L’originale produzione di uno scrittore romancio, Arno Camenish, edito in Italia dalla Keller di Rovereto (Roberto Antolini)

 

 

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UNA LETTERATURA DI MONTAGNA: ARNO CAMENISCH

 

di Roberto Antolini

 

Arno Camenisch è nato nel 1978 in un piccolo paese ‘romancio’ sulla Ferrovia Retica dei Grigioni (Svizzera): Tavanasa. E vi ha ambientato due romanzi, scritti però in tedesco (anche se inframmezzato qui e là da espressioni ‘romancie’): Dietro la stazione e Ultima sera, entrambi pubblicati in italiano dalla Roberto Keller editore di Rovereto.

Dietro la stazione (Hinter dem Bahnhof, pubblicato nel 2010 dall’editore svizzero Engeler-Verlag e nel 2013 in italiano) racconta il paese natale, formato da un pugno di case raccolte su sé stesse, appunto: ‘dietro la stazione’. Porta semi-chiusa sul resto del mondo, che i nativi oltrepassano quasi solo per andare dal dentista o in ospedale. La narrazione ha una struttura aperta, a lasse semplicemente giustapposte, come pensierini di un tema da scuola primaria, ma sono collegate fra loro dai personaggi che si inseguono continuamente da una lassa all’altra: i pochi e presto individuati abitanti del paese. Il parallelo con i ‘pensierini’ non è casuale, perché l’io narrante è infantile, e mette in campo un “noi” familiare: quello di due fratellini che per il paese scorrazzano da mattina a sera, passando dalla propria casa a quelle degli altri compaesani, alle stalle, al laboratorio di falegnameria del nonno, al bar della zia, fino alla stazione. La scrittura di Arno è molto efficace, concentrata in modo divertito sui dettagli, ma con coloriture impressionistiche, che mettono in campo una non esibita nostalgia per la stagione dell’infanzia come scoperta del mondo, quello locale – alpino - del paese. Così alla fine il breve romanzetto, apparentemente sconclusionato, traccia davvero un ritratto della vita in montagna. Senza miti, è un ritratto vivace, ironico e affettuoso, in cui la presa di distanza letteraria è commista alla partecipazione, ma senza romanticismi:

     i palloni passano sotto la staccionata e rimbalzano sui sassi fino al Reno. Mio fratello è nel Reno fino all’ombelico che cerca di tirare fuori la palla con un bastone. Volete proprio affogare, no, grida il Gionclau. Ha l’ascia in mano. Fuori di lì, Himmelstärna, no, grida. Il Gionclau dice no dopo ogni frase. Quando uno parla con il Gionclau, deve dire no dopo ogni frase anche lui. No che non vogliamo affogare, no, vogliamo solo tirare fuori la palla, no. Forza, fuori, no, o preferite che venga a prendervi per le orecchie, no. No, Gionclau, no. Tendo la mano a mio fratello e gli sussurro, guarda che arriva il Gionclau, no. Il Reno ha già fatto sparire un sacco di bambini, no, grida Gionclau, non pensate che sareste i primi, no. Va verso il suo fienile. Si volta a guardare e scuote la testa. Sentiamo che va avanti a smadonnare (p. 30).

Al bar della zia è invece dedicato l’altro romanzo sul paese: Ultima sera (Ustrinkata, Engeler-Verlag 2012 e 2013 in italiano). Dal libro precedente sappiamo già che l’Helvezia, l’unico bar del paese, è aperto da 100 anni, hanno appena festeggiato l’anniversario con la banda. Ma ora chiude, è l’ultima serata d’apertura, e vi si raccolgono i clienti affezionati, mentre fuori diluvia ed inizia un inverno senza più l’Helvezia. Il punto di vista ovviamente non è più infantile, ma rimane il procedere a lasse squinternate, che seguono l’ultimo informe chiacchiericcio dei clienti, gli stessi personaggi che emergevano da Dietro la stazione. Pensando al ‘flusso di coscienza’ di joyciana memoria, potremmo dire che qui l’Autore costruisce abilmente un ‘flusso di chiacchiere’:  sono oziose ciance da bar che hanno la funzione di mettere in scena l’idea di sé degli ormai tutti sbronzi ed affumicati clienti, di celebrare in modo roboante i loro decenni di vita trascorsa davanti ai boccali di birra della “zia”, ma anche qui – come per incanto, ed è la caratteristica originale della scrittura di Camenich – dall’apparente casualità e cialtroneria salta fuori un contesto, un altro ritratto di comunità di montagna, che proclama la propria saldezza ed indifferenza, ma si confonde al confronto col resto del mondo:

