Autore – Carlo Romeo

Rif. bibl. – Romeo, Carlo, Storia contemporanea in provincia, in: «Il Cristallo. Rassegna di varia umanità», Centro di Cultura dell’Alto Adige, XLVI/3 (dic. 2004), pp. 83-87.

 

 

 

 

Storia contemporanea in provincia

 

di Carlo Romeo

 

 

 

Il convegno della SISSCO

 

Nel settembre 2004 Bolzano ha ospitato il convegno annuale della Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea (SISSCO), organizzato in collaborazione con il Gruppo di Ricerca per la Storia Regionale / Arbeitsgruppe Regionalgeschichte. La SISSCO (www.sissco.it) è un’associazione, nata nel 1990, che raccoglie quasi 600 fra docenti universitari, ricercatori e studiosi. Essa persegue l'obiettivo non solo di incrementare la rete di informazioni e di scambi tra gli specialisti, ma anche di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica sui problemi e sulle necessità del mondo della ricerca storica in Italia. Tra le diverse pubblicazioni che essa produce ogni anno, è da segnalare «Il mestiere di storico» (edito da Rubbettino), giunto alla sua quinta annata. Oltre ad una sezione di saggi, l’annale contiene la più ampia rassegna di recensioni di opere di storia contemporanea pubblicate in Italia (quest’anno ben 472). 
Il convegno annuale del 2004 non poteva avere tema più indicato per la sede prescelta: si è parlato, infatti, di «Confini / Grenzen», con un approccio interdisciplinare che ha fatto incontrare e dialogare storici, geografi, antropologi di prestigio internazionale. Tre erano le prospettive in cui si articolava il concetto del convegno, secondo rispettive sezioni/giornate: “Costruire”, “Attraversare”, “Rappresentare” i confini.
Sulla base degli esempi dell’Italia preunitaria (Marco Meriggi), della monarchia asburgica (Edith Saurer), degli Stati nazionali in Europa tra XIX e XX secolo (Rolf Petri), dell’Ucraina tra le due guerre (Timothy Snyder), tutta la prima sezione ha affrontato il problema della nascita e della costruzione dei confini, soprattutto in relazione alle spinte nazionali e alla ricerca di legittimazione di identità variamente elaborate. In ogni relazione, analizzando i processi di realizzazione formale dei confini (amministrativi, politici, statali/nazionali), se ne sono messe in luce anche le inevitabili contraddizioni, la loro provvisorietà e transitorietà storica.
Nella seconda sezione il concetto di confine è stato “attraversato”, partendo dalla dialettica tra cittadinanza e migrazione nell’esperienza italiana (Sandro Mezzadra e Emilio Franzina) sino ad arrivare ai “casi di studio” dell’Asia post-sovietica (Marco Buttino) e della mobilità all’interno del bacino del Mediterraneo (Ruba Salih).
Aperta ad un taglio più teorico, antropologico e quasi “filosofico”, si è rivelata la terza sezione (con Ugo Fabietti, Massimo Quaini, Alberto Banti e Rada Ivekovic), dedicata alla rappresentazione dei confini geografici, culturali, mentali, e che ha inevitabilmente toccato nozioni e categorie in continua ridefinizione, quali appartenenza, identità e alterità.   

 

 
Bombe e televisione

 

