Merano 1938, acquaforte, collezione Lucia Bartolini 

Contributo sugli anni meranesi nell’opera letteraria dell’artista marchigiano.

 

 

Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, «Scrivere en plein air. Gli anni meranesi nell'opera letteraria di Luigi Bartolini / Die Meraner Jahre im literarischen Werk des Luigi Bartolini». In: Luigi Bartolini. Gli anni meranesi / Die Meraner Jahre, Kunst Meran/Merano Arte (a cura di), Comune di Merano – Assessorato alla Cultura / Gemeinde Meran – Assessorat für Kultur, 2003, pp. 8-19.

 

 

SCRIVERE EN PLEIN AIR

GLI ANNI MERANESI NELL'OPERA LETTERARIA DI LUIGI BARTOLINI

 

di Carlo Romeo

 

UN «RANDAGIO» IN RIVA AL PASSIRIO

 

Nell'originale percorso di artista "a tutto tondo" incarnato da Luigi Bartolini, la scrittura (sia essa lirica, narrativa o polemica) è elemento costante, altrettanto espressivo e creativo dell'incisione e della pittura. Già negli anni inquieti e girovaghi della formazione artistica (Siena, Roma, Firenze) la passione letteraria lo spinge a stringere amicizie con figure del rilievo di Federigo Tozzi, Dino Campana e Ardengo Soffici. Sono gli anni delle riviste fiorentine, dei manifesti, degli impetuosi movimenti di rivoluzione artistica come quello futurista. Se appare difficile rintracciare dei precisi modelli contemporanei alla sua personalissima scrittura, il focoso clima di quel periodo letterario sembra certo avergli lasciato come segno indelebile la rivendicazione polemica, umorale, iperbolica della propria identità artistico-esistenziale. Ad animare la scrittura di Bartolini si ritrova costantemente la tensione a rappresentare le tormentate vicende del proprio "io", delle sue cadute e salvazioni, delle miserie e delle conquiste spirituali, tutte condotte nel perenne, insanabile conflitto col mondo degli uomini. Basti pensare che per intendere la scontrosa, eccentrica personalità di Bartolini la critica ha indicato come termini di riferimento (tutti peraltro rifiutati dall'artista) addirittura i classici "maledetti" della letteratura italiana: Cecco Angiolieri, Jacopone da Todi e Benvenuto Cellini.

 

Poco prima di partire per il fronte della prima guerra mondiale, Bartolini pubblica a proprie spese la prima raccolta di versi (I parenti, 1915). Passato il lungo intervallo bellico che lo vede impegnato dal Carso alla Cirenaica e alla Carinzia, raggiunta l'autonomia economico-lavorativa con la cattedra di insegnante di disegno nelle scuole tecniche, pubblica la seconda raccolta nel 1924 (Il guanciale) ottenendo notevole interesse critico. Ha inizio da allora l'intensa attività letteraria, che lo vedrà pubblicare a ritmo serrato liriche, prose, saggi, elzeviri e polemiche sui principali fogli culturali del Ventennio. È soprattutto la vocazione polemica a metterlo in luce, a cavallo degli anni Venti e Trenta, come una delle penne più impertinenti e aggressive di quel composito mondo che passerà sotto il nome di "fronda".

Il suo irruente temperamento "provinciale", la sua polemica antiaccademica, i suoi accenti ribelli e anarchici lo fanno avvicinare al movimento di «Strapaese» e alla rivista «Il Selvaggio» di Mino Maccari, che ne è l'espressione più radicale. L'affermazione letteraria va di pari passo a quella in campo artistico e trova una tappa fondamentale nel periodo 1930-33, triennio in cui pubblica ben 5 libri di narrativa, tra cui Passeggiata con la ragazza e Ritorno sul Carso. Quest'ultimo, nel filone "reducista" allora in voga, viene accolto trionfalmente persino dalla critica militante fascista. Ma Bartolini, peraltro già considerato a questa data uno dei migliori incisori a livello nazionale, è tutt'altro che destinato ad avviarsi a una comoda carriera di letterato. La sua irrefrenabile licenza espressiva, la vis polemica nei confronti di personaggi in vista del regime (tra cui lo stesso Mussolini) e dei letterati di professione («i mangianti», come li definisce), l'ostinazione che manifesta in screzi personalissimi con Federali e autorità, gli causano una rapida disgrazia. Viene trasferito d'ufficio dalle sue amate Marche a Pola e poi a Bari; nel giugno 1933 viene arrestato e dopo un mese di carcere confinato. Il pretesto per l'applicazione della misura del confino è fornito dalla sua sospetta corrispondenza, controllata dall'Ovra, con antifascisti fuoriusciti in Francia, tra cui il critico d'arte Lionello Venturi. Dal rigido confino di Montefusco (Avellino) passa al «semiconfino» di Merano, dove rimarrà per cinque anni.

