gianni Milano - «scrivevano tutti».
NOTA
1) Consultabile ora in formato elettronico all'indirizzo www.melchiorre-mel-gerbino.com/MondoBeat.