È uscito il secondo volume dei quaderni del confino editi dal Centro Studi Eoliano e dedicati alla ricostruzione, anno per anno, delle vicende della colonia di confino di polizia di Lipari durante il ventennio fascista. Di seguito qualche passaggio del capitolo VIII in cui l’autore, Giuseppe La Greca, affronta l’imponente retata (dicembre 1927) di circa 150 confinati sospettati di attività sovversiva (ricostituzione del partito comunista).

 

 Gruppo di confinati a Lipari nel 1927

 

 

 

Autore: Giuseppe La Greca

Rif. bibl.: La Greca, Giuseppe, Voci dal Confino. Antifascisti a Lipari. 1927 - Il Primo Anno, Edizioni del Centro Studi Eoliano, 2016, pp. 131-133.

 

 

LA GRANDE RETATA

di Giuseppe La Greca

 

Nella notte del 7 dicembre 1927, imprevista si ferma alla fonda, al largo di Marina Corta, una grande nave cisterna. Viene da Messina. È carica di carabinieri. Piove. La tramontana è pungente. Le fioche lampadine all’imbocco dei vicoli sono agitate da raffiche impetuose. Alle 4 del mattino di giovedì 8, ancora al buio, i carabinieri sbarcano. È caccia grossa.

Un confinato spia, il sardo Antonino Cocco, ha segnalato che trattorie cooperative, scuole, biblioteca e palestra sono in realtà luoghi e occasioni per cospirare, ricostituire i partiti disciolti, istigare alla lotta armata contro il fascismo, e che in casa del tornitore meccanico milanese Luigi Repossi, ex deputato comunista, si complotta. In pari tempo, a Milano, in un magazzino di via Ruggero Lauria, la polizia ha scoperto una tipografia clandestina. C’erano carte sovversive: tra esse, due criptogrammi. Sono riusciti a decifrarli. Si trattava di rapporti dal confino di Lipari alla centrale del Partito comunista d’Italia, relatore Pompilio Molinari.

La direzione della colonia avrebbe già dovuto avere sentore di un tentativo di ricostituzione del partito comunista al confino, avendo ricevuto alcune segnalazioni, provenienti sia dal segretario del fascio di Lipari sia da Alessandrina Tonti, moglie del dissidente fascista Vincenzo Tonti. In una lettera indirizzata a Mussolini, la donna lamentava una scarsa sorveglianza nei confronti degli elementi della colonia – che avrebbero dovuto destare più sospetti – e un eccessivo riguardo nei confronti dei confinati più in vista.

Mentre le segnalazioni del segretario del fascio di Lipari sortirono un effetto immediato, provocando la chiusura dei locali adibiti a scuole per confinati, l’astiosa lettera della moglie di Tonti non fu presa sul serio, ritenuta dettata da “bassa rappresaglia” – come la definì l’ispettore generale di PS Valenti – perché costretta a lasciare l’isola. I duecento carabinieri venuti da Messina con il procuratore del Re hanno lunghe liste di indiziati. Si fanno guidare dai militi fascisti. Operano una serie di irruzioni, perquisizioni; alle nove del mattino, dopo cinque ore di violenze e minacce, gli arrestati sono 146 alcuni dei quali, destinati in consegna temporanea in locali adiacenti al cimitero, pensano ad una prossima fucilazione.

Sciolto l’equivoco e liberati la maggior parte degli arrestati dopo due giorni di interrogatori, in 41, in prevalenza comunisti e socialisti, sono trasferiti nel carcere di Siracusa e, dopo otto mesi di detenzione, vengono tutti assolti dallo stesso Tribunale speciale nell’agosto del 1928. La mattina grigia e gelida di sabato 10 dicembre 1927 viene stabilita la partenza.

 

Canepa[…] Ferlazzo intanto aveva stabilito di iniziare un servizio di trasporto via mare degli operai che da Lipari, per andare a lavorare nelle cave di Acquacalda, erano costretti a compiere un paio d’ore di cammino a piedi. Quando però si presentarono delle grosse difficoltà per installare il motore dell’imbarcazione e già stava per rinunciare al suo progetto, gli suggerii di assumere un confinato che mi risultava d’essere stato alle dipendenze del generale Nobile nel mettere a punto i motori del suo dirigibile. Lui accettò subito e ottenne che Pompilio Molinari si trasferisse a casa mia, a Canneto.

Doveva così iniziare la mia collaborazione coi comunisti: infatti quando quegli mi propose di fare imbucare in continente, o meglio ancora all’estero le lettere che m’avrebbe consegnato, evitando così di sottoporle alla censura, accettai di buon grado, senza troppo preoccuparmi dei pericoli cui mi stavo esponendo. Stavo dunque diventando comunista? Niente affatto.

Solo che così facendo ritenevo di contribuire a una lotta contro il fascismo che ormai, al confino, soltanto i comunisti pareva che fossero disposti a continuare. Poi, quando il Molinari, terminati i lavori sull’imbarcazione, gli toccò rientrare in colonia, io stesso mi recavo a Lipari da Giuseppe Berti o da Cesare Massini, ch’erano i maggiorenti del partito, per ritirare il materiale da inoltrare senza che passasse la censura. […]

La Grande retata del 7 e 8 dicembre del 1927 è registrata in molte memorie anche se con qualche errore nel periodo.

 

Magrila vita della colonia stava riprendendo faticosamente il suo equilibrio ed i confinati speravano che il peggio fosse passato, quando capitò un nuovo cataclisma. Una sera di settembre, verso le dieci, udimmo passare della truppa sotto casa e cautamente guardammo fuori. Sul corso principale ch’era poco distante, vedemmo due mitragliatrici piazzate ed un forte nerbo di militi con i fucili con la baionetta innestata. Carabinieri e guardie erano affaccendati ad arrestare confinati. Continuamente passavano e ripassavano pattuglie recandosi in mezzo, incatenati, sempre nuovi arrestati. Verso mezzanotte fui preso anch’io insieme con un amico che abitava con me. Chiedemmo ai carabinieri il motivo di quell’arbitrio, ma essi non ci risposero. Erano tutti venuti da fuori con un rimorchiatore ed erano guidati da un agente di servizio a Lipari. Ammanettati, fummo portati al Castello e rinchiusi in uno stanzone dove c’erano una ventina di confinati, come noi, all’oscuro di quello che stava succedendo. Ad uno ad uno fummo condotti al piano superiore. Quando toccò il mio turno, fui fatto entrare in un’ampia sala dove, dietro un lunghissimo tavolo, stavano seduti tre maestosi personaggi che sapemmo di poi essere ispettori di pubblica sicurezza. Sul tavolo erano ammucchiati circa duecento fascicoli di confinati ed ai lati si tenevano il direttore della colonia e il comandante della milizia ed un nugolo di guardie. Al mio ingresso il direttore della colonia disse il mio nome, ricercò, tra gli altri, il mio fascicolo, lo passò a quello che sembrava il presidente di quello strano tribunale. Fui lasciato in piedi con due carabinieri a lato per tutto il tempo che il personaggio impiegò a leggere il mio incartamento. Alla fine mi squadrò dall’alto in basso e mi disse:

– Siete comunista?

– sono un democratico

– e perché dirigevate la palestra ginnastica se non siete comunista?

– non sapevo che per insegnare ginnastica ci fosse bisogno della tessera del partito

comunista

– sicché negate?

– nego

– non sapete niente della organizzazione delle cellule comuniste in questa colonia?

– Non ne ho mai sentito parlare.

Seccatissimo l’ispettore ordinò di condurmi fuori. Il direttore aggiunse: “al magazzino”. Infatti fui condotto al magazzino del casermaggio dove mi furono tolti i ferri e mi trovai in compagnia di una trentina di confinati ai quali precedentemente erano state rivolte quasi le stesse domande. Tutta la notte continuarono gli arresti e gli interrogatori.

 

Hector France S.: […] Verso le dieci, divisi in pattuglioni, cominciarono a fare retate di confinati nelle case e nel dormitorio comune. Anche a casa mia, dopo aver sentito i guaiti del cane di guardia ed uno scalpitio di armati, si aprirono i lucchetti della mia camera con un secco comanda di: “alzatevi”. Entrò un graduato della milizia alto quasi come il soffitto e quattro militi. Mi perquisirono tutto minuziosamente.

Il capitano rimase lungamente a leggere un diario di mia figlia morta da pochissimo tempo, mi fece parecchie domande alla maggioranza delle quali rispondevo sì e no col capo. Poi disse ai militi: “Questo lasciamolo perdere!” ed aggiunse: quelli, non capii bene quali, portateli al cimitero. Il fatto che pareva lì per lì che io me la fosse cavata, non mi dava nessuna tranquillità. Ero preso da una forte preoccupazione. “Al cimitero!” mi ripetevo. Che cosa ce li portano a fare?

Non vedevo l’ora che facesse giorno e non potei più chiudere occhio. La mattina quando scesi per l’appello, chiarii la storia del cimitero. Gli arrestati venivano ammassati in due punti del paese. Uno di questi concentramenti era vicinissimo al cimitero, da qui l’indicazione di questo luogo che aveva creato il mio evidente equivoco. Alle prime ore del mattino gli arrestati furono imbarcati nella torpediniera, che rimase ferma nel porto di Lipari sino al pomeriggio. Verso il tramonto la torpediniera puntò verso Milazzo. Dalla mia abitazione la stetti a guardare con la tristezza nel cuore sino a che la tetra sagoma non fu ingoiata dalla distanza e dalla oscurità della notte. Avrei preferito essere tra quelli!

Più tardi si seppe che parte erano stati deferiti al tribunale speciale, altri erano restati nelle carceri siciliane per rispondere di imputazioni varie, ma a Lipari non tornarono più. […]

 

 

 

 

Giuseppe La Greca,

Voci dal Confino.

Antifascisti a Lipari. 1927 - Il Primo Anno

Edizioni del Centro Studi Eoliano

www.centrostudieolie.it

ISBN: 978-88-97088-12-7

 

 

Indice

 

Prefazione di Sergio Rosso

Cap. I - Il 1927

Cap. II - Josef Noldin

Cap. III - La giornata del confinato vista da Giovanni Ansaldo

Cap. IV - Domizio Torrigiani

Cap. V - Emilio Lussu

Cap. VI - La Milizia

Cap. VII - Isso Del Moro

Cap. VIII - La grande retata

Bibliografia