La Libreria Cappelli di Bolzano, Edition Raetia,

Storia e Regione/Geschichte und Region

 

invitano alla presentazione del libro

 

Un torrente di ricordi

Racconti conviviali della vecchia Bolzano

 

di Michele Lettieri

 

 

 

Data: venerdì 4 marzo 2016

Orario: ore 17.00

Luogo: Libreria Cappelli | Piazza Della Vittoria 41 | Bolzano

Intervengono: Carlo Romeo e Alfonso Lettieri (curatori del libro)

Sarà presente l’autore Michele Lettieri

 

 

 

 Raetia 2015

 

 

Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Il racconto conviviale di una generazione, in: Michele Lettieri, Un torrente di ricordi. Racconti conviviali della vecchia Bolzano, Edition Raetia, Bolzano 2015, pp. 7-14.

 

 

 

IL RACCONTO CONVIVIALE

DI UNA GENERAZIONE

 

di Carlo Romeo

 

 

 

Tra i bolzanini, almeno quelli di una certa età, l’ingegner Michele “Misha” Lettieri è figura assai conosciuta, non solo per la lunga attività in campo professionale e scolastico o per il successo di alcuni suoi progetti (come quello che gli è valso l’appellativo di “ingegner Talvera”). La grande rete di conoscenze personali gli deriva soprattutto dal ruolo di “jolly tuttofare” svolto nelle associazioni giovanili del secondo dopoguerra, delle quali è stato al tempo stesso promotore, organizzatore, “manovale” e notaio.

Diverse sono state le occasioni in cui Michele Lettieri è stato chiamato a rievocare episodi e contesti della sua esperienza di vita: anniversari e rimpatriate di circoli e associazioni (1), mostre, conferenze, incontri nelle scuole, iniziative pubblicistiche (2). Diversi, inoltre, sono stati i progetti mirati alla raccolta delle sue memorie (3). In tutte queste occasioni “Misha” (soprannome rimastogli dalla gioventù) ha raccontato le proprie e altrui vicende con un’abbondanza torrenziale di informazioni e dettagli da renderne persino problematica la trasposizione in un unico testo. L’invincibile propensione a inseguire quanto più possibile i fili delle storie che hanno incrociato la sua, fonte inesauribile di aneddoti, digressioni e precisazioni, non è un vezzo o una mera pignoleria. È un elemento intrinseco al suo narrare, che non si colloca nelle coordinate classiche dell’autobiografia ma tiene costantemente aperta la dimensione collettiva. Come voce narrante il “noi” è molto più frequente dell’“io”. La caratteristica viene confermata anche nelle presenti pagine, redatte con il supporto del nipote Alfonso Lettieri (4). Se si eccettuano rari passaggi di ricordi personali e familiari, tutta la narrazione è mirata a ricostruire esperienze di gruppo, nelle quali la propria vicenda individuale si riflette, aderisce e talvolta discorda, in ogni caso trova significato. Si tratta dunque di un tentativo di racconto collettivo di una comunità locale su base generazionale nelle sue modificazioni lungo i decenni.

 

 

Immigrazione e inclusione

 

Proprio per la parsimonia con cui nel racconto sono dispensate le classiche informazioni biografiche, non pare inutile darne qui un breve cenno. Nato a Solofra in provincia di Avellino nel 1924 − ultimo (insieme a una sorella gemella) di cinque figli − Michele Lettieri si trasferisce a Bolzano nei primi anni Trenta per ricongiungersi al padre, sarto tagliatore presso l’Unione Militare. Abita prima in centro poi definitivamente in viale Venezia. A Bolzano frequenta l’intero percorso scolastico fino al diploma magistrale, al quale nel dopoguerra aggiunge da privatista quello scientifico. Studia quindi ingegneria a Napoli per tornare subito dopo a Bolzano, dove comincia a esercitare la professione specializzandosi in particolare nella statica del cemento armato. Sono gli anni della ricostruzione e il lavoro non manca. Dalla metà degli anni Cinquanta all’attività professionale comincia ad affiancare l’insegnamento negli istituti tecnici cittadini fino ad assumere definitivo servizio all’istituto per geometri. Nel frattempo comincia a progettare e presentare alle autorità competenti, statali e comunali, piani di sistemazione dei corsi d’acqua che attraversano la conca bolzanina col duplice obiettivo di migliorare la sicurezza e moltiplicare il verde urbano pubblico. Vincendo molte resistenze e coinvolgendo amministrazione cittadina e forze armate, nel 1970 è protagonista dell’avvio dell’ambizioso progetto di risistemazione del letto e del greto del Talvera, che – continuato negli anni seguenti dall’Azienda speciale Bacini montani nonché dalla Giardineria e dagli uffici comunali – porterà alla creazione dei famosi prati, il “polmone verde” della città.

