Foto Roberto Antolini 

Galleria fotografica sulle tracce ancora leggibili degli antichi insediamenti cimbri, forgiati dal rapporto uomo-ambiente. Prima parte: frazioni di Folgaria (di Roberto Antolini)

 

 

 

LE FRAZIONI “CIMBRE” DI FOLGARIA E LAVARONE

GALLERIA FOTOGRAFICA E UNA PREMESSA

di Roberto Antolini

 

 

C’è un’area prealpina, che sta fra le province di Vicenza, Trento e Verona, dove sono rimaste (ormai soltanto) tracce di insediamenti germanici medioevali, abitualmente chiamati “cimbri”. L’unico paese in cui il cimbro è rimasta una lingua-madre viva, sottostante all’italiano scolastico, è il comune di Luserna in Trentino (grazie all’isolamento secolare garantito dall’aspra geografia del sito), più qualche decina di persone in altri paesi veronesi e vicentini come Roana (VI) e Selva di Progno (VR). Ma nei secoli fra Cinquecento e Settecento si conta che fossero sulle 20.000 le “anime” che usavano parlate cimbre, residenti in un’area che sta a sud della Valsugana*, e ad est della Val d’Adige sopra Rovereto - gli altipiani trentini di Lavarone e Folgaria, con le valli del Leno (Terragnolo e Vallarsa), e quello vicentino di Asiago - le zone a monte della cittadina vicentina di Schio – la val d’Astico, le valli di Posina, e quelle del Pasubio con Recoaro – per finire a sud del Pasubio nei territori più alti dei Monti Lessini veronesi.

Di queste popolazioni montane, dedite ad una economia di sussistenza silvo-pastorale, sono rimaste poche tracce, ma nel XVIII secolo i primi osservatori attenti del territorio le avevano notate e in qualche modo anche descritte (certo insufficientemente): Scipione Maffei, nel vol. IV della sua opera “Verona illustrata” del 1732, ha scritto: «abbiam quivi avvertito come il linguaggio è tedesco, benché alquanto diverso dal più comune».

Già a fine Settecento le aree linguistiche germaniche in queste zone erano in regresso, e cominciava l’assorbimento delle popolazioni cimbre in quelle italiane. Processo a cui darà un grande contributo il centralismo dell’epoca napoleonica. Nel XIX secolo, e fin agli inizi del XX, sulla pelle degli abitanti di questi paesi si giocherà una contesa nazionalistica fra associazioni pangermaniste e filo-italiane a colpi di “donazioni” – provenienti dall’esterno – di asili e scuole tedesche /VERSUS/ italiane. Ma il colpo di grazia all’assorbimento pressoché totale delle minoranze cimbre lo darà la Grande Guerra 1914-1918, con i suoi trasferimenti di interi paesi in campi profughi (la popolazione – allora austro-ungarica – di Luserna verrà sfollata ad Aussig in Boemia), e nel dopoguerra il regime fascista con il divieto all’uso dei dialetti tedeschi e la pulizia etnica delle “opzioni” fra Italia e Reich tedesco – ideate assieme da Hitler e Mussolini – nelle quali verranno inseriti anche Mocheni e Cimbri (optarono in 280).

 

Oggi la testimonianza maggiore che ne resta sta in toponimi come Perpruneri (Folgaria) riconducibile all’espressione germanica Bär Brunnen (diciamo: “fonte degli orsi”), o Virti (Folgaria) da Wirt (“taverniere, locandiere”) ecc., che punteggiano massicciamente il territorio.

 

Affresco su una casa di Perpruneri,

toponimo derivato da Bär Brunnen

 

 

Ma una testimonianza interessante è anche quella che ci viene dall’urbanistica. L’insediamento cimbro sul territorio è quello di tipo germanico “a maso”: con stanziamenti d’origine agricolo-famigliare dispersi a rete sul territorio (quindi senza veri paesi), che costruiscono proprie sedi abitative in quei luoghi dove si offre la presenza di una sorgente e di condizioni geografiche favorevoli (per l’insolazione). Oggi la moderna economia turistica di questi territori, con lo sviluppo delle seconde-case, ha talvolta compromesso la leggibilità di questo tipo di insediamento, ma laddove invece le caratteristiche urbanistiche originarie si sono conservate offrono una testimonianza affascinante di una cultura silvo-pastorale durata in fondo fino a qualche decennio fa, che questi luoghi ha forgiato, non meno di quanto ne è stata, sua volta, forgiata.

