L’ultimo libro di Nando dalla Chiesa (Una strage semplice) ricostruisce una storia, il Senso di una Storia e suscita nel lettore molti interrogativi sul presente (di Roberto Antolini).
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GLI ASSASSINII DI FALCONE E BORSELLINO
E LA "LINEA DELLE PALME" DA PALERMO A MILANO,
NELL'ULTIMO LIBRO DI NANDO DALLA CHIESA
di Roberto Antolini
Nando dalla Chiesa spiega nelle primissime righe quali sono le intenzioni di questo libro sugli omicidi di Falcone e Borsellino: operare «una ricostruzione diversa di quello che già si sa» (p.11). Perché «la strage di Capaci del 23 maggio del 1992 ha [...] una sua logica chiara e indiscutibile, purché di questa storia si sappiano cogliere e ordinare i fatti, talora i dettagli che contano» (p.12). Dal libro sembra trapelare quasi un certo fastidio per le narrazioni troppo giallistiche ̶ sempre alla ricerca sensazionalistica di nuovi misteri da svelare, nuovi cassetti da aprire ̶ degli avvenimenti della rivoluzione anti-mafiosa che si sviluppa attorno al maxiprocesso di Palermo del 1986, quando per la prima volta lo Stato – nella figura di un pool di giudici divenuti leggendari, ma mai ben digeriti dallo stesso – fece i conti con la mafia.
Dalla Chiesa cerca quindi semplicemente di ben inquadrare i fatti, facendone risultare il Senso generale per la storia nazionale, che – secondo lui – ha avuto a Palermo «la vera capitale politica del paese» (p.29). Questa storia comincia quando la mafia viene trasformata in una impresa finanziaria internazionale dai proventi del mercato della droga: «quasi d'improvviso Cosa Nostra si scoprì ricca, ricca come mai aveva immaginato di poter essere. Soldi senza misura, che la Sicilia non bastava ad assorbire» (p.31).
Comincia così un’espansione oltre i vecchi confini e l'intreccio con ambienti finanziari settentrionali insospettabili:
«Milano e Palermo non erano evidentemente così distanti. Nord e Sud si intrecciavano, talora si saldavano, in silenzio [...] Da Sud verso Nord, con le valigie di narcodollari che viaggiavano da Palermo alla volta di Milano. I dollari dell'eroina portati personalmente dal Gotha di Cosa Nostra arrivavano per chiedere consigli di buoni investimenti nello studio di Filippo Rapisarda, davanti all'Università Statale di Milano, in cui lavorava Marcello Dell'Utri. E trovavano felice sistemazione generando subitanee fortune e indimostrabili arricchimenti. Capitale finanziario e immobiliare, ma non solo» (p.134).
Dalla Chiesa ricorda la guerra di mafia che ne conseguì, generata dalla volontà di potenza dei rurali corleonesi, che lascia sul terreno non solo gli avversari mafiosi di città («tanto si ammazzano fra loro» si era sempre detto in Sicilia della mafia rurale) ma anche uomini delle forze dell'ordine – i Lenin Mancuso, i Cesare Terranova, i Rocco Chinnici e i molti altri fino al prefetto antimafia, il generale dalla Chiesa. E cadono anche uomini delle istituzioni, non solo di sinistra come Pio La Torre, responsabile di aver voluto il reato di «associazione mafiosa» che prima non c'era (le teste della sinistra isolana erano sempre cadute in abbondanza, con buona pace di tutti), ma anche democristiane come il presidente della Regione Piersanti Mattarella (e poi arriverà anche quella del plenipotenziario di Andreotti in Sicilia, Salvo Lima, che oggi sappiamo essere stato il massimo mediatore politico della mafia).
Giovanni Falcone è la risposta dello Stato che esiste, ma sente il fiato sul collo da parte di centri di potere che dentro lo Stato sono contigui alla mafia. Capisce che serve un salto nell'intelligence, con articolate inchieste patrimoniali da seguire anche all'estero e aprendo brecce dentro all'organizzazione mafiosa, che la guerra di mafia ha finalmente – per la prima volta – reso possibili. E il maxiprocesso, che per la prima volta manda i boss all'ergastolo (senza essere smontato dagli ulteriori gradi di giudizio), è la storica conferma che è venuto il momento in cui la mafia si può battere.
A quel punto, sull’eliminazione di Falcone e Borsellino, che non sono simboli ma i concreti artefici di questi risultati, si allunga l'ombra non solo di oscure trame mafiose, ma anche di trasparenti convergenze, benché risultino difficili da voler vedere e accettare:
«l'uccisione di Falcone non rappresenta soltanto una vendetta, la chiusura di un conto aperto con Cosa Nostra da un decennio. Non ha cioè soltanto una funzione punitiva, che sta sicuramente negli intenti e nelle strategie della mafia, non però di altri soggetti. Ma assolve anche una più ampia e potente funzione preventiva» (p.138).
Il successo dei giudici palermitani sta infatti per consolidarsi in un organismo centrale, la Procura Nazionale Antimafia, destinata a Falcone e poi, dopo la sua uccisione, al suo erede naturale, Borsellino. Il programma dichiarato di tale organismo è quello indicato da Falcone: «indagare meglio e a fondo, e a vasto raggio, sugli appalti pubblici. Distruggere la criminalità finanziaria. Radiografare le grandi imprese» (p. 139). Un programma – come si vede – che si profila piuttosto parallelo al lavoro che nello stesso periodo ha iniziato a svolgere al Nord l'inchiesta «Mani Pulite».
Il libro di dalla Chiesa ricostruisce una storia, il Senso di una storia. E suscita nel lettore molti interrogativi sul presente: nell’attuale crisi italiana, sia economica che politica, che ruolo stanno giocando i narcodollari mafiosi? Chi ne tesse attualmente le mediazioni politiche ̶ che allora sono saltate e che probabilmente nella fase seguente non si sono più potute consolidare? Che cosa è rimasto al posto di quella “cupola” mafiosa che avevano messo a fuoco Falcone e Borsellino? Domande che stringono da vicino.
La Casa della Memoria di Milano, dove Nando dalla Chiesa
ha presentato il libro il 19 giugno 2017)
Nando dalla Chiesa, Una strage semplice, Milano, Melampo editore, 2017, 235 p., 15 euro