Eccettuati gli anni degli studi universitari, Lettieri ha dunque trascorso pressoché l’intera vita a Bolzano, vedendola cambiare profondamente nell’aspetto urbanistico, negli assetti etnici, economici e sociali, nella quotidianità delle generazioni che si sono susseguite. Come consueto in questi casi, domina un sentimento di affettuosa elegia verso i “tempi andati”, ad esempio nel confronto con il freddo e anonimo benessere delle generazioni presenti. Eppure nessun passaggio del racconto si esaurisce in un passivo amarcord proprio in virtù della dimensione collettiva. Focalizzando la narrazione sulle percezioni generazionali di allora, i cambiamenti vengono accolti con la curiosità e l’aspettativa di chi intravede in essi nuove occasioni di incontro e di partecipazione. La voglia di “muoversi” e partecipare, insomma, risulta sempre più forte di qualunque compiacimento nostalgico.

Il fondamentale movimento dialettico di tutto il racconto compare sin dalla prima pagina e riguarda il processo di esclusione/inclusione. Di fronte alla compagnia di bambini sudtirolesi con cui gioca in piazza Stazione, il proprio status di forestiero – italiano, con “l’aggravante di essere un ‘terrone’ e per di più con uno spiccato accento dialettale” (cap. Il primo Natale in piazza Walther) − diventa lo stimolo per un crescente attivismo nella socializzazione, che peraltro sarà sempre facilitata proprio dalla sua estroversa “indole campana”. Il tema del radicamento è in generale uno dei più avvertiti nella memorialistica italiana in Alto Adige. Sullo sfondo del racconto non vi è solo il difficile processo di aggregazione di un gruppo linguistico recentemente immigrato e di varia provenienza (negli anni Trenta prevalentemente dalle regioni dell’Italia settentrionale), ma anche il rapporto con il gruppo tedesco. I contorni identitari di quest’ultimo si manifestano pienamente appena oltrepassati i confini dell’orizzonte bolzanino, nell’ambiente montano e valligiano. La lunga digressione sulle escursioni alpinistiche della maturità, che si registra a un certo punto del racconto sull’adolescenza (cap. Un terrone sulle Alpi), trova quindi una chiara spiegazione psicologica. Attraverso le conquiste alpinistiche − questa volta con la sola scorta dell’amico sudtirolese Luis Unterkircher (come vuole la sfida “aristocratica” dell’alpinismo) − il radicamento si estende definitivamente anche all’elemento identitario per eccellenza di questa terra: le montagne.

 

 Archivio Michele Lettieri

Le prime sciate sulle nevi altoatesine

 

 

Tempi anarchici e tempi organizzati

 

Anche nella prima parte, relativa agli anni più lontani nella memoria, le pagine richiamano concretamente personaggi, luoghi, aneddoti che restituiscono sprazzi di quotidianità vissuta. Da un lato il tempo libero, “anarchico”, trascorso tra i giochi e le bravate delle grenz, le “bande” di ragazzini che si spartivano i rioni cittadini. Dall’altro, in ottica simultanea, il tempo organizzato sotto l’insegna dell’onnipresente partito-regime, padrone incontrastato delle attività parascolastiche, ricreative e sportive. Estesa è la descrizione della liturgia dei sabati fascisti, delle adunate, parate e coreografie di balilla e avanguardisti, nonché delle attività svolte all’interno delle organizzazioni del partito fascista. Viene restituita in pieno la forza di attrazione che tutto questo esercitava sui giovani, soprattutto in una realtà sociale come quella di Bolzano negli anni Trenta. Diversificate e dotate di potenti mezzi, le strutture dell’Opera Nazionale Balilla (dal 1937 Gioventù Italiana del Littorio) e del Gruppo Universitario Fascista rappresentavano gli unici luoghi istituzionali di aggregazione e socializzazione giovanile come pure di esperienze altrimenti inaccessibili: dal soggiorno in colonie estive e invernali alla pratica di sport moderni, dalle attività tecniche a quelle artistiche.