Nell’estate 2016 ho avuto modo di fare una vacanza sull’altipiano di Lavarone ed ho sfruttato l’occasione per scattare più fotografie possibili alle innumerevoli frazioni (testimonianze appunto dell’insediamento disperso di origine cimbra) che punteggiano i pur minuscoli comuni trentini di Folgaria (circa 3000 abitanti) e Lavarone (circa 1000), entrambi sui 1000 metri d’altezza slm: sono 23 frazioni per Folgaria e 21 per Lavarone (intendendo qui non le frazioni amministrative, che sono molte meno, ma i nuclei di antica origine con una propria evidente autonomia funzionale di insediamento).

Ho scattato cercando – tramite le inquadrature – di mostrare il rapporto con l’ambiente di quanto l’uomo ha costruito, così particolare. In questi minuscoli centri storici ex cimbri praticamente non esistono le piazze: i casi delle moderne piazza Marconi a Folgaria e piazza Italia a Lavarone sono sviluppi del paese turistico (mentre l’eccezione è invece la piazza S. Lorenzo a Folgaria, che rappresenta la classica piazza antistante la chiesa e la canonica).

La guerra 1914-1918 ha distrutto tantissimo gli insediamenti preesistenti, che però sono stati ricostruiti quasi sempre in loco, essendo ancora fondamentali, negli anni ’20, i motivi tradizionali per la scelta di una localizzazione, derivati dalle esigenze di sussistenza di una economia che era ancora in gran parte quella di prima.

Nel comune di Folgaria, per un territorio di 72 km quadrati, abitati da poco più di 3000 abitanti, ho adocchiato 29 frazioni: Buse, Carbonare, Carpeneda, Colpi, Costa, Cueli, Elbele, Erspameri, Fontani, Foreri, Francolini, Guardia, Liberi, Marangoni, Mezzaselva, Mezzomonte, Molini, Morganti, Negheli, Nocchi, Nosellari, Ondertol, Peneri, Perpruneri, San Sebastiano,  Scandellini, Serrada, Tezzeli, Virti.

In quello di Lavarone, per un territorio di 26 km quadrati, abitati da poco più di 1000 abitanti, le frazioni sono 22: Albertini, Azzolini, Birti, Bertoldi, Cappella, Chiesa, Dazio, Gasperi, Gionghi, Lanzino, Lenzi, Longhi, Magrè, Masetti, Masi di sotto, Nicolussi, Oseli, Prà di Sopra, Piccoli, Rocchetti, Slaghenaufi, Stengheli, Villanova.

Lo sviluppo turistico ha stravolto l’immagine urbanistica dei soli centri amministrativi dei due comuni, rendendo oggi difficilmente leggibili attraverso un’occhiata distratta (perché invece un’occhiata attenta può ancora distinguere) le stringhe di Folgariacentro-Costa a Folgaria e di Gionghi-Cappella a Lavarone. Ma il pullulare nel resto del territorio di insediamenti dispersi riesce ancora a render conto evidente della storia che abbiamo sopra richiamato. Non ho fotografie di tutte le frazioni, ma solo di quelle che mi sono sembrate più interessanti e che ho avuto l’occasione di riprendere con una luce giusta.

 

Nota

 

*Oltre la quale rimaneva, e permane tutt’ora, la minoranza germanica trentina dei Mocheni, sopra la cittadina di Pergine. Che però è tutt’altra storia.

 

 

 

GALLERIA FOTOGRAFICA (PARTE 1)

LE FRAZIONI DI FOLGARIA

 

 

II - Buse (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

III – Carbonare (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

IV – Costa (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

V – Cueli (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

VI – Elbele (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

VII – Guardia (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

VIII – Liberi (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

IX – Morganti (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

X – Nocchi (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

XI – Nosellari (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

XII – Perpruneri (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

XIII – San Sebastiano (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

XIV – Tezzeli (Folgaria)

 Roberto Antolini

 

XV - Virti (Folgaria)

Roberto Antolini 

 

 

Fotografie di Roberto Antolini, estate 2016