Il Filmclub di Bolzano e Storia e Regione/Geschichte und Region invitano alla proiezione di

Accattone (1961) di Pier Paolo Pasolini

Quando: mercoledì 23 marzo 2016, ore 20.00

Dove: presso il Filmclub di Bolzano (Via Streiter),

nell’ambito del ciclo “Film Storia Geschichte”.

Seguirà l’approfondimento di alcune tematiche relative al film da parte di Andrea Bonoldi e Carlo Romeo.

 Accattone (1961)

La serata tematica, dal titolo Ai margini del boom, rientra nel ciclo “Film Storia Geschichte” organizzato dall’associazione “Storia e Regione/Geschichte und Region”.

Accattone, accolto con immediato interesse dalla critica, trasponeva in linguaggio cinematografico la realtà umana dei romanzi di poco precedenti (Ragazzi di vita e Una vita violenta), di cui condivideva l’ambientazione (le borgate romane) e la tipologia dei personaggi.

L’approdo al cinema, però, coincideva per Pasolini con la scoperta di un linguaggio nuovo. L’immagine diventava strumento potentissimo per rappresentare quel mondo sottoproletario, innocente e dannato al tempo stesso, ai margini della storia e del “progresso”. Quest’ultimo si presentava all’epoca col volto del cosiddetto “miracolo economico”, che nel film si indovina nei contorni lontani della città sullo sfondo e di cui Pasolini sarebbe stato il critico più precoce e radicale.

 

 Locandina di

 

Farò un film senza complicati movimenti di macchina, sarà quasi sempre ferma. Farò solo delle carrellate. Niente atmosfera, niente contorno. Al centro saranno solo i personaggi. Continuamente primi piani e poi campi lunghi. Sul fondo il gruppetto degli attori: e poi di colpo addosso con la macchina sui primi piani. Sulle battute del dialogo. Rapidissimo: da un viso all’altro, da una battuta all’altra. Col dialogo sarò inflessibile: non cambierò una virgola. Entro questi termini sono certo di saper far recitare i miei attori benché inesperti loro e io. Niente doppiaggio, niente rumori fuori quinta: sarà tutto registrato sul posto. Del resto non userò neppure delle gran luci. Voglio una fotografia semplice, un po’ sporca: poi farò stampare il film non già sul negativo ma sul positivo, in modo da ottenere degli effetti raffinati. Sporco-raffinati. […]

Da: Giulio Mazzocchi, “Pasolini regista” (“Il Punto”, 22.10.1960)

 

I miei modelli sono Chaplin, Dreyer, Mizoguchi, cioè i registi dell’essenzialità. Non penso neppure lontanamente di rifarmi a registi espertissimi e formalmente elaborati, come ad esempio Rossellini o Fellini. Me ne mancherebbero i mezzi espressivi. Ricercherò, al contrario, un linguaggio estremamente semplice e lineare, nel quale la mia inesperienza tecnica possa risolversi positivamente. Nei provini già girati, sia pure in una fase di studio preliminare del film, ho potuto anche trovare la conferma di questa mia tendenza spontanea ad un linguaggio essenziale.

Pensa di poter esprimere attraverso il cinema qualcosa di più e di diverso da quanto già espresso attraverso le forme letterarie?

No, non lo credo. Io credo che soltanto con la poesia si possono raggiungere infinite variazioni, il massimo di vibratilità. Cinema e poesia sono due forme completamente diverse.

Forse non le è estranea l’ambizione di raggiungere, attraverso il cinema, un pubblico più vasto?

La mia preoccupazione non è questa. Il fatto di riuscire a raggiungere un pubblico più vasto non pesa su ciò che io voglio fare. Anche quando scrivevo Una vita violenta non pensavo a questo. Non rientra nelle mie ambizioni.

[…] In che cosa si differenzia allora la presa di coscienza di Accattone da quella di Tommasino?

Tommasino e Accattone sono due casi di esistenza sottoproletaria tipica degli italiani da Roma in giù. Ma due casi molto diversi, e quindi con spinte diverse. Una vita violenta ha un carattere politico sociale. Accattone è molto più indietro di Tommasino. Il suo destino molto più tragico.

Vuole precisarmi meglio in che cosa consiste la crisi di Accattone, qual è la natura di questo personaggio, le spinte che lo muovono?

Nel protagonista del mio film non si può parlare di vera e propria crisi. Accattone vive alla giornata, senza lavoro, senza che nella sua esistenza vi sia un qualunque orientamento morale, mantenuto da una prostituta. Il giorno in cui egli si innamora e sente che non può spingere la sua donna verso la prostituzione, si determina una crisi che è di natura istintiva, sensuale, sensibile. In Accattone vi è una misera luce di coscienza che arriva con la morte. La morte rappresenta il massimo punto di arrivo in quanto il personaggio non avrebbe né la forza né i mezzi, data la sua condizione sociale tanto depressa, di redimersi completamente.

Da: Daisy Martini, “L’Accattone di Pier Paolo Pasolini” (“Cinema nuovo”, n. 150, marzo/aprile 1961)

 

 

Ci avviciniamo, durante una pausa della lavorazione, a Pier Paolo Pasolini, e gli chiediamo perché si è deciso a trasformarsi da sceneggiatore in regista. Insoddisfazione per i film realizzati sulla scorta dei suoi testi? Desiderio di coerenza nella rappresentazione di un mondo che gli è caro? Pasolini ci risponde con una battuta abbastanza significativa, nonostante il tono apparentemente scherzoso. “Rispetto ai film tratti da mie sceneggiature, in questo non ci sarà un solo movimento di “carrello gru’”. Insistiamo ancora: “Lei, che è uno scrittore, quali problemi ha dovuto affrontare, concependo una storia per immagini cinematografiche?”. “Molti” replica Pasolini, “ma uno soprattutto: mi sono reso conto che nel cinema la metafora non è possibile”. Moravia interviene con piglio polemico nella conversazione e, scrollando le spalle, osserva: “Questa è la riprova che il cinema, almeno nei confronti della letteratura, è un’arte minore”. Pasolini accenna un gesto di dissenso: si rifiuta di portare alle estreme conseguenze le sue riserve. “Vede, aggiunge, io posso scrivere in un racconto: ‘quella donna era un topolino’: il regista però è costretto a presentare sullo schermo le cose come sono”. “I registi del muto”, ricordiamo a Pasolini, “hanno largamente sperimentato l’uso della metafora. Murnau, Pudovkin ed Ejzenštejn hanno ottenuto risultati sorprendenti in tal senso”. Pasolini non è convinto della nostra obiezione e ci ribatte: “Ma Ejzenštejn è caduto nel barocchismo e nel simbolismo. Io credo che il compito di un regista, sotto questo profilo, sia abbastanza arduo; bisogna, a mio parere, creare un linguaggio il quale suggerisca mentalmente la metafora allo spettatore”.

Da: Argentieri, Mino, “Nella periferia romana nasce il film di Pasolini” (“l’Unità”, 7.4.1961)

 

Filmclub