Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Letteratura in lingua italiana in Alto Adige, in: "Archivio per l'Alto Adige", XCIX-C (2005-6), pp. 351-3.

 

cop. del romanzo di G. Bianco con ill. di K. Plattner

 

 

 

Una casa sull’argine, romanzo di Gianni Bianco

 

di Carlo Romeo

 

 

A fronte di una sterminata produzione giornalistica (nazionale e locale) sulla questione altoatesina, bisogna attendere la seconda metà degli anni Sessanta per registrare l’inizio di una certa continuità nella produzione letteraria. Nel 1965 il Circolo Universitario Cittadino (Cuc) di Bolzano promuove un concorso per giovani autori locali. Si segnala il giovane giornalista Gianni Bianco col romanzo Una casa sull’argine, che viene subito pubblicato. (1) Indicato come il «primo romanzo altoatesino», esso affronta direttamente il tema del conflitto etnico (siamo nei cosiddetti «anni delle bombe»), attraverso la sofferta vicenda sentimentale di due giovani. (2) Il romanzo non solo è scritto da un autore cresciuto a Bolzano, ma affronta direttamente ambienti e personaggi locali con notevole realismo. La novità è ben presente agli editori, che così presentano il libro:

Fino a quando non vi sarà una cultura in lingua italiana radicata con una certa spontaneità in Alto Adige, non vi sarà neppure spontaneo radicamento del gruppo di lingua italiana rispetto al gruppo di lingua tedesca, il quale si alimenta soprattutto, benché non esclusivamente, del possesso di una cultura tradizionale. Ora l’opera di Gianni Bianco ci fa capire che anche il gruppo di lingua italiana comincia a radicarsi in Alto Adige ed affronta narrativamente con un coraggio brusco la tematica umana di questa terra, attaccandola, aggredendola proprio in uno dei suoi punti dolenti: la mancanza di integrazione, la mancanza di rapporti cordiali e spontanei tra i due gruppi, l’artificiosità degli incontri e la pesante pressione ambientale. (3)

La trasposizione delle problematiche del rapporto tra i gruppi linguistici nel topos letterario della relazione amorosa corre sempre il rischio di sembrare artificiosa; eppure l’autore riesce a conferire all’ambientazione e alle vicende del romanzo un certo grado di realismo. A ciò contribuisce in modo determinante il riuscito personaggio di Michele, il protagonista maschile. Superati ormai i trent’anni, abbandonati i progetti di laurea, il giovane “sopravvive” inquieto e insoddisfatto del mestiere di rappresentante di medicinali. L’occasionale incontro con Marta lo coglie in una fase di crisi esistenziale, la cui caratterizzazione è uno degli aspetti più interessanti del libro. Michele dovrebbe più o meno appartenere alla generazione del 1924/25, una di quelle “bruciate” dall’esperienza bellica; in questo personaggio Bianco trasferisce in realtà atteggiamenti e inquietudini già caratteristici degli anni del boom economico. Nei monologhi di Michele e nei suoi vivaci dialoghi con i compagni si confessa una generazione confusa, divisa tra velletarie aspirazioni al «benessere» e ai suoi idoli (come la «velocità») e, allo stesso tempo, il disprezzo della loro vanità.
Più convenzionale è invece il personaggio di Marta. Maestrina timida e discreta, dopo l’omicidio del fratello Toni, ad opera di due sbandati rapinatori nel dopoguerra, si è chiusa fisicamente e affettivamente nella «casa sull’argine», dove vive con la vecchia madre. Ed è proprio la «casa sull’argine» a rivelare nel finale i significati simbolici del racconto. Vista l’inutilità dei tentativi di strappare Marta al suo rifugio, Michele decide infine di affrontare direttamente la «casa sull’argine». Vi si reca per convincere la ragazza dell’autenticità dei suoi sentimenti. Per raggiungere la casa «che la prospettiva mostrava come in bilico tra la montagna e il fiume» deve attraversare quest’ultimo su una zattera. Lentamente, per piccoli indizi, ha inizio il meccanismo di un “riconoscimento” tutt’altro che positivo. In quella casa vi è già stato, una notte di molti anni prima; quella stessa notte in cui, a fine guerra, il suo occasionale compagno ha ucciso il fratello di Marta, a scopo di rapina e senza alcuna responsabilità di Michele. Il drammatico riconoscimento da parte del protagonista è confermato da quello del vecchio cane della «casa sull’argine», che ha una funzione parallela e “rovesciata” rispetto all’Argo di Ulisse.