La dissidenza di Bartolini nei confronti del regime, lungi dall'essere politicamente consapevole e coerente, deriva da un atteggiamento di individualistica, umorale insofferenza. La libertà dell'artista intesa da Bartolini si rivela naturaliter anarchica, controcorrente e molesta a qualunque ordine costituito. Al di là delle contraddizioni e incoerenze che gli si possono addebitare, va comunque riconosciuto a questo singolare «randagio», quale ama definirsi, il merito di aver pagato di persona e senza sconti il proprio anticonformismo.

Gli anni meranesi (1933-38), che troveranno di lì a poco letteraria espressione nelle Poesie ad Anna Stichler (1941) e nel romanzo Vita di Anna Stickler (1943), devono essere interpretati psicologicamente sullo sfondo di questo solitario, ostinato percorso di out sider. Se nella realtà dei fatti il forzato soggiorno meranese coincide, come dirà lui stesso, con uno dei periodi più felici e creativi della sua vita, il livore e l'amarezza costituiscono comunque i sentimenti dominanti dello sfondo esistenziale su cui si innesta la Vita di Anna.

 

Anna sul Passirio, 1936 (acquaforte con acquatinta)

Collezione Luciana Bartolini

 

 

DALLA CRONACA AL SOGNO

 

A Merano, per altri rinomata meta di cura e vacanza, Bartolini giunge nell'autunno 1933, insegnante presso il locale istituto tecnico inferiore «Principe di Piemonte». Affitta un appartamento nel centro cittadino e un piccolo locale che gli serve da laboratorio. Non subisce restrizioni di rilievo da parte delle autorità di pubblica sicurezza, salvo ovviamente il divieto di allontanarsi senza permesso. La sua già innata e quasi compiaciuta solitudine viene tuttavia esacerbata dal confino. Da un punto di vista sentimentale «l'orso» - com'egli si definisce nelle relazioni con gli altri - è stato da sempre irrequieto e scostante. Alle spalle ha un matrimonio fallito, un figlio morto in tenera età e un'«affinità» appena sbocciata con Anita (colei che diventerà anni dopo la sua definitiva e fidata compagna di vita) che al momento sembra comunque interrotta dalla «sventura» dei trasferimenti coatti.

Anche la sua frequentazione con la cultura ufficiale sembra compromessa. Ottiene a stento l'autorizzazione a partecipare a qualche mostra in Italia (nel 1935 è vincitore del primo premio per l'incisione alla Quadriennale di Roma), ma sono anni di "buio" nelle pubblicazioni, nella collaborazione alle riviste e nell'attenzione critica nei suoi confronti. La sua promettente carriera sembra irrimediabilmente compromessa.

A Merano Bartolini conduce vita appartata, poco dedicandosi alla frequentazione della vita cittadina e molto invece al lavoro di incisione e di pittura en plein air, stimolato dalla natura alpina circostante. Saranno un centinaio le opere nate a Merano o ispirate a soggetti meranesi. L'arte, il suo mondo interiore, è la fortezza in cui si chiude di fronte al mondo.

Lascerà Merano nel 1938 per trasferirsi a Roma, su parere favorevole delle autorità e grazie a un comando presso il Museo Artistico Industriale, diretto dall'antifascista Luigi Serra. Il ministro Bottai gli farà sapere che d'ora in poi «deve rifarsi da capo» e lui risponderà che «non ha proprio nulla da rifarsi». Questi i pochi, sommari dati cronachistici del suo periodo di permanenza sulle rive del Passirio.

 

Tuttavia la storia interiore di quegli anni resta fatalmente affidata a una figura femminile, costante musa ispiratrice di Bartolini, e più precisamente alla giovanissima Anna Stickler (per la cronaca Pichler). L'incontro, la relazione sentimentale e infine la brusca separazione con la ragazza (mandata da genitori e autorità in una casa di correzione per minorenni) costituiscono la materia autobiografica attorno alla quale Bartolini crea uno dei suoi più riusciti romanzi, «il momento magico nella narrativa di Bartolini, il tentativo di compiere un sogno idillico e rusticano insieme» (Grillandi).