Notevole interesse in provincia ha suscitato la messa in onda (gennaio-febbraio 2005) delle sei puntate del documentario «Bombenjahre», prodotto dalla sede RAI in lingua tedesca di Bolzano (Sender Bozen) e realizzato da Christoph Franceschini e Helmuth Lechthaler. Ad accrescere la curiosità e l’aspettativa vi era stata, nei mesi precedenti, una notevole polemica; la diffusione del documentario era stata sospesa su indicazione degli uffici centrali della RAI. Questi ultimi erano stati allertati (su segnalazione partita da Bolzano) sull’opportunità di verificare che il documentario non fosse imputabile di tendenziosità e unilateralità. Il filmato è stato così sottoposto al giudizio di due storici (uno di lingua italiana ed uno di lingua tedesca, in modo “proportionally correct”), quindi integrato da qualche testimonianza italiana in più (oltre al giudice Martin, compaiono l’agente segreto Russomanno il giornalista Gandini e il politico Pietro Mitolo), e alla fine trasmesso, con risultati di audience altissimi.
Merito del lavoro (assai accurato e accattivante sotto il profilo cinematografico) è stato quello di documentare – per la prima volta in modo così ampio e diretto – la voce dei protagonisti di quelle azioni. Il documentario, infatti, si compone essenzialmente di interviste a coloro che operarono all’interno della rete del primo BAS (Befreiungsausschuss Südtirols, Comitato di liberazione del Sudtirolo). La prospettiva scelta è soprattutto quella “militare” e operativa. Vengono descritti con grande precisione di dettagli le riunioni, i piani, i contatti, la messa in atto degli attentati. Un discreto spazio è inoltre dedicato alle divergenze interne tra i vari gruppi, intorno alla natura e agli obiettivi della lotta. La “notte dei fuochi” rappresenta l’apice del successo del BAS, ma anche l’inizio della sua fine: seguono l’ondata di arresti, i duri interrogatori da parte delle forze dell’ordine, i casi di maltrattamento rimasti sostanzialmente impuniti.
Christoph Franceschini è un giornalista che da molti anni si è dedicato all’argomento, raccogliendo anche materiali sull’operato dei servizi segreti in Alto Adige, che compaiono spesso nel documentario. Molti contorni dello scenario di quelle vicende rimangono infatti ancora nascosti, anche se determinate ipotesi trovano ormai riscontri così numerosi da divenire storiograficamente probabili ed accettabili.
Il documentario «Bombenjahre» vuole rappresentare nel suo complesso una fonte di testimonianze sulla prima fase terroristica, utile per stimolare il confronto con pagine della storia locale su cui la storiografia ha ancora difficoltà di documentazione e interpretazione. La definizione della natura di questo documentario nonché dei suoi limiti cronologici e tematici è sufficientemente chiara e consapevole; bisogna evitare quindi che esso venga interpretato come un’elaborazione storica, organica e completa, sull’intero fenomeno terroristico sudtirolese degli anni Sessanta. Mancano, ad esempio, le prime bombe (del cosiddetto “gruppo Stieler”) e il «caldo 1956», fondamentali per capire il clima in cui viene a deteriorarsi l’ordine pubblico in provincia. Non approfondita risulta la rappresentazione del quadro sociale e politico in cui si collocano quelle scelte, come pure l’indicazione del percorso psicologico e ideologico dei protagonisti. Data la scelta di terminare (forse un po’ troppo bruscamente) la narrazione con gli esiti dei protagonisti sudtirolesi del BAS (morte di Amplatz), risulta minimo lo spazio dedicato alle successive fasi dell’attività terroristica, che sono tra l’altro le più cruente e che durano fino quasi alla fine degli anni Sessanta.
Anche grazie alla buona sceneggiatura e qualità cinematografica, il documentario ha avuto, come detto, un buon riscontro di pubblico, anche tra le giovani generazioni. «Bombenjahre» ha cominciato a interrompere il silenzio che per diverse ragioni, in primis politiche, ha dominato sinora su quegli anni (al di là del fugacissimo assordare della cronaca). Ciò segnala un’urgenza che riguarda quella particolare attività storiografica che è la divulgazione. 
Il tema del terrorismo sudtirolese degli anni Sessanta continua ad essere controverso, già nella definizione dei suoi protagonisti: «terroristi», «attivisti» o addirittura «combattenti per la libertà» (Freiheitskämpfer). A dividere è anche la valutazione del “peso storico” degli attentati, distinti in varie fasi che si susseguono lungo quasi tutto il periodo di gestazione del Pacchetto. È saldamente radicata, in alcune fasce dell’opinione pubblica locale, l’idea che la scelta di quella forma di lotta sia stata necessaria al raggiungimento dell’autonomia provinciale. In altre parole, senza il clamore suscitato da quelle azioni, il governo italiano non si sarebbe visto “costretto” ad aprire la fase delle trattative e, alla fine, a concedere la seconda autonomia. Questa è la tesi portata avanti da tutta una serie di pubblicazioni di tipo “apologetico” (biografie, pamphlet, memorialistica), edite sia in Alto Adige che in Austria e Germania. Nel segno di questa interpretazione alcune associazioni (fra cui il Südtiroler Schützenbund) organizzano campagne di mobilitazione in ricordo dei “combattenti per la libertà”, di cui la più importante è l’annuale commemorazione di Sepp Kerschbaumer (San Paolo d’Appiano, 8 dicembre). A ciò bisogna aggiungere l’estrema sensibilità verso questi temi che persiste in quelle centinaia di persone che sono state coinvolte direttamente dalle vicende di quegli anni. Una sensibilità che si trasmette ulteriormente alla cerchia di parenti, conoscenti, simpatizzanti e si esprime in un malcelato rancore nei confronti della classe politica “ufficiale” sudtirolese. Secondo questa interpretazione infatti, proprio gli esponenti SVP saliti al governo della ricca autonomia provinciale grazie al “sacrificio” degli attivisti si sarebbero poi dimostrati cinici e indifferenti riguardo al loro destino, non impegnandosi abbastanza per difenderli e disconoscendo il loro ruolo.
Da un punto di vista storiografico le cose sono ovviamente più complesse. Da un lato sono evidenti gli effetti avuti dalla Feuernacht nel porre (almeno per qualche mese) la questione sudtirolese al centro dell’attenzione internazionale, come pure nell’avvio della «Commissione dei 19». Dall’altro lato, tutte le successive fasi del fenomeno terroristico sembrano invece aver avuto l’effetto di ritardare il Pacchetto (che era sostanzialmente già pronto nel 1964), deteriorando i rapporti italo-austriaci. Questa è la tesi dello storico Rolf Steininger nella sua ponderosa opera, in tre volumi, Südtirol zwischen Diplomatie und Terror 1947-1969 (Bolzano 1999-2000). Vanno tenuti inoltre sempre presenti anche gli obiettivi programmatici e ideologici degli attentati, il cui fine manifesto era la secessione e non l’autonomia.

