Autore: Andrea Sarri

Rif. bibl.: Sarri, Andrea, La “giudaica perfidia”, in «Alto Adige. Corriere delle Alpi»©, 19 nov. 20124

 

 

 

La “giudaica perfidia”

Gli stereotipi antisemiti analizzati da Daniele Menozzi

 

di Andrea Sarri

 

L’antisemitismo è un fiume carsico. Scompare e ricompare, soprattutto in epoche di crisi economica come quella odierna, riciclando pregiudizi che affondano le loro radici in un lontano passato. Nell’ultimo saggio di Daniele Menozzi – docente di storia contemporanea presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e studioso del rapporto chiesa-società – viene indagato il particolare nesso esistente tra liturgia cattolica e costruzione della mentalità antigiudaica nella storia europea. 

Nel 1570, poco dopo la conclusione del Concilio di Trento (1545-1563), papa Pio V uniformò la disciplina liturgica per tutta la chiesa cattolica emanando il Missale romanum. Per quattrocento anni, fino alla nuova edizione del messale voluta da papa Giovanni XXIII nel 1962 (poi perfezionata da Paolo VI nel 1970), tutti i fedeli della chiesa di Roma nella liturgia del venerdì santo, nella quale si commemorano passione e morte di Gesù, così venivano invitati a pregare: “Preghiamo anche per i perfidi giudei, perché il nostro Dio e Signore tolga il velo dai loro cuori e anch’essi riconoscano Gesù nostro Signore. O Dio onnipotente ed eterno, che non respingi nemmeno la giudaica perfidia dalla tua misericordia, ascolta le nostre preghiere che ti presentiamo per quel popolo accecato, affinché, riconosciuta la luce della tua verità, che è Cristo, siano strappati dalle loro tenebre”.

 

Daniele Menozzi

“Giudaica perfidia”. Uno stereotipo antisemita fra liturgia e storia,

Il Mulino 2014, pp. 247, euro 22,00

 Daniele Menozzi, Il Mulino 2014

 

Sebbene la parola “perfidia” fosse estranea al linguaggio evangelico, non si trattava in verità di una novità: fin dall’età tardoantica la riflessione teologica cristiana era infatti caratterizzata da una forte ostilità nei riguardi degli ebrei, il “popolo deicida”. Posto che in termini netti l’antisemitismo fu “deplorato” dalla chiesa cattolica soltanto con la dichiarazione Nostra Aetate, promulgata nell’ottobre 1965 in chiusura del Concilio Vaticano II (1962-1965), occorre allora interrogarsi sulla funzione svolta dalla liturgia – mezzo decisivo di pedagogia religiosa e manifestazione autentica della dottrina della chiesa – nella diffusione del pregiudizio antiebraico durante gli ultimi quattro secoli di storia europea, culminata con gli esiti tragici della Shoah novecentesca (tema di cui si è occupato su questo giornale Giorgio Jellici il 9 novembre scorso).

Il libro di Menozzi ripercorre accuratamente il faticoso percorso, avviato nel mondo cattolico a partire dal tardo Settecento, volto a cancellare dal rito liturgico un sostantivo ed un aggettivo che contribuirono – come scrisse dopo la seconda guerra mondiale lo studioso ebreo Jules Isaac – a consolidare nel tempo “l’insegnamento del disprezzo” promosso dalla chiesa verso l’ebraismo. Fino alla svolta impressa da papa Giovanni tutti i tentativi riformatori fallirono, compresi quelli organizzati negli anni Venti del Novecento dalla Società degli Amici di Israele e condannati nel 1928 dalla Congregazione vaticana del Sant’Uffizio. Quest’ultima sciolse l’associazione (alla quale avevano aderito 200 tra arcivescovi e vescovi e circa 3000 sacerdoti), ritenendola più o meno consapevole complice, scrive Menozzi, “di quel complotto ordito dalle forze sataniche, operanti nel mondo moderno, nemico irriducibile della chiesa, per infiltrarsi al suo interno e distruggerla”.

E oggi, nella chiesa di papa Bergoglio e a più di cinquant’anni dalle riforme liturgiche, come stanno le cose? Il libro di Menozzi si sofferma analiticamente sui pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, mettendo in rilievo alcune ambiguità del loro magistero. Papa Wojtyla, nel tentativo di recuperare la comunità tradizionalista dei lefebvriani (scomunicati comunque nel 1988), consentì loro di celebrare messa con il messale del 1962, che conservava ancora elementi antigiudaici. Papa Ratzinger d’altro canto nel 2007 concedeva ai tradizionalisti l’uso del messale preconciliare, affermando che “ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande”. Ecco la questione che secondo Menozzi resta tutt’oggi aperta: essendo secondo Ratzinger il ritorno al sacro il più efficace antidoto ad una secolarizzazione capace di disgregare la chiesa e la società civile, saprà invece papa Francesco, alieno da ogni simpatia per il culto preconciliare e attento al dialogo fraterno con il mondo ebraico, riprendere il cammino di rinnovamento aperto da Giovanni XXIII? Saprà farlo anche sciogliendo i nodi fra liturgia ed antisemitismo, che hanno segnato in profondità il rapporto della chiesa con il mondo moderno?