Vita di Anna è un'opera sospesa tra diario e romanzo sentimentale, in cui l'irruenza e l'irregolarità tipiche della prosa bartoliniana, che si affida costantemente all'estro descrittivo, riescono a trovare argine nella limpidità del nucleo poetico essenziale: la figura "salvifica" di Anna.

 

Prima che io conoscessi Anna le opere della mia arte non venivano bene. Erano incerte. Buie come le ore dei ladri innanzi a quelle del crepuscolo (…) Prima che io la conoscessi, in certi giorni potei credere d'essere un abitante d'altro pianeta sgocciato in questo, per disavventura. Dopo ogni cosa mi rischiarò: e tanto è vero quanto è vero che la Natura non è che un musaico, dove ogni pietrina riposa bene soltanto nel suo luogo appropriato. Disordine è, per un fiore, se al fiore si proibisce di fiorire. (97-98)

 

 

ANGELI IN FUGA

 

Le righe che aprono il romanzo, e cioè l'incontro con la ragazza che avvicina il maturo pittore sulle rive del Passirio, introducono a una dimensione di favola e idillio che può sembrare un po' leziosa e manierata. L'affinità e l'accordo tra le due anime si manifesta istintivamente, al di là delle parole, sulla base di un richiamo, un riconoscimento naturale, un afflato istintivo proprio come per Bartolini dovrebbe essere la scelta dei colori della pittura.

 

Ambiguo è che un uomo stia, di mattina, al limitare d'un bosco, pendice di montagna, lungo la riva di un fiume, in quella mia posizione. Che fa? Cosa vuole? Non prende freddo? La ragazza mi domandò: - A cosa servono i vostri disegni? -. Io la pregai di lasciarsi disegnare (…) Ella intanto (e senza che nessuno glielo avesse comandato) intinse, con la punta d'un dito, sopra la mia tavolozza; e, di preciso, intinse il dito nel più bello, più chiaro colore: che è il cobalto celeste (…) Scelse, con molta precisione il suo colore, giacché non avrebbe potuto scegliere che il celeste, colore dei suoi occhi. Ella scelse un colore che possedeva negli occhi e nell'anima. (8-9)

 

L'artificio è tuttavia impressione d'un momento, perché di Anna vengono date subito pennellate così nette e incisive da fugare il dubbio che si tratti di pura creazione letteraria. Man mano di lei si conoscerà la casa, i componenti della famiglia, la professione del padre, i risvolti più privati e prosaici. Proprio qui risiede uno dei segreti della prosa bartoliniana: l'originale convivenza tra il massimo grado di idealizzazione e di realismo.

Anna, come molte delle figure predilette dallo scrittore, è una marginale. Eppure questa marginalità si trasfigura subito da dato sociale a carattere spirituale. Di umilissima condizione e grado di istruzione, vive coi genitori e la sorellina in una casa alla periferia della città, senza felici prospettive di lavoro e inserimento. I litigi dei genitori e la loro sostanziale incuria nei confronti delle figlie spingono Anna a ripetute fughe da casa e vagabondaggi a contatto con i suoi luoghi solitari e con la natura. Quello della fuga adolescenziale è uno dei miti privati più cari a Bartolini e compare spesso sia nelle liriche che nelle prose, sul filo del ricordo dei giovanili conflitti colla severa figura del padre. «E così cominciai a raccontare alla Anna i miei dolori; e come e quando incominciassi a fuggire dalla mia casa e fin dalla più tenera età». Il destino di «randagi» in cerca di affetto accomuna così l'artista e la ragazza, colmando l'abisso determinato dalla differenza d'età. Vi si aggiunge il comune rifiuto delle convenzioni e della vita civile in genere, in nome della natura. La vicenda sentimentale del romanzo è condotta dalla prima all'ultima pagina lungo questa reciproca agnizione «angelica». Essa si sostanzia in una naturalezza e pienezza di vita che si scontreranno inevitabilmente con la grettezza e la mediocrità della comune opinione. Questo è anche il tema della lirica (Incontro) che apre le Poesie ad Anna.