 

 
Il cinquantenario degasperiano

 

Lungo tutto il 2004 è stato serrato il ritmo delle iniziative in occasione del cinquantenario della morte dello statista Alcide De Gasperi. Il momento più “istituzionalmente” rappresentativo ha  coinciso col convegno romano «Un discorso sull’Europa: De Gasperi tra passato e presente», organizzato in maggio dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, dalla Fondazione Alcide De Gasperi e dall’Istituto Luigi Sturzo, col patrocinio del Presidente della Repubblica.
Una vera e propria “rete” di appuntamenti è stata organizzata in Trentino, terra d’origine di De Gasperi. Data l’ampiezza e la varietà degli interessi richiamati dalla sua figura, ciascun convegno ha opportunamente selezionato ed approfondito un proprio ambito. Sulla sua dimensione europea e sul ruolo di precursore dell’unità del vecchio continente, l’Istituto Trentino di Cultura ha incentrato «Alcide De Gasperi: una storia europea». Alle radici trentine e asburgiche di De Gasperi, consigliere comunale a Trento e poi deputato al Reichsrat di Vienna, è stato dedicato il convegno «Alcide De Gasperi e la municipalità di Trento» (Museo Storico in Trento e Comune di Trento). L’azione di politica interna del leader democristiano nel secondo dopoguerra è stata il tema del convegno organizzato dalla Facoltà di Sociologia dell’Università di Trento, «De Gasperi e l’Italia degli anni ’50: tra ricostruzione e modernizzazione». Agli aspetti di politica estera dello stesso periodo è stato rivolto invece «De Gasperi e l’inizio della Guerra Fredda» (Comune di Borgo Valsugana). La percezione all’estero della figura dello statista è stata affrontata in «Alcide De Gasperi e la storiografia internazionale: un bilancio» (Società di Studi Trentini di Scienze Storiche). Tra numerose altre iniziative, vi è stata anche occasione di approfondire l’attività giornalistica del politico: «Alcide De Gasperi comunicatore, giornalista cattolico» (Accademia roveretana degli Agiati).
È da segnalare inoltre che la Provincia Autonoma di Trento ha assunto la decisione di promuovere la prima edizione critica dell’Opera omnia degasperiana. L’iniziativa, sotto la direzione scientifica di Paolo Pombeni, predeve quattro volumi di Scritti e discorsi politici, riguardanti rispettivamente: il Trentino asburgico (fino al 1919), il periodo popolare e il ventennio fascista (1919-1943), la fondazione della democrazia italiana (1943-1948) e la prima fase della Repubblica (1948-1954).