Biblioteca Civica Bolzano

 

 

Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl: Romeo, Carlo, “Ecco la vita reale di un popolo numerato”. In «Alto Adige», 22.01.2018, p. 6.

 

 

Nomi e volti di un “popolo numerato”

Internati trentini nel Lager di Bolzano

 

di Carlo Romeo

 

Attivo ormai da quasi un trentennio (1989), il Laboratorio di Storia di Rovereto rappresenta un raro esempio di struttura di ricerca “aperta”, capace di alimentare sinergie tra cittadini, studiosi e istituzioni. Questo “cuore pensante” della comunità trentina è animato da una ventina di ricercatori volontari che, sotto la guida di storici di lunga “militanza” come Diego Leoni, hanno scavato con passione nella storia della loro terra. Attraverso memorie, documenti, immagini, hanno riportato alla luce i frammenti del Novecento trentino, sapendoli comporre e soprattutto divulgare. Se si volesse riassumere con un solo verbo le finalità profonde di questo lavoro, esso è senz’altro “restituire”: alla comunità, alla memoria collettiva, al presente.

L'ultimo volume, “Il popolo numerato”, sarà presentato a Bolzano martedì 23 gennaio presso la Biblioteca Civica (Via Museo 47, ore 18) dal coordinatore Giovanni Tomazzoni. L’opera completa la trilogia sulla seconda guerra mondiale, apertasi con “Il diradarsi dell'oscurità” (2009) e continuata con “Almeno i nomi” (2013), sui deportati civili trentini nel Terzo Reich. E questa volta riguarda da vicino Bolzano e i bolzanini. Si tratta, infatti, della puntuale ricostruzione dei 160 percorsi biografici di quei trentini, uomini e donne, che furono internati nel Durchgangslager di Bolzano e nei campi satellite sparsi in tutta la provincia.

Non è stato un lavoro facile, scrive Diego Leoni nella premessa, sottolineando le rimozioni e i ritardi con cui nel dopoguerra la ricerca ha cominciato ad occuparsi del Lager di Bolzano. È il destino contraddittorio di una “città nella città”, i cui cancelli si aprono nell'estate 1944 a prigionieri di vario tipo (partigiani, renitenti, ostaggi, tra cui molte famiglie sudtirolesi, internati per motivi razziali etc.) e al contempo si chiudono al mondo. Un fortilizio che da un lato viene separato rigidamente dalla città, dall'altro viene integrato dalla rete di assistenza esterna e dalla solidarietà del vicino quartiere operaio. Un luogo per il quale la fine della guerra non rappresenta una vera discontinuità per ciò che riguarda la sua frequentazione: prima campo di raccolta per prigionieri e profughi, poi per famiglie di senzatetto, che per necessità vi entrano, lo abitano, lo adattano. Le sue strutture ospitano in quegli anni persino colonie di bambini, la filodrammatica della Lancia, un cinematografo, un orfanatrofio, una carrozzeria. Un luogo sempre più assediato dall’espansione urbana che preme intorno, fino alla sua definitiva distruzione negli anni Sessanta, per far posto a edifici residenziali.

Se si eccettuano singoli lavori (tra cui l'Happacher del 1975), è solo con gli anni Novanta che le istituzioni (Comune, ANPI, ANED etc.) riescono a intensificare l’opera di sensibilizzazione pubblica che nel 2004, sotto il sindaco Giovanni Salghetti, porterà all’inaugurazione del “percorso della Memoria” lungo quell’unico muro originario rimasto. E nel frattempo arrivano nuove ricerche, come quelle di Carla Giacomozzi, dell’ANPI fino a quella di Dario Venegoni con i nomi e le indicazioni sugli 8.000 internati.

 

Si aggiunge ora questo importante tassello offerto del Laboratorio di Rovereto, che coinvolge direttamente la nostra città. Tra gli internati d’origine trentina, infatti, non sono pochi i “bolzanini d’adozione” come  ̶  solo per citare alcuni dei protagonisti del Comitato di Liberazione Nazionale altoatesino  ̶  don Daniele Longhi, Senio Visentin ed Enrico Pedrotti. A quest’ultimo, tra l’altro, dobbiamo la serie di scatti fotografici che hanno fondato la componente iconica della memoria del Lager.