 

Non si trattò che d'uno sguardo;

poi ella girò l'occhio incerto;

ma già aveva riconosciuto

in me, la sua stirpe angelica.

 

Fra le rose gentili ed i garofani,

donne, per lo più giovani,

sporgevano, ridendo, al davanzale

ed ammiccando dicevano: Male,

male l'Anna s'incontra, o mie ragazze!

(E l'Anna, per la strada, era con me).

 

Anche la sensualità più accesa, così presente in Bartolini, è riscattata dalla dimensione di una gioiosa naturalezza che la salva da ogni aspetto torbido e meschino, che viene invece rinfacciato alla «gente normale». La bellezza e sensualità di Anna non hanno nulla in comune con la malizia delle «donne di città» (ricorrente e quasi ossessivo bersaglio polemico dell'autore). Sia l'artista che la ragazza non hanno bisogno di vestiti o denaro, degli idola con cui «i cittadini» nascondono la loro rinuncia alla libertà.

 

Se la Anna si fosse messa addosso uno straccio qualsiasi, le sarebbe stato bene; anche se avesse preso un sacco da farina, da zucchero, o anche da carbone, e vi avesse fatto quattro buchi e l'avesse stretto mediante una funicella al suo tenero addome, sarebbe sembrato un portento, una trovata originale della moda più alta. (59)

 

Ogni dettaglio e atteggiamento di Anna è dotato di grazia, tanto più naturale quanto meno legata ad attributi di tradizione cortese: oltre al viso, agli occhi e ai capelli, essa è connaturata infatti alle sue gambe, alla sua pelle (descritta anche nella sgradevole malattia della scabbia), al suo modo di correre, rubare mele, cacciare lumache e ranocchi e infine al suo modo di parlare, gutturale, sotto cui si intravede la pronuncia tedesca. Di questa voce («melodioso spasimo») s'innamora il poeta: «Tortore e colombe cantano male a confronto di come la ragazza parlava, con le parole più semplici del mondo». I dati realistici costituiscono per Bartolini infiniti spunti di idealizzazione sentimentale.

 

Anna sul letto (acquaforte 1935). Coll. Luciana Bartolini

 Anna sul letto 1935 Coll. Luciana Bartolini

 

IDILLIO E TEMPESTA

 

Anna vive in simbiosi con la natura dei luoghi circostanti e se ne fa mediatrice coll'artista "forestiere". Lo scenario del loro idillio sono le rive dell'Adige e del Passirio, i canaloni dei torrenti, i sentieri nei boschi e i ripidi prati attorno alla conca meranese. Il loro accompagnarsi, osservare, discutere e fantasticare è tutt'altro che ozioso, teso com'è alla ricerca di verità che si disvelano all'improvviso. Ciò può accadere soltanto lontano dalla città; «dove il paesaggio è ampio e dove la terra non è piana si vive bene perché si vive alla maniera degli uccelli». Il mondo dei volatili è un altro dei temi più ricorrenti alla sensibilità dello scrittore, assunto a paradigma opposto al mondo degli umani. La ricerca di un angolo protetto donde osservare tale differenza, è l'obiettivo che spinge i due innamorati ad allestire improvvisate capanne.

 

Io sono andato dove strepono le macchine

ho tagliato i legni con le mie mani

ho misurato tre metri per due.

E un baracchino tenero s'è rizzato nei campi

dove stiamo in pensiero, io e Anna,

a vedere cosa faccia il lugubre mondo

e cosa fanno, invece, gli uccelli.

(da Come gli uccelli, in Pianete)

 

Nelle lunghe giornate passate a dipingere dal vero, la presenza di Anna è discreta ma essenziale per la riuscita dell'opera. Ella è l'«ombra» che lo completa, gli regala il senso della pienezza dell'esistenza, lo fa aderire alla vita. E per la sua arte ella è insieme aiutante di bottega, musa ispiratrice e inappellabile giudice. Un suo sguardo, un suo cenno gli fa capire se «un quadro fosse o non fosse venuto bene». Dipingere è per l'artista uno spogliarsi dei vestiti della cultura per aderire al ritmo e al soffio della natura. L'amore per Anna è il mezzo per amare la natura.