Tutto ciò verrà ovviamente spazzato via dalla guerra e anche in questo campo il racconto registra un movimento dialettico. Nel dopoguerra il gruppo di giovani e meno giovani si sforza di ricostruire, coi pochi mezzi che trova, luoghi e strutture di aggregazione su imitazione di quelli in cui è cresciuto ma con lo spirito di una “riappropriazione” dal basso: “liberi di fare quello che più ci piaceva senza subire il truce sguardo del ‘caporale’ di turno” (cap. La palestra della ex GIL). Dalle attività organizzate e “inquadrate” dall’alto si passa all’associazione, che presuppone uno spirito di partecipazione e socializzazione del tutto nuovo. La sua prima manifestazione è nell’impresa di riattamento dai danni bellici della palestra “dove avevamo trascorso tanti pomeriggi incolonnati, inquadrati e pronti a ubbidire”, che vede il concorso volontario e creativo degli studenti, ciascuno secondo la propria “improvvisata” competenza: geometri, carpentieri, falegnami, manovali ecc.

 

 Archivio Michele Lettieri Bolzano

Durante la Staffetta del Ventennale (1942)

 

 

Tempesta e terremoto

 

Come per ogni generazione che ne è stata toccata, un grande rilievo hanno i ricordi della guerra. Il racconto parte dal clima entusiasta del giugno 1940 per passare ben presto alla percezione di un’incombente sconfitta, alle crescenti ristrettezze della vita quotidiana, al terrore portato “dentro casa” dai bombardamenti alleati che provocano un consistente sfollamento dal capoluogo. Il 25 luglio 1943, con la caduta di Mussolini, implode anche l’intero sistema di riferimento per chi nel Ventennio è nato e si è formato: “I più colpiti fummo noi fascisti in erba” (cap. Cade il regime). Il terremoto non solo fa crollare tutti i miti del regime ma rivela a un tratto anche la mediocrità del consenso su cui si fondavano. Lo stupore è rivolto soprattutto verso il comportamento dei “grandi”, quegli stessi che fino al giorno prima indottrinavano di “cultura fascista” e che si profilano ora tra i più infiammati iconoclasti. La “scottatura” ha effetti di lunga durata. Lo spazio lasciato vuoto dai miti calati dall’alto e miseramente crollati rimarrà tale anche in futuro. Qui sono le radici della diffidenza (se non vera e propria avversione) verso la “politica”, vocabolo che in tutto il racconto ricorre con esplicita accezione negativa quale fonte di strumentalizzazione e divisione.

Poco dopo arriva l’8 settembre 1943, che per Bolzano significa l’annessione al Reich nazista nella Zona d’operazioni delle Prealpi. Per i giovani bolzanini è il momento di drammatiche scelte, volontarie e no, influenzate da famiglia, amici, semplici circostanze. In un contesto storico di estrema polarizzazione, la divergenza dei percorsi assume particolare rilievo all’interno di una realtà sociale così piccola qual è il gruppo italiano dell’epoca a Bolzano. In un medesimo caseggiato si contano destini completamente opposti: chi si arruola volontario nella Repubblica Sociale, chi viene reclutato nelle forze armate germaniche, chi si schiera nelle file della resistenza. La sorte delle leve più giovani, invece, è generalmente il lavoro militarizzato nelle fabbriche bolzanine. Saranno loro, finita la tempesta della guerra, i primi a muoversi per ricucire i legami sociali sconvolti dalla guerra.

 

 Archivio Michele Lettieri Bolzano

Tessera dell’AGA/SJV (1946)

 

 

 

La breve epopea di un’associazione

 

È da queste tragiche premesse che prendono avvio i racconti sul dopoguerra, quelli maggiormente caratterizzati da toni conviviali e scanzonati. Dalla descrizione del contesto di miseria, distruzione e precarietà risalta la febbre di progettare che porta il gruppo di giovani a “inventarsi” nuove occasioni di socializzazione. L’Associazione Giovanile Altoatesina/Südtiroler Jugend Vereinigung (AGA/SJV), che raggiunge oltre duemila iscritti, rappresenta la realizzazione di un sogno: vi si compie il programma massimo di una partecipazione giovanile a tutto campo. Proprio al ricordo di quest’associazione vengono rivolte le pagine più affettuose. Le novità dell’impresa sono molte. In primo luogo vi è l’apertura all’altro gruppo linguistico che si manifesta nell’intitolazione bilingue, davvero inedita in un periodo (1946) di rigida separazione etnica. In secondo luogo, l’associazione raggiunge una dimensione “interclassista” grazie alla sua ramificazione territoriale che coinvolge i rioni operai e popolari. Gli sforzi sembrano ben presto indirizzarsi, oltre alla sfera ricreativa, anche a quella più ampiamente sociale, ad esempio con i corsi di recupero per chi ha interrotto gli studi a causa della guerra. La dialettica sociale tra studenti “ricchi” e “poveri” fa talvolta capolino nel racconto, con le stoccate, ora bonarie ora sarcastiche, nei confronti di “intellettuali” e snob. Nell’AGA/SJV, infine, si realizza il proposito di riunire varie classi d’età, dagli studenti medi a quelli universitari.

