Autore: Stefano Barbacetto

 

Rif. bibl.: Barbacetto, Stefano, Bosc das danas, I premio della sezione friulana del concorso "N. Tracanelli" di San Michele al Tagliamento, II edizione (2007); Not dai muarts, Premio della giuria popolare del concorso di poesia della Pro loco di Pasian di Prato (2009).

 

 

 

DUE SONETTI IN FRIULANO CARNICO

DI STEFANO BARBACETTO

 

 

 

 

  [Bosc das danas]

 

Si tu spias, cuantche a plûf, il Bosc das danas

tu jôts framieç a jevâ la fumata

freda e lisera, che cumò a plata

e cumò a mostra las plantas lontanas.

 

Ma fûr di jê, e das agas ploianas,

ce che al conoŝ il to voli nol cjata:

ogni ramaç al samea una çata

o un braç dal orcolat o das aganas,

 

ogni zimâl al samea un cerneli.

Al sofla il vint enfra las daŝŝas neras

cun vôs di sum, tantche i riguarts di un vieli.

 

In tar chel nûl, come se al fos un spieli,

tu pos conoŝŝi las tôs poras vieras,

fin che a nol torna il lusôr dal soreli.

 

[2004 o 2005] I premio della sezione friulana del concorso "N. Tracanelli" di San Michele al Tagliamento, II edizione (2007)

 

Traduzione

 

[Bosco degli abeti]

 

Se osservi, quando piove, il “Bosco degli abeti bianchi” / vedi levarvisi in mezzo la nebbia / fredda e leggera, che ora nasconde / ed ora mostra le piante lontane./

Ma all’infuori di lei, e delle acque piovane / ciò che conosce il tuo occhio non trova: / ogni ramo sembra una grinfia / o un braccio dell’orco o delle aquane,/

ogni cimale sembra una fronte./ Il vento soffia tra le fronde nere / con voci di sogno, come i ricordi di un vecchio. /

In quella nube, come se fosse uno specchio / puoi riconoscere le tue paure antiche / finché non torna la luce del sole.

 

Note

 

Dana è parola germanica (tedesco Tanne) usata in Carnia per quello che altrove in Friuli è detto avedin, cioè l’abete bianco. Bosc das danas, in particolare, è il nome del bosco che vedo dalla mia finestra in Cjampei di Ravascletto. Orcolat, come tutti i friulani sanno, è il personaggio leggendario dell’orco; le aganas (che provo a tradurre con “aquane”) sono figure femminili dagli aspetti sfuggenti, legate alle acque, ai boschi e alle rocce, talvolta bellissime e prodighe d’aiuto, più spesso malevole ed orride d’aspetto.

Daŝŝa, altra parola germanica, è la fronda verde delle aghifoglie; lusôr, infine, è d’uso comune per il “lucore” o, più semplicemente, per la “luce”.

Ho usato il dialetto carnico di Zovello. Per facilitare la lettura ai parlanti altre varietà non ho usato le trascrizioni ssj e sj, previste dalla grafia unificata per il suono dell’italiano scena (che