 

Io non so come facciano quei pittori che dipingono stando tutto il giorno racchiusi nello studio… La pittura è un pretesto per ragionare con la natura. Per cantare insieme alla natura. E quindi, primo dovere, primo piacere del pittore è di sortire, all‘alba, dal chiuso del suo studio. Andare incontro al sole… Ma meglio si ama ogni cosa, dalla tenera erba alle celesti montagne, quando si è in compagnia di Anna Stickler. (87)

 

È Anna (olio su cartone, 1936). Coll. Caon, Latina

 L. Bartolini, olio su tela, Coll. Caon, Latina

 

Eppure la contemplazione naturale non è sempre idillica e spesso si trasforma in fosco specchio di angosciosi trasalimenti e premonizioni, pervasi di un senso di imminente tragedia. E nascono le pagine migliori di Bartolini, quelle in cui la scrittura nervosa e irruente si può abbandonare sensisticamente senza danneggiare l'ordito del racconto. Nella tempesta notturna, sotto la quale egli si muove per cercare Anna (sempre in fuga da casa), raccoglierla e portarla al sicuro, si rivela l'immagine di una natura di terrore che si abbatte sulle sue fragili creature.

 

L'uragano fischia, ulula, imperversa. Le violenti acque scorrenti divelgono alcune grondaie; il vento, pei tetti, le trascina, le abbatte. I piccioni sloggiano dai loro nidi. Il vento infuriando di più, un piccolo piccione, investito per le ali, diagonaleggia per l'aria e cade picchiando col petto sul selciato. Io lo raccolgo e dico che lo regalerò ad Anna. Se però riuscirò a ritrovarla. (32-33)

 

Cupa e maestosa è poi la descrizione del burrone «Ghilf», la roboante cascata del Passirio nella quale Anna minaccia talvolta di gettarsi, proprio come profondo e inquieto è il loro sostare, abbracciati, sull'orlo del baratro, congetturando «intorno al suo avvenire, guardando il cielo e l'abisso».

L'osservazione naturalistica si fa poi crudele esperimento nei capitoli dedicati alla caccia. Nel capitolo della Storia del martin pescatore l'incontenibile rimorso per la stupida, gratuita uccisione dello splendido uccello dà l'abbrivio a un'inquietante rappresentazione della linea di confine tra vita e morte, tra bellezza e caricatura, tra presente e passato.

 

Intanto ritrovammo il Martin pescatore. Era ancora caldo. E non era morto bene. Una zampina gli tremava. L'altra, la mitraglia l'aveva sgretolata. Ma il suo piumaggio era ancora fresco: come bocciolo non divelto dal verziere: era ancora lucido e fresco e terso come seta tessuta; aveva iridescenze da pietra preziosa turchina. Subito considerai la vanità d'averlo ucciso (…) Intesi quanto di strana caricatura significhi ogni morte: le ali si erano sgaruffate; delle penne e delle piume, alcune erano diventate irte. Le lisciai con il palmo della mano ed esse si afflosciarono, si strinsero come un ombrello che si richiuda. Le penne si avvolsero sul corpicciolo intirizzito, mentre io le lisciavo. Intesi, al tatto, lo scheletrino dell'animale. La cervice aveva piume e pelle dilacerate. Il becco sembrava troppo lungo: simile a quello della lugubre cornacchia. Come quello della cornacchia, o come l'altro del picchio canzonatore, appariva caricaturale. (139-140)

 

Storia del Martin Pescatore (Acquaforte, 1935)

Coll. Luciana Bartolini

 L. Bartolini, 1935, Coll. Luciana Bartolini

 

La natura alpina e cacciatrice di Anna emana per il poeta un fascino primitivo, arcaico, che lo spinge a misurarsi, vincendo goffaggine e imperizia, con la caccia al fagiano. Di quest'ultimo Anna vuole le penne di cui ornarsi e girar fiera per la città. Il sentimento della conquista insperata è mirabilmente descritto in un palpitante crescendo.

