Autore: Eugen Galasso

Rif. bibl.: Galasso, Eugen, Microstorie from my life: souvenirs d’un rêveur pas sud-tyrolien, Edizioni Cedocs, Bolzano 2012. pp. 8-11

 

Galasso 2012

 

Tratto dalla pubblicazione autobiografica di Eugen Galasso, un brano relativo al periodo liceale al “Carducci” (seconda metà degli anni Sessanta)

 

 

Da: Microstorie from my life

di Eugen Galasso

 

 

[…] Iscrizione al liceo classico, obbligatoria, essendo figlio di due "classici". Quando, alle fine della terza media, avevo pensato allo scientifico e ventilato timidamente l’idea, ero stato dissuaso con un "Ma come, una scuola senza greco?". Qualche discussione tra papà italiano e mamma tedescofona sulla scelta della lingua nella quale svolgere gli studi, opzione per il "Carducci", in quegli anni spauracchio per tante persone.

Ma prima, in realtà, qualcosa c'era stato, sul "piano etnico" (che brutto, che orrore, in realtà, che sciocca inutilità, che perdita di tempo, ma... anche nella querelle tra Fiamminghi e Valloni - cfr. anche l'opera omnia di Jacques Brel cui, molto tempo dopo dei fatti ora narrati, avrei dedicato una mia tesi - teoria e tecnica della comunicazione di massa - e poi un libro ricavatone): negli anni tra quinta elementare ("alimentare" dicevamo tutti, per scherzo) e la seconda media, insomma prima della pubertà, se vogliamo, avevo dei "feux follets" (fuochi fatui, di paglia) in cui mi sentivo (e "dichiaravo") di volta in volta, "italiano" e/o "austriaco", mai altoatesino/sudtirolese, peraltro.

Fuochi di paglia destinati a durare poco, a non incidere per nulla, diremmo, ma lo diremmo, comunque, ex post...

Anni tristi, comunque, di noia, quelli delle scuole medie inferiori: cose scontate, i primi lavori di gruppo, noiosissimi, con me e un altro che "tiravamo" tutto il gruppo (io, che non ho mai fatto sport, sono sempre stato esentato da educazione fisica, avevo avuto un breve innamoramento per il ciclismo, chissà perché, forse il movimento, l'illusione di muoversi nella "Grande Boucle", nel e con il Tour...). Nessuna festa, sempre a casato a studiare o a leggere, anche per motivi fisici .... Bloccato a casa, sempre.

Nessun divertimento o quasi, un po' di TV, certo, pur se il mio "spirito irriverente" c'era, quando mettevo in difficoltà mia zia (l'episodio è sintomatico, val bene qualche riga), venuta ad accudirmi, facendola ridere, contagiandola, per una funzione religiosa trasmessa in TV, dove l'officiante salmodiava sempre.

La cosa mi metteva di buon umore, anzi no, mi faceva ridere (in modo convulsivo, direbbe magari uno psichiatra) e la buona zia, che s'era ripromessa la serietà, cadeva anche lei nel contagio ridanciano...

Poi la pubertà, qualcosa di strano, di incomprensibile, come per ogni persona, ma forse peggio ... Svenimenti o quasi, roba da "damina del Settecento", come avrebbe detto parecchi anni dopo un mio aspirante-suocero, cogliendo comunque il "succo della cosa".

Liceo, poi, o meglio, prima i due anni di ginnasio, dove l'essere mistilingue, bravura nelle altre materie a parte (sempre stato un"secchione"), si sarebbe rivelato un "Trumpf", un jolly: chiaramente la materia in cui, studiando meno, ottenevo, però, ottimi risultati: mio tema sul "Dottor Zhivago", ricordo...

Poi, ai liceo propriamente detto, il prof. Moggio, colui che entusiasmava.

Che ci facesse tradurre la "Medea" o ci spiegasse Cicerone, ci entusiasmava: senso teatrale ma soprattutto musicale eccelso (era provetto violinista). Famosi alcuni episodi: ci incitava a cantare il "Tityre, tu patulae, recubans sub tegmine fagi ..." (Prima Bucolica di Virgilio, incipit) ossia "Titiro, tu che, riposando all'ombra dell'ampio faggio..." ma una volta il rockettaro della classe l'aveva fatto, ovviamente, come un brano rock, dove il prof., amante di Bach e Mozart, non era stato precisamene entusiasta...

Ancora: chiamava (con la scusa dell’ "amnesia nominum", vera o presunta) tutti per soprannome: una ragazza dalla fronte alta era diventata tout court "Fronte", un ragazzo più "agé", già provetto automobilista "Bugatti" e così via...

"Il Prof. che cantava Omero e fischiettava Orazio" scrisse anni dopo Amanda Knering, e rimane definizione azzeccatissima e uno dei brani più belli, mi pare, del suo romanzo "I Gruber".

La sua "stranezza" inquietava mia mamma, altra ex-allieva, che riteneva fosse, grosso modo, "impazzito" (era spesso ospite a casa nostra). Invece il Moggio, avendo sperimentato guerra, prigionia, campo di lavoro, etc., delusioni di vario genere, aveva acquisito una concezione più alta della vita, ne sono certo, comunque la si voglia definire analiticamente.

Colui che oggi è un noto professionista veniva sistematicamente appellato: "Fesso!". Un giorno, Per dodici volte in due ore: "Vieni fuori, fesso!". A me, ragazzino all'epoca maoista (e chi non lo era? ... ma nella mia classe, però, nessuno): "Ed ecco la nuova religione di Mao... Galasso!".

Voce stentorea, enfasi al punto giusto, una cosa "incredibile". Né una definizione serve, peraltro. Un grandissimo, comparato con professorini micromani, imbelli imbonitori nozionistici...

Anni dopo, commemorandolo in consiglio comunale, l’amico e compagno di scuola Achille Ragazzoni avrebbe faticato a farne riconoscere il ruolo a livello ufficiale, incontrando l'ostacolo, forte, di alcuni esponenti "pantirolesi" della SVP...

Contraltare di Moggio era il prof. Lazzerini, di nascita livornese, eccelso docente di storia e filosofia, notevolissimo studioso di logica, la cui umanità era, però, "claudicante". Che qualcuno seguisse o meno gli era sovranamente indifferente, in buona sostanza, dato che era (strano per un comunista puro e duro...) sostanzialmente un "misantropo" (qualcuno dice "anaffettivo"). L’avrei visto seriamente coinvolto, però, anni dopo, dopo il crollo dell'URSS (dicembre 1991, per la cronaca) [...]

Moggio, che andava a pranzo nello stesso ristorante dei due Livornesi (anche la moglie, prof. di lettere alle - allora - "Magistrali", era sua concittadina) si divertiva a punzecchiarli rompendogli benevolmente le scatole, per es. leggendo a entrambi articoli ferocemente anticomunisti […]