Le cause della crisi e il tramonto dell’esperienza vengono attribuite in toto alla “politica”, nella consueta accezione negativa, e precisamente alle pressioni esercitate dai partiti per strumentalizzare l’associazione: siamo nel pieno dello scontro tra le sinistre e la Democrazia cristiana, alla vigilia delle elezioni del 1948. Con una punta di rancore che gli anni non hanno sopito, viene stigmatizzato in particolare il tentativo dell’ala comunista dell’associazione (gli “intellettuali”) di impadronirsene con un colpo di mano.

 

 

 Archivio Michele Lettieri Bolzano

I goliardi impegnati in un “processo ai fagioli”

 

 

Un ostinato improvvisatore

 

La lenta trasmigrazione verso il Circolo Universitario Cittadino (CUC), nato in quello stesso torno di tempo, non può che apparire così come un ripiego, necessario ma malinconico, rispetto all’ampiezza programmatica dell’AGA/SJV. Composto da soli universitari, il CUC è più settoriale e “borghese” ma viene comunque vitalizzato dall’energica entrata degli “againi”. Abituati all’organizzazione e alla manovalanza, non si risparmiano nel lavoro di “formiche” − contrapposte agli “intellettuali” − sia per le iniziative di alta cultura (concerti, teatro) sia per le occasioni ricreative (gite, feste e balli). Come reazione a un certo clima di “ritorno all’ordine”, con l’avvicinarsi della fine degli studi esplode anche a Bolzano la stagione goliardica. Numerosi capitoli raccontano, con gustosi accenti epici, i retroscena di alcuni degli scherzi entrati ormai nella memoria cittadina.

È a questo punto, agli inizi degli anni Cinquanta, che il racconto collettivo e conviviale vero e proprio si conclude, non prima di un commosso elogio del tipo umano incarnato dal goliardo: “ostinato improvvisatore”, insofferente all’etichetta, capace di “passare dai bagordi e dalle baraccate alle azioni di impegno disinteressato”, ma soprattutto uno che tratta chiunque “allo stesso modo, potente o diseredato che sia: per lui ‘il diverso’ non esiste” (cap. Passare il testimone).

L’ultima e brevissima parte si apre col pensionamento, con un brusco salto di quasi mezzo secolo. Neppure di fronte alla legge anagrafica viene meno l’irriducibile voglia di fare e progettare coinvolgendo vecchie e nuove generazioni. Certo non è più la stessa cosa, i tempi sono cambiati, ma anche da queste pagine viene bandito il mero compiacimento nostalgico. Esse tornano a caricarsi di progettualità, creatività e determinazione quando vengono ripercorsi i retroscena della “folle impresa” che nel 1970/71 diede avvio alla risistemazione del letto del Talvera e alla trasformazione del suo greto nei famosi prati. Non è un caso che l’invenzione del luogo di incontro più importante di Bolzano si debba proprio a un ostinato improvvisatore, da sempre votato alla partecipazione e alla convivialità.

 

 Archivio Michele Lettieri Bolzano

Con gli studenti dell’Istituto Tecnico per Geometri

 

 Archivio Michele Lettieri Bolzano

Con i militari del Genio impegnati nei lavori sul Talvera (1971).

A sinistra di Lettieri l’allora capitano Rolando Ricci, direttore del cantiere.

 

Archivio Michele Lettieri Bolzano 

Mezzi militari in azione sul greto del Talvera (1970)

 

 

 

NOTE

 

1) Alberto Pasquali, Michele Lettieri, Gli anni ruggenti del C.U.C. (Circolo Universitario Cittadino), Bolzano 2006.

2) Si veda, ad esempio, la lunga serie di articoli memorialistici sul quotidiano “Il Mattino dell’Alto Adige”, cominciata il 18 novembre 2000.

3) Fra i tanti si ricordano la raccolta documentaria di Valeria Trevisan nonché l’intervista a cura di Giorgio Delle Donne (2005) per conto della Biblioteca Provinciale in lingua italiana “Claudia Augusta”, il documentario L’invenzione dei prati del Talvera: un sogno dell’ingegner Lettieri di Silvia Bolzoni (produzione Cineforum, Provincia autonoma di Bolzano – Centro Audiovisivi, 2000) e “Bolzano negli anni Trenta nei ricordi di Michele Lettieri” di Franz Oberkofler (2015) allegato al presente volume.

4) Autore peraltro di romanzi e ricerche a sfondo storico-sociale.