La prima umiliazione che subisco è un'occhiataccia del cane. La seconda è quella di Anna (…) Ma la Anna – la Anna della Malga dei cacciatori, più bravi di me – ecco che di sua testa afferra un sasso, lo lancia dove le sembra che il fagiano stia nascosto. Lo capisco, non si tratta di una classica cacciata, ma i cacciatori me lo perdonino. Ecco il nuovo volo! Ecco il fagiano! Ecco il volo d'oro! Ecco il fagiano rosso come un sole, un sole sbocciato in mezzo all'ultimo canneto. Impareggiabile bersaglio risplende sopra il campo raso. Lascio che il suo volo fili in direzione. La Anna si scosta. Si tura gli orecchi. Per fortuna, il fagiano cade. (83)

 

 «GENTE DELLA CITTÀ»

 

La solita gente delle città che vengono qualificate, dal bel mondo, quali luoghi di soggiorno e di cura. Invece di curarsi, la gente, spesso, vi si ammala; perché, lì, mangia di più, stravizia di più, si gioca di azzardo a rotta di collo […] Li si vede lenti e goffi trascinare il peso del loro corpo, faticosamente comici, umoristici senza volerlo, come le tartarughe. Girano, come le tartarughe, lento e rugoso il collo, di qua e di là; muovono il torbido sguardo, lo gettano sopra le belle cose, i bei fiori e le magnifiche passeggiate della città… Allora la Passeggiata appare come un immenso quadro vivo di Peter Brughel; con i suoi, in fondo soliti, storpi ciechi e paralitici. (119)

 

Ai «cittadini» sono rivolti gli strali più feroci. Sono essi, infatti, a disturbare l'idillio. Sui forestieri, cioè i numerosi turisti che affollano il Kurort internazionale, l'ironia di Bartolini si trasforma in acre sarcasmo: superficiali, vuoti, frivoli gaudenti oppure viziati tabetici che, paragonati agli storni che migrano di stagione in stagione alla ricerca del sole, sono ritratti con feroci effetti caricaturali. Tutto della città appare artificioso. All’ironia non sfuggono i cliché del "bel mondo" meranese: i concerti sul Passirio («le lungaggini ultraterrene di Bach»), le dame dell‘alta società («lardellose, pallide signore che non vengono osservate neppure dai cani randagi»), gli chalets della passeggiata Tappeiner («vi si sciala bevendo birra, mangiando carote e salame»), dove le coppie di amanti si disturbano a vicenda cercando un angolo appartato, i fiori finti che, trapiantati dalle serre, appaiono d'improvviso nelle aiuole che erano brulle e spoglie.

 

Passeggiate di Merano lungo il Passirio

 Passeggiate Merano

 

L'ironia dell'artista è incontenibile nei confronti della cara città («molto cara in tutti i sensi, giacché ogni cosa viene da fuori e costa moltissimo»), dal clima mite e temperato, tranne otto mesi almeno dell’anno, in cui soffrono coloro che «già avevano tendenza ai dolori reumatici». Vi è umidità in inverno e anche d’estate e vi si deve porre rimedio chiudendosi al caldo delle stufe di maiolica o risalendo le cime; «vi si sta bene, però, tanto in inverno che in estate, asserragliati dentro una modesta camera o studiolo, a dormire con la Anna, fino alle undici o fino a mezzogiorno».

Quando poi nella rappresentazione compaiono meranesi residenti, il tono si fa livido: un contesto di ipocrisia, calcolo, grettezza che conferma, nel sentimento dell’autore, l’inconciliabilità della dimensione straordinaria del suo amore con Anna, con quella della mediocrità "cittadina". Gli sguardi meschini, i pettegolezzi cattivi, le maldicenze da cui cominciano ad essere circondati, segnano l’inizio della fine.

 

So bene che la gente di Merano incominciò ad osservarci. E quando si è osservati le cose non finiscono mai bene. Perché, ripeto, il mondo non guarda per amore. Guarda per invidia, per astio, per risentimento, ira di non poter far l’eguale… Sembrò, in un certo momento, che non esistessimo che noi, nelle conversazioni della città, a dare sull’occhio a indigeni e forestieri. (126)

 

 

ADDIO A MERANO

 

Il capitolo che conclude il romanzo, in cui Bartolini riporta a posteriori le frammentarie notizie faticosamente avute su Anna – la quale, nel contesto storico delle "opzioni", si trasferirà nel Reich, si sposerà con un falegname e andrà a vivere a Vienna - è il meno riuscito, nel suo tentativo di ricomporre in extremis una morale terrena alla vicenda biografica del loro amore. («Era riuscita a salvarsi attraverso la casa di correzione. Era molto intelligente. Intuiva che, chi è segnato, difficilmente scampa alla sua sorte»).

