Autore: Emanuele Curzel

Rif. bibl.: Curzel, Emanuele, Le lingue e la storia a scuola, in «Trentino», 7 gennaio 2015

 

 

Lingue, identità e insegnamento della storia

 

Emanuele Curzel

(direttore di “Studi Trentini. Storia”)

 

 

Cent’anni fa, nelle aree di confine, le scuole erano trincee: bisognava costruire le proprie e impedire che il nemico consolidasse le sue. Le tradizioni linguistiche, storiche, storico-letterarie e storico-artistiche andavano fatte conoscere ai propri giovani e andavano difese nella loro purezza e nei loro significati identitari; tutto ciò era fondamento di un’azione volta a diffondere solidarietà verso l’interno della nazione e ostilità verso l’esterno di essa.

Nella seconda metà del Novecento si è usciti dai vicoli ciechi delle identità nazionali autoreferenziali, ottuse e aggressive grazie anche a una migliore conoscenza della storia, dell’arte e della letteratura altrui. L’apprendimento di più tradizioni linguistiche e culturali ha contrastato le tendenze autodistruttive e ha permesso la collaborazione a livello planetario, tanto più importante dal momento che le emergenze della nostra epoca richiedono, per essere affrontate, un coordinamento mondiale.

Questa introduzione serve a contestualizzare un breve ragionamento che parte dalla delibera della Provincia autonoma di Trento del 29 novembre scorso, con la quale è stato recepito il “Protocollo di intesa per lo sviluppo delle lingue”. Tale testo, superando le direttive nazionali, prospetta una scuola capace di essere trilingue. Il progetto è favorito da una robusta iniezione di denaro pubblico (36 milioni di euro per cinque anni, destinati in gran parte alla formazione degli insegnanti).

L’obiettivo è condivisibile. Eppure qualcosa non quadra. L’ente pubblico non si è limitato a esprimere un obiettivo cui la scuola pubblica dovrebbe attenersi, ma ha anche indicato un metodo: l’uso di una lingua straniera come veicolo per l’apprendimento di alcuni contenuti. Disgraziatamente si ha l’impressione che nella prassi, e non solo nella prassi, il rapporto sia rovesciato: il fatto che qualunque “disciplina non linguistica” possa venire insegnata almeno parzialmente in lingua straniera, a prescindere dalle sue caratteristiche peculiari, fa pensare che le materie siano considerate solo dei mezzi per un fine, l’apprendimento linguistico; una circolare prevede anzi che la parte contenutistica insegnata in quelle ore non entri nel programma d’esame di fine anno, come se non vi fossero nozioni e concetti da trasmettere agli studenti.

Può ben essere che le scienze possano venire proficuamente insegnate in una lingua straniera e che anzi sia utile impararne il lessico specifico usato a livello internazionale. Ma se si passa ad altre materie le cose si complicano. Che dire, soprattutto, della storia? Un secolo fa fondava l’appartenenza identitaria e disegnava il perimetro dell’appartenenza nazionale. Può diventare anch’essa veicolo dell’apprendimento di un’altra lingua? Certo, viviamo (per fortuna) in una dimensione politica e culturale meno asfittica rispetto a quella cent’anni fa. Però stiamo ancora parlando della disciplina che introduce i giovani alla conoscenza della dimensione collettiva, un presidio per un’identità civica improntata ai principi della Costituzione repubblicana. Davvero pensiamo si possa correre il rischio di far percepire quei contenuti come secondari rispetto alle conoscenze linguistiche, o che tali concetti si possano agevolmente insegnare in una lingua che non è quella materna?

L’evoluzione sopra descritta è motivo di particolare stupore se si pensa che nel 2006 le autorità provinciali hanno introdotto nelle scuole lo studio, obbligatorio, “della storia locale e delle istituzioni autonomistiche”. È come se improvvisamente fosse arrivato, nel 2014, un contro-ordine: la storia non è poi così importante, può essere un veicolo verso altre e diverse conoscenze. A meno che non si pensi che sia ovvio che in Trentino la storia possa o debba essere insegnata in una lingua diversa dall’italiano.

Il possibile utilizzo di una lingua straniera per insegnare la storia pone dunque qualche interrogativo. Non lo diciamo al legislatore, che ha già fatto le sue scelte. Lo diciamo ai docenti, i cui collegi saranno chiamati nei prossimi mesi a decidere, scuola per scuola, quali materie potranno essere insegnate in una lingua straniera nell’anno scolastico 2015-16. Sarebbe meglio riflettere prima di trasformare la storia in “veicolo” di qualcos’altro.