La casa è lì, davanti a lui, con il cortile e l’albero quasi al centro: nella testa qualcosa gli ronza, sempre più forte, la fronte gli si è bagnata di sudore ed ha freddo (...) Mentre l’uomo si allontana, vede il cane. Un animale vecchio che dura fatica a reggersi sulle zampe, una delle quali penzola inerte. Avanza, striscia quasi, verso di lui rimpicciolendo gli occhi miopi: a due passi di distanza si ferma e solleva il labbro superiore sopra i denti, in un ringhio prolungato e profondo, un ringhio spaventoso, agghiacciante, che esprime anni di attesa e di odio. (4)

Allo stesso modo, un Eumeo “alla rovescia” è rappresentato da Franz, l’amico di Toni; dai tempi dell’assassinio di quest’ultimo, è rimasto accanto a Marta e a sua madre, in veste di silenzioso e fedele custode. Credendolo un bandito, ferirà Michele con un colpo di fucile. La repentina metamorfosi del giovane, nell’atto di recuperare il vecchio fucile da guerra, fa ritornare i truci fantasmi del passato.

Rapidamente l’uomo si porta dietro la tettoia della legna, fruga in un mucchio di rami e ne estrae un involto affusolato, lungo. Ne esce un fucile da guerra, custodito per anni. Quando si rialza il contadino silenzioso e sottomesso non esiste più: al suo posto un «SS» al quale anche il grembiule azzurro dà un tono marziale e minaccioso (...) È il nemico: Franz ha la stessa sensazione di allora, quando il nemico era sempre vicino, davanti, in trincea, alle spalle, nella boscaglia, sui tetti delle case. (5)

La «casa sull’argine» sembra così respingere l'intruso”. Eppure Marta soccorrerà Michele in extremis. Saranno vinti gli ostacoli del passato? Michele troverà il coraggio di confessare alla ragazza la propria corresponsabilità nell’omicidio del fratello? La risposta sembra essere rilanciata al lettore, poiché il romanzo non va oltre il breve colloquio di Marta con un «camice bianco» nell’ospedale in cui Michele si trova ricoverato.

 

Note

1) L’edizione del primo premio «Città di Bolzano» del CUC fu vinto da Dora Feliziani col romanzo I giovani anni di Fulvia.

2) Gianni BIANCO (Capua 1932) è stato giornalista prima presso l’«Alto Adige» poi nella redazione altoatesina de «Il Giorno», per avviarsi in seguito ad una lunga carriera in testate nazionali. Già nel 1963 aveva pubblicato l’inchiesta La guerra dei tralicci, Manfrini, Rovereto 1963. Una casa sull’argine fu pubblicato dai Fratelli Longo Editori, Rovereto 1965. Famoso rimase l’accenno a questo romanzo come «primo vero romanzo italiano in Alto Adige» da parte di Norbert C. Kaser, nel discorso al convegno «Südtirol der Zukunft und der letzen zwanzig Jahren», promosso dalla Südtiroler Hochschülerschaft di Bressanone; gli atti sono pubblicati in: «Skolast» (num. speciale), giugno 1985.

3) Risvolto di copertina a firma «Gli Editori» (Lidia Menapace?) in: Gianni BIANCO, Una casa sull’argine, op. cit.

4) Ibidem, p. 123.

5) Ibidem, p. 124.