La vera conclusione poetica del romanzo è da ricercarsi invece nei capitoli precedenti (Io senza la Anna e Addio a Merano), pervasi dalla fiera malinconia determinata dal brusco allontanamento di Anna. Un primo tentativo da parte del padre di mandare la ragazza in una casa di correzione per minorenni, sulla spinta di parenti e conoscenti e forse dell’autorità pubblica, provoca una sua ennesima, lunga fuga, che la vede vagabondare per mesi in Val Venosta e dormire nei fienili, lavorando di tanto in tanto presso mercanti e giostrai. L’impossibilità concreta di darle aiuto, di realizzare i sogni a lungo accarezzati di un comune trasferimento altrove, determinano un sentimento di sconforto e di abbandono rappresentato con tenera commozione. Dopo un ultimo, tenero incontro clandestino, Anna decide di seguire il suo destino («come un albero la cui sorte era già segnata da un taglio di scure, nel bosco») e di consegnarsi ai familiari. Le due vite si separeranno per sempre. I familiari e i conoscenti innalzano un muro invalicabile di fronte ai ripetuti tentativi del protagonista di mettersi in contatto con lei.

Merano senza Anna spegne i suoi colori e la frequenza degli stessi luoghi che accendevano la fantasia gioiosa sono ora solo una triste caricatura di se stessi. Nel romanzo l'artista decide di partire (nella cronaca biografica è scaduto il termine del confino).

 

Partire era la miglior cosa, da un luogo dove io non vedevo che Anna. Ché, senza di lei ogni cosa cadeva come in un teatro al termine della rappresentazione. L’acqua del Passirio, l’acqua che di gennaio si disgela e corre sotto il ghiaccio, il picchio che archeggia sopra il fiume, il contadino che pota il melo, ed altre cose belle, come mi erano sembrate in compagnia di Anna, ora le vedevo come fossero lo scheletro di se stesse. Sprovviste d’amore non mi piacevano più. Ed anzi mi accorgevo che venivo guastando, in me, quanto avevo edificato passando per le rive, pei boschi, per gli antri insieme ad Anna Stickler. (174)

 

E ancor prima del romanzo saranno le Poesie ad Anna (1941) ad esprimere la malinconia di questo addio, nella lenta e pensosa cadenza dei versi lunghi di Bartolini, che testimoniano sotto il profilo letterario la conquista di nuova maturità espressiva e la compiuta elaborazione della figura di Anna in mito poetico.

 

Pace per poco; e solo in occhi di ragazze,

né in quelle che sono al mondo accostumate;

pace, per poco; e solo in occhi di ragazze.

La Anna Stickler, la sua Malga, i suoi fiumi!

La Anna Stickler, il suo Adige, il suo Passirio!

La Anna Stickler: Ecco ciò che di solo bene io conobbi!

(A tutto il resto del mondo io appartenni sì e no.

Dicevano troppe cose perché io credessi ad alcuna).

Pace, per poco; e solo in occhi di ragazze.

Poi, lentamente lentamente, camminando per il Passirio,

io, lentamente, solo, per il Passirio; poi, per i boschi,

io lentamente lentamente; poi, fermandomi,

delle trote che transitavano lungo le prode del Passirio

vedevo le code scansare gli steli delle erbe palustri.

Ma, o ragazzo, la vita scortica, disossa, intontisce;

né sono già a tanto; ma, sotto campana di vetro,

lontano da tutti, il poeta con l'Anna, Anna con il poeta

deh, sotto campana di vetro con l'Anna rinchiudetemi!

  (Da Pace per poco; e solo in occhi di ragazze)

 

Bartolini con Anna, 1936 (archivio Luciana Bartolini). Coll. Luciana Bartolini

 Coll. Luciana Bartolini

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Principali raccolte liriche: I parenti, s.d. né l. 1915; Il guanciale, Torino 1924; La vita dei morti, Foligno 1931; Poesie (1928-1938), Roma 1939; Poesie ad Anna Stickler, Venezia 1941; Scritti d’eccezione, Pisa 1942; Liriche e polemiche, Pisa 1948; Pianete, Firenze 1953; Poesie per Anita e Luciana, Milano 1953; Ombre fra le metope, Milano 1953; Poesie 1954, Firenze 1954; Al Padre e altri poemetti, Milano 1958; Il Mazzetto, Milano 1959; Poesie 1960, Ancona 1960; 13 Canzonette, Milano 1961; L’eremo dei frati bianchi, Ancona 1963; Testamento per Luciana, Ancona 1963; Poesie 1911-1963, Padova 1964.

 

Opere narrative (escludendo quelle pubblicate in riviste): Passeggiata con la ragazza, Firenze 1930 (ristampa ampliata: Milano 1961); Il ritorno sul Carso, Milano 1930; Le carte parlanti, Torino 1931; Il molino della carne, Milano 1931; L'orso ed altri amorosi capitoli, Firenze 1933; Follonica ed altri 14 capitoli ad umore amoroso, Genova 1940; Il cane scontento ed altri racconti, Roma 1942; Vita di Anna di Stickler, Roma 1943; Ladri di biciclette, Roma 1946 (seguito dalle nuove edizioni: Milano 1948, Firenze 1954); Amata dopo, Pisa 1949; Il mezzano Alipio, Firenze 1954; Signora malata di cuore, Firenze 1954; La caccia al fagiano, Firenze 1954; Antinoo e l’efebo dal naso a becco di civetta, Bologna 1955; Tre prose d’arte, Venezia 1957; La pettegola e altri racconti, Bologna 1959; Le acque del Basento, Milano 1960; L’antro di capelvenere, Urbino 1962; Racconti scabrosi, Milano 1963; Storia del martin pescatore, Milano 1966.

 

Notevole la produzione di opere saggistiche e polemiche: Ritratto di Chiacchiarelli, Osimo 1930 (sul poeta Vincenzo Cardarelli); Pittori che scrivono, Osimo 1930; Estod todos caballeros, Osimo 1931; Modì, Venezia 1938 (su Modigliani, poi Milano 1959); Meccanico gigante, Venezia 1939; Polemiche, Milano 1940; Manzù, Rovereto 1944; Perché do ombra, Roma 1945; Scritti sequestrati, Roma 1945; Credo d’Artista, Roma 1945; Della decadenza della libertà di stampa, Roma 1946; La Repubblica italiana, Milano 1946; Il fallimento della pittura, Ascoli Piceno 1948; Van Gogh: l’uomo, Milano 1953; Contropelo alla vostra barba, Milano 1953; Il Polemico, Firenze 1959; Cardarelli e altri amici, Pisa 1959.

 

Le opere letterarie che contengono i principali riferimenti al suo soggiorno meranese sono le Poesie ad Anna Stichler, Edizione del Cavallino, Venezia 1941, con sette acqueforti; Vita di Anna Stickler, Tumminelli editore, Roma 1943, con 20 acqueforti e 2 disegni (riedita nel 2002 da Avagliano Editore); Signora malata di cuore, Vallecchi, Firenze 1954 (in particolare le pp. 142-7).

 

Sull’opera letteraria di Bartolini si vedano le schede critiche di Massimo Grillandi in Letteratura Italiana/900, Marzorati, 1988, vol.V, pp. 586-609, che contiene un‘ampia bibliografia critica e di Donato Valli, in Letteratura Italiana Contemporanea, a cura di G. Mariani e M. Petrucciani, Lucarini ed., vol. II, pp. 289-296; L. Troisio, Luigi Bartolini, l’amoroso detective. La vita, i libri, gli amori, Ancona 1979. Interessanti osservazioni sulle disavventure di Bartolini sotto il fascismo sono quelle di Lionello Venturi, Luigi Bartolini, in «Mercurio», II/13 (sett. 1945), pp.109-125.

 

Sul soggiorno meranese cfr.: Josef Maurer, Un originalissimo artista innamorato dell’Alto Adige, in «Alto Adige», 19 apr. 1953; Idem, Le acqueforti meranesi di Luigi Bartolini in «Adige Panorama», n. 28, giu. 1977; il numero a lui dedicato di «Regioni Panorama», n. 17 (giu. 1989), che contiene contributi di Cesare Guglielmo, Josef Maurer, Silvano Demarchi, Pierluigi Siena, Egisto Bragaglia; Carlo Romeo, Il Passirio, la natura e la voce di Anna. Il soggiorno meranese di Luigi Bartolini (1933-1938), in E. Kontschieder, J. Lanz, Merano e gli artisti, Bolzano 2001.

 

[Postea] Da visitare assolutamente l’accurato sito www.luigibartolini.com (Luigi Bartolini: la poesia dell’incisione) a cura di Dario Palma in collaborazione con Luciana Bartolini, figlia dell’artista. 

 

Il pittore con Anna Stickler, 1936 (olio su tavola)

 Coll. priv. Latina