     Non lavora all’ospedale di Ilanz la bella Maria, chiede la Silvia. Ancora per poco, risponde la zia, va a vivere via, all’estero, a Madrid, o almeno così dicono. Come se in Italia non cucinassero con l’acqua anche loro, fa il Luis. Una donna, quando va, se ne va davvero, dice la Silvia, non puoi farci niente, puoi solo lasciarla andare. Spegne la Select. E allora orapronobis, dice l’Otto, sarà una tragedia per quell’altro là, il Suvorov con la cuffia rossa, lo spennerà a sangue non poter più stare con la sua Maria, non pensa ad altro povero fungo, ma si capisce, una donna come la Maria la incontri una volta nella vita, e solo se sei fortunato, rincalza il cappello, non voglio sapere che poesie scriverà dopo, pesanti come il piombo immagino, da metterti di umore nero appena le leggi. Dietro ogni buona poesia c’è una donna, dice l’Alexi. Il nostro frisör ha di nuovo dei pensieri come grimaldelli, dice il Luis con un sorrisetto, cosa ne sai tu di poesia, finisce il quintino, e comunque le copia da chissà dove le sue fesserie, non penserai che gli salta in mente tutta quella roba lì tra il lusco e il brusco …  (p. 62).

Insomma, fra le righe c’è anche un ironico ritratto dell’intellettuale di montagna, un poeta, dietro cui con un po’ di immaginazione non si fatica a ritrovare l’autore stesso, l’autoironia sulla sua vocazione letteraria, che nessuno in paese pare avergli commissionato.

L’ultimo libro di Camenisch uscito in italiano in questi giorni, La cura (Die Kur, Engeler-Verlag 2015), sempre per la Keller, non ha più al centro il paesetto di montagna, è ambientato infatti in un lussuoso albergo a cinque stelle  ̶  senza allusioni politiche, ovviamente!  ̶  dell’Engadina più turistica, in mezzo ai boschi ed affacciato su uno splendido lago. Paesani sono però i due personaggi, marito e moglie che hanno vinto una vacanza nell’Hotel prestigioso, e potrebbero benissimo provenire dallo stesso paese dei primi due romanzi, stando alle tipologie umane. La moglie è una vitale ottimista, che coglie con entusiasmo l’opportunità, il marito un poltrone infastidito dalle novità, che nell’albergo viene trascinato controvoglia dalla moglie:

     Avessimo vinto il secondo premio, dice lui, hai visto che cesto di roba da mangiare che era? Non li trovi neanche in Croazia dei cesti grossi così. E invece no, il bel cesto se l’è beccato quel testa di legno dell’Hans che adesso se ne sta a casa come un pascià e se la ride fin dentro i calzoni (p. 9).

Come si vede subito, si riconosce anche qui il solito stile, basato su un’affabulazione che ruota su sé stessa. È l’affabulazione continua del marito, vittimistica e petulante, contenuta seccamente dalla moglie, con poche parole affettuose ma affilate. Sullo sfondo appena accennato di una natura che dovrebbe affascinare, di un albergo lussuoso, e di qualche altro cliente – di quelli veri, paganti – che passa appena dietro le quinte. Il romanzo vive sul divertissement del battibecco continuo, e del confronto che ne esce, ma solo fra le righe, fra l’antropologia popolare e montanara dei due personaggi e il contesto internazionale e glamour in cui si trovano del tutto casualmente inseriti:

     Sei già sveglia, tesoro, chiede. Hai russato, dice lei fissando il soffitto. Lui la guarda, chi, io? Sì, tu, risponde lei, prende gli occhiali dal comodino e se li mette. Erano i vicini di stanza, qui ci sono i muri sottili, con questi vecchi muri si sente tutto, a Roses era già un’altra cosa, che là l’albergo aveva dei muri spessi come si deve, non come questi qui. Lei guarda fuori dalla finestra e tiene la coperta stretta al seno. Di sicuro non ero io a russare, uno come fa a russare se non dorme, renditi conto. Intendo ieri sera, dice lei, al concerto. Come scusa, chiede lui voltandosi verso di lei. Appena hanno abbassato le luci hai spento l’amplifon e gli hai tolto le pile, ti ho visto benissimo, dice lei. Suonavano così forte che si sentivano anche senza e non è che adesso abbiamo soldi da buttar via, volevo risparmiare le pile… (p. 55).

Tutti i romanzi di Arno Camenisch sono tradotti in italiano da Roberta Gado.

 

 

Arno Camenisch, Dietro la stazione, Rovereto, Keller, 2013, 107 p., € 12,00

Arno Camenisch, Ultima sera, Rovereto, Keller, 2013, 108 p., € 12,00

Arno Camenisch, La cura, Rovereto, Keller, 2017, 102 p., € 12,00