Da: “Alto Adige. Corriere delle Alpi”, 18 gennaio 2013

 

È MORTO IL PROFESSOR CLAUDIO NOLET, EX ASSESSORE COMUNALE

Figura storica di riferimento del Partito socialista altoatesino, intellettuale ed ex preside, è stato assessore alla cultura per undici anni

 

BOLZANO. In lutto il mondo della cultura e della politica a Bolzano: è morto il professor Claudio Nolet, bolzanino, figura storica di riferimento del Partito socialista italiano, ex assessore comunale alla cultura, intellettuale e per molti anni preside del Liceo Classico “Carducci”. Triestino di nascita, europeo per cultura e formazione, ha lasciato un segno profondo sia come uomo di scuola, che come intellettuale legato alla passione dell'impegno. Nolet è stato, assieme ad altre figure intellettuali, anima e motore della rivista "Il Cristallo", che negli ultimi anni ha improntato sempre più come una propria creatura.

Nolet è stato Consigliere e Assessore Comunale a Bolzano per moltissimi anni, dal 1969 al 1995. Appresa la notizia della sua improvvisa scomparsa, il sindaco di Bolzano Luigi Spagnolli intende "ricordare e ringraziare il professor Nolet, sia per l'impegno come insegnante e come preside in particolare del liceo Classico Carducci e non solo, che per il suo ruolo di  Assessore comunale alla Cultura che ha legato il suo mandato in particolare alla realizzazione del nuovo Teatro Comunale. Anche grazie a lui, la Città di Bolzano ha il suo teatro civico".

Il sindaco esprime il proprio profondo cordoglio e la vicinanza alla famiglia. Nolet è stato Consigliere comunale a Bolzano tra il 1969 ed il 1984 e poi assessore alla Cultura della Città capoluogo dal 1984 al 1995.

Anche l''assessore provinciale alla cultura italiana, Christian Tommasini, ricorda la figura di Claudio Nolet, venuto a mancare: "Ha saputo coniugare attività culturale, impegno politico e capacità critica, assumendosi anche in prima persona compiti istituzionali. Legato al pensiero socialista della migliore tradizione riformista e libertaria, Nolet, con la attività culturale e d'opinione, instancabile fino all'ultimo, ha saputo creato un collegamento ideale fra la parte nobile e progressista della storia del ceto intellettuale del gruppo linguistico italiano ed il pensiero mitteleuropeo che faceva parte della sua stessa identità".

Di Nolet - scrive Tommasini - "ricordiamo anche il multiforme ingegno anche di promozione culturale; grazie alla sua passione per la filosofia, in passato Nolet ha saputo portare nel capoluogo figure anche importanti del pensiero analitico. Il nostro territorio ha visto fiorire in passato molte figure intellettuali nella comunità di lingua italiana, che pur provenendo da mondi molto diversi - pensiamo al da poco scomparso Giuseppe Negri, a Luigi Serravalli, a Piero Siena, ad Andrea Mascagni, a don Alfredo Canal - hanno saputo parlarsi, dialogare, anche litigare, ma portando tutte il loro contributo alla crescita della comunità locale".

"Quello di Nolet - conclude Tommasini - è stato un pensiero laico, progressista, critico, anche spigoloso, ma un "sale" che ha arricchito tale comunità, e per questo ci mancherà molto".

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Da: “Alto Adige. Corriere delle Alpi”, 19 febbraio 2013

 

MORTO NOLET, IL PRESIDE DEL «CARDUCCI»

È stato assessore comunale dal 1984 al 1995. Sua la battaglia che portò alla realizzazione del Teatro

 

di Paolo Campostrini

 

BOLZANO. «Arrivederci, allora». Nolet non riusciva proprio a dire ciao. «A presto, professore». I suoi capelli bianchi nell'aria fredda, fuori da Cristo Re. Un po' più curvo del solito perché anche Negri se ne era appena andato e lui era rimasto in silenzio per tutta la messa funebre ed era solo riuscito a dire: «se ne stanno andando tutti».

Tutti chi? Tutti quelli che ci hanno fatto come siamo, ecco chi.

Giuseppe Negri, Beppino Sfondrini, Alcide Berloffa, Giorgio Pasquali, Piero Siena, adesso Claudio Nolet. Se ci si mette a pensarci, dietro a ognuno di loro c'è qualcosa che prima non c'era e adesso c'è. E dietro a Nolet, un'idea di Bolzano più libera di quella che aveva trovato e in cui tutti vivevano.

Ma c'è di più. Erano in tanti. Come se avessero risposto ad un richiamo, un'intera generazione appassionata si era messa al lavoro qui. E c'era una rete di creatività e volontà misteriose che li legava, quasi che Bolzano avesse trovato d'improvviso il senso di una comunità in cammino. Tutti così diversi ma dentro una tensione che, scomparsi loro, sembra scomparsa con loro. O è solo nostalgia di una frontiera?

