Tag der Autonomie
Giornata dell’autonomia
Dì dl’Autonomia
Convegno: Resistenza e Autonomia
Castel Tirolo – Sabato, 5 settembre 2015
Programma del Convegno
Estratto del film August auf der Flucht di Andreas Pichler
Elfriede Perathoner – Resistënza y autonomia: la dejuniun di ladins
Carlo Romeo – La resistenza italiana in Alto Adige e la questione sudtirolese
Stefan Lechner – Dableiber im Widerstand: Ziele und Folgen
Intervista registrata a Ludwig Steiner: una testimonianza
Intervento del presidente della giunta provinciale Arno Kompatscher
La Resistenza italiana in Alto Adige
e la questione sudtirolese
di Carlo Romeo
Il collegamento tra “Resistenza e Autonomia”, come suona il titolo di questa Giornata, si potrebbe inseguire attraverso diversi fili. Il più evidente risiede nel fatto stesso che la Resistenza è stata alla base della nascita della Repubblica italiana e della sua Costituzione, nella quale venne fissato il principio della tutela delle “minoranze linguistiche” (Art. 6), delle autonomie locali e del decentramento (Art. 5). Nella stessa Costituzione venne ancorato il primo Statuto d’Autonomia, che traduceva – pur in forme ancora insoddisfacenti − gli impegni presi con l’Accordo di Parigi e che oggi comprende la sua nuova elaborazione, e cioè il secondo Statuto di Autonomia del 1972.
Sotto un altro aspetto, si potrebbe parlare della presenza all’interno della Resistenza italiana di componenti che miravano, pur incontrando molto ostacoli, a un nuovo assetto regionalista: il federalismo propugnato soprattutto dal Partito d’Azione e il principio di sussidiarietà, vivo nella cultura cattolico-democratica.
Seguendo un’altra via, considerando la dimensione europea in cui si collocò l’Accordo di Parigi come soluzione negoziata e regolata di un conflitto etnico, il tema “Resistenza e Autonomia” può anche richiamare il contesto antifascista in cui nacque il Manifesto di Ventotene scritto da Altiero Spinelli e altri confinati nei primi anni ’40. Il loro sogno, di fronte alla catastrofe a cui avevano condotto i fascismi e i nazionalismi, era quello di una nuova Europa federalista che doveva nascere dalla lotta comune delle varie Resistenze nel continente.
Oggi vorrei però seguire una via meno astratta, più vicina a noi, e fare riferimento a un episodio storico, che può sembrare un dettaglio nell’ambito della storia militare e istituzionale, ma che ha uno straordinario valore politico e morale.
Ma prima due parole sul contesto.
Durante l’occupazione nazista il gruppo italiano in Alto Adige sperimentò un forte senso di isolamento e di minaccia etnica. Dentro a un generale atteggiamento di cauto “attendismo”, il tema della difesa del confine del Brennero fu ovviamente quello prevalente. Si sviluppò anche un movimento fascista clandestino che cercò di riprendere contatti con il fascismo della Repubblica di Salò.
La Resistenza italiana, come quella tedesca, fu un fenomeno minoritario ma proiettato verso scenari del tutto nuovi. La via scelta dai circoli della Resistenza fu quella di reagire all’isolamento collegandosi coi centri più vicini del movimento partigiano: Trento, Belluno, Verona, Padova, Milano.
Tra le sue file, composte da uomini e donne, si ritrova una varietà di posizioni ideologiche, di componenti sociali e culturali che rifletteva anche il quadro eterogeneo e possiamo dire frammentato del gruppo italiano in provincia. Vi era una forte componente comunista e socialista, rappresentata da un lato da intellettuali di estrazione borghese e dall’altro dalle cellule operaie soprattutto della zona industriale di Bolzano (in stretto contatto con i gruppi operai di Milano e Torino). Poi c’era una componente più elitaria, liberale e del partito d’azione, rappresentata da intellettuali, imprenditori, liberi professionisti. Infine una componente cattolica, con sacerdoti e laici che si rifacevano non solo alla tradizione del partito popolare ma anche alle istanze della neonata Democrazia Cristiana.
Per agire da centro di coordinamento, agli inizi del 1944 si formò il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) di Bolzano. Il suo fondatore e presidente era Manlio Longon, direttore amministrativo dello stabilimento Magnesio e rappresentante del Partito d’Azione. Il contesto territoriale escludeva la nascita di formazioni armate in provincia e per questo molti furono avviati nel vicino Trentino e nel Bellunese. Il CLN di Bolzano ospitò e collaborò con alcune missioni alleate, diffuse materiali di propaganda, aiutò in ogni modo gli internati del Campo di transito di Bolzano (organizzando persino delle fughe), progettò anche azioni militari come sabotaggi. Proprio uno di questi progetti fu scoperto e con esso l’intera rete del CLN. Nel dicembre 1944 quasi tutti i suoi membri furono arrestati, torturati e alcuni di loro uccisi, tra cui lo stesso Longon.
Prima che ciò accadesse, tra il settembre e l’ottobre del 1944, grazie a comuni conoscenze nell’ambito degli imprenditori della Zona industriale di Bolzano, Manlio Longon prese contatto con Erich Amonn. Quest’ultimo, che sarebbe stato tra i fondatori e primo presidente della SVP, oltre ad essere un esponente di spicco del mondo economico sudtirolese, era anche una delle personalità più note dei Dableiber. Agli incontri tra Amonn e Longon parteciparono alcuni rappresentanti del CLN locale e in un’occasione anche Enrico Serra, inviato da Milano a Bolzano da Ferruccio Parri, per conto del Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia.
I colloqui furono tre e vennero interrotti dall’arresto di Longon e di quasi tutto il CLN di Bolzano all’inizio del dicembre 1944. Di lì a poco, come già detto, Longon sarebbe stato ucciso negli scantinati del Corpo d’Armata di Bolzano, sede del Comando delle SS.
In questi colloqui, scrive Serra in un memoriale clandestino, si gettarono “le basi per una collaborazione anti-nazifascista e ci si trovò d’accordo su tutte le questioni locali. Quella dei confini non fu naturalmente toccata”. Ovviamente i rappresentanti dei due gruppi linguistici avevano aspirazioni nazionali contrastanti e del resto erano consapevoli che tale questione, a fine guerra, sarebbe stata decisa a livello internazionale.
Ma quali erano le posizioni del CLN di Longon riguardo agli sviluppi futuri della provincia? Tra i documenti del CLN clandestino che ci sono pervenuti, pochissimi sono quelli di contenuto politico. Di estrema importanza però è un memoriale che il CLN di Bolzano riesce a far arrivare al Ministero degli Esteri a Roma. Non ha data, ma è precedente al 16 novembre 1944. Corrisponde quindi proprio al periodo in cui si collocano i colloqui tra Longon e Amonn.
Questo memoriale, scritto certamente dallo stesso Longon, comincia sottolineando gli errori compiuti dal fascismo prima e durante le opzioni. Queste ultime sono definite come il frutto della «complicità fascista» a causa dell’atteggiamento indifferente tenuto dalle autorità nei confronti della propaganda nazista.
Poi il memoriale parla dell’occupazione nazista in Alto Adige, sottolineando che tra le sue vittime vi sono anche sudtirolesi. Infine riassume la posizione politica all’interno del CLN locale:
“Tutti sostengono il ritorno dell’Alto Adige all’Italia, con la concessione di molte liberalità ed autonomie amministrative alla popolazione alto-atesina, […] larga autonomia amministrativa e culturale nel complesso dello Stato italiano”.
Si chiede poi di stampare e diffondere in 500.000 copie (con aviolancio su tutto il territorio della provincia di Bolzano) un volantino bilingue che inviti tutta la popolazione alla lotta. E anche qui ci sono vari passaggi di significato politico:
“La fine di questa guerra segnerà la fine dell’oppressione nazifascista. Nessuno sarà più costretto a dimenticare la madre lingua, a lasciare la propria terra, e tutti potranno vivere secondo i loro usi e costumi professando liberamente la religione dei loro padri. Cesserà la imposizione di capi politici e amministrativi estranei alla regione”. E così via.
Ricapitolando: revisione delle opzioni, ristabilimento della lingua tedesca, autonomia. Le posizioni del piccolo e sfortunato CLN di Bolzano coincidono in nuce con lo spirito dell’accordo De Gasperi-Gruber, la Magna Charta dell’autonomia in cui viviamo.
A guerra finita in Europa scese la cortina di ferro della “guerra fredda”; nella nostra provincia quella di una specie di “guerra fredda etnica”. La questione dei confini, nelle mani degli Alleati, mobilitò i gruppi etnici come fronti contrapposti. Una delle conseguenze fu di rimuovere il confronto col proprio recente passato e di allontanare il momento della sua elaborazione. Ciascun gruppo si attribuì il ruolo di “vittima” assegnando all’altro quello di “carnefice”. E questo fu anche uno dei motivi per cui le due Resistenze, italiana e tedesca, non si incontrarono nel dopoguerra.
Proprio per questo, oggi, quei lontani colloqui segreti, quelle strette di mano tra Longon e Amonn assumono quasi il valore di un testamento politico e morale.
Di ciò era consapevole anche Hans Egarter, comandante dell’Andreas Hofer-Bund, quando accettò di celebrare la liberazione insieme ai partigiani italiani, con un articolo sul giornale “Il Nuovo Ponte”, del 25 aprile 1947.
L’accordo di Parigi era stato firmato l’anno prima. Di fatto era tramontata la battaglia per l’autodeterminazione, nella quale lo stesso Egarter si era impegnato con forza fino in fondo. Lo scenario ora era l’autonomia, dentro cui difendere la propria identità linguistica e culturale in una necessaria convivenza con gli altri gruppi. Il primo passo, scriveva Egarter, era quello di riconoscersi a vicenda, proprio in nome dell’antifascismo e antinazismo:
“La vostra lotta fu contro il fascismo, come per 20 anni la nostra. La vostra lotta fu contro il nazismo, come la nostra. Noi respingiamo ogni dittatura in qualunque forma. […] Il primo passo sta nel riconoscimento reciproco dei sacrifici compiuti”.
Parole che non hanno perso di attualità.