Claudio Nolet, ad esempio sapeva di essere su una frontiera, ma una volta ha detto: «Bisogna andarci piano tra italiani e tedeschi, abbiamo tutti i nostri tic. Ma non così piano da stare fermi». Ecco il punto. Nolet era un autonomista della primissima ora, lui socialista, ben prima dei comunisti, ma pensava che le cose andavano fatte e se, per farle, occorreva litigare con la Svp bene, si litigava. A suo modo, naturalmente. Il suo modo di litigare era fare le cose in cui credeva senza tanto tirarla per le lunghe. Col nuovo teatro è andata così. Bella o brutta, Bolzano adesso ha una casa della cultura. Bello o brutto, quando Nolet aveva detto di volerlo fare, la Svp che non era quella di oggi e si era messa di traverso. Come un muro. I consiglieri della circoscrizione centro avevano fatto una petizione: «Coi soldi del teatro facciamo case popolari».

Non c'era ancora la Provincia delle grandi opere e tutto quello che veniva da Bolzano, e dal Comune, era da mettere in sordina. Quando Marcello Ferrari inaugurò il cantiere non c'era un assessore Svp. Ma nel settembre del 1999, dopo 54 anni, Bolzano avrebbe avuto il suo teatro. Ma non si trattava solo della Svp. «Ha chiamato Zanuso, l'architetto dei suoi amici socialisti milanesi» dicevano destre, sinistre e qualcuno al centro dando addosso a Nolet. In realtà Zanuso costruiva teatri, era uno specialista. Adesso le sue opere sono al Moma e alla Triennale.

Nolet aveva un'idea di Bolzano molto libera. Stava male quando doveva mettersi a discutere con Benedikter e la sua cerchia di protezionisti urbani. «Hanno chiuso piazza Gries, non mi fanno neanche discutere di allargare i quartieri. Pensano ancora che Bolzano interessi solo agli italiani». Si sentiva soffocare. Oggi tanto è cambiato. Ma lui lo aveva fatto prima. Tutti hanno imparato a rispettarsi di più e, qualche volta, a remare insieme. Nolet invece navigava controcorrente.

E poi non riusciva a lasciare le questioni a metà. Dirigeva il «Cristallo», la rivista fondata da Giuseppe Negri ma negli ultimi tempi era sempre più stanco. Andava alle riunioni di redazione camminando piano e non riusciva a stare per troppo tempo a discutere. Ricorda Giorgio Delle Donne: «L'ultima volta ci ha parlato, a me e a Massimo Bertoldi, che riguardavamo le bozze. Sapete perché sono ancora qui? Perché ho un debito di riconoscenza verso Giuseppe». Quella fu una delle poche occasioni in cui si lasciò andare: «Vorrei finire, prima o poi. E mettermi a rileggere i miei libri di filosofia. Perché? Ho una curiosità: vedere se riusciranno mai a darmi le stesse emozioni di quando li avevo letti la prima volta, tanti anni fa».

Nolet era del '28. Negri del '20. Nolet era arrivato in Alto Adige a sette anni. Il papà era un funzionario del Banco di Roma e lo avevano trasferito a Merano perché, da triestino, conosceva il tedesco. Così, nel 1935 Claudio inizia il suo lungo apprendistato nella «Provincia difficile» (è questo il titolo del suo primo libro con gli editoriali della sua rivista) e inizia a capire che le questioni sono molto complicate. Lascia Merano tra il '43 e il '44 perché in famiglia temono di essere assoldati nella Sod dai nazisti o di finire in qualche campo di lavoro.

Dopo la guerra studia filosofia. La studierà sempre. E da sempre è socialista. Lui e Sfondrini sono in quegli anni i giovani leoni del partito. Sfondrini mena le mani (metaforicamente), Nolet è più riflessivo ma è tagliente come una lama. La sua carriera politica e quella scolastica marciano quasi di pari passo. Diventa docente di filosofia al Classico «Carducci» dove poi sarà uno dei presidi storici. E la politica lo porta a sedere in consiglio comunale dal 1969 al 1984. Le giunte di centrosinistra lo vedono assessore alla cultura dal 1984 al '95. Lascerà un segno indelebile. E non solo per la costruzione, in Piazza Verdi, del nuovo teatro comunale. La sua è una visione «culturale» della politica tout court. Tutte le associazioni, gli intellettuali, trovano in lui una sponda critica ma sempre presente. Una spalla. Una garanzia di serietà. Ma non sono anni semplici anche se le relazioni tra i gruppi hanno subito già un deciso miglioramento rispetto ai decenni precedenti. Nolet sa che la cultura è una chiave d'accesso senza pari, un possibile codice capace di accomunare campi avversi. E, soprattutto, che attraverso la cultura (e la storia) Bolzano potrà diventare un posto migliore.

E' uno dei fondatori del «Cristallo». La rivista diventa un luogo di discussione e di confronto aperto e disinibito in anni in cui la parola scritta veniva spesso usata per far transitare le opposte paure. Si dice pane al pane e vino al vino sul «Cristallo». Autonomia e democrazia sono le stelle polari ma non si risparmiano critiche al governo provinciale e a una visione dell'autogoverno capace, allora, di penalizzare Bolzano ben più di quanto non faccia oggi. E Nolet non le manda a dire.

La cultura è il suo grimaldello e non bada ai metodi. Il Lager ad esempio. Adesso ci vanno le scuole in gita. Allora era un argomento tabù. Conservato soltanto nella memoria dei sopravvissuti. Nel 1995, pochi mesi prima di lasciare la poltrona di assessore e, in parte, la politica attiva, decide l'ultima zampata. Porta l'argomento Lager, la sua valorizzazione come «monumento storico» in consiglio, ma sa che la Svp lo avrebbe cassato. «Ho pensato allora di farlo arrivare in giunta come «fuori sacco», una memoria a sorpresa» ricorderà poi. Il Lager viene sdoganato, torna a essere parte della nostra storia complicata. Col Lager, discutendo del Lager e delle sue implicazioni, dei coni d'ombra che lo hanno avvolto e del coraggio usato per rimuoverli, Bolzano cambierà. Oggi Ladinser e Spagnolli vanno insieme al muro. Se succede, è grazie a chi ha indicato per primo la strada. Se succede è grazie a Nolet.

 

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Da: “Alto Adige. Corriere delle Alpi”, 20 gennaio 2013

 

RICORDANDO IL 1977: GRAZIE PRESIDE NOLET, ORA LA CAPISCO

Quella occupazione del «suo» liceo fu un atto forte: avrebbe potuto chiamare la polizia ma ci lasciò lì senza ritorsioni Ora, gli chiedo scusa.

 

di Angelo Agostini

 

Ci sono debiti che sai di dovere saldare e viene il momento in cui farlo; magari troppo tardi, perché il tuo creditore possa averne la soddisfazione dovuta. Io (e non solo io) ne ho uno con Claudio Nolet, preside per tanti anni del Liceo classico Carducci, a Bolzano. Molti con me hanno inflitto una pena trentasei anni fa al preside Nolet.

Gli abbiamo occupato il liceo. Era il 1977. Avevamo mille ragioni per farlo. Eravamo giovani, sicuramente estremisti, naturalmente imprudenti. Per tre giorni, tra il 10 e il 12 marzo del 1977, ci siamo impadroniti del Liceo che lui presiedeva, spossessandolo. Gli abbiamo tolto l’autorità che la legge e le norme gli avevano conferito. L’altra sera il sindaco di Bolzano m’ha avvertito della scomparsa di Nolet. Gigi Spagnolli era mio compagno di classe allora. C’era anche lui, come molti altri, all’occupazione, sebbene su posizioni critiche. C’era perché allora, quasi quarant’anni fa, non si poteva non esserci. Oggi mi dicono che le occupazioni siano diventate un rituale. Non lo so, non mi pronuncio. Allora, a diciotto, diciassette, vent’anni, avevamo ancora l’idea di potere prendere in mano il nostro destino.

Non avevamo considerato, però, un non piccolo, non trascurabile dettaglio. Claudio Nolet e con lui una legione di persone, Giuseppe Negri, Italo Mauro, Giorgio Lazzerini, mio padre: Piero Agostini, Alcide Berloffa e tanti, tanti altri avevano costruito una storia. Avevano tessuto un filo che teneva assieme due elementi essenziali per l’Alto Adige, per il Sudtirolo. Erano riusciti a legare il meglio che la Resistenza aveva dato alle aspirazioni del Paese con la migliore intelligenza di quanto la cultura europea potesse dare alla convivenza in una Provincia che non la voleva. Allora, nel 1977, Alex Langer, era ancora di là da tornare in Alto Adige. Ma loro, Claudio Nolet e i suoi compagni, già c’erano. E quelle cose dicevano, praticavano, insegnavano da tempo. Non altre.

A me è capitato di capirlo in ritardo. Mi spiace. Oggi mi rammarico di non avere avuto l’occasione di chiedergli scusa. Avrebbe potuto farci cacciare in due ore dalle forze dell’ordine. Non l’ha fatto. Aveva capito, tra i tanti suoi dubbi e le incertezze che posso solo intuire, quanto fosse necessario che accadesse quel che è accaduto. La metà, forse più, delle famiglie che avevano figli al Liceo Carducci erano (comprensibilmente) inferocite con noi. Lui no, era soltanto preoccupato. Ci ha lasciato fare le nostre cose e non ha provato la minima ritorsione. Oltre a chiedergli scusa, avrei anche dovuto dirgli: grazie. Le sia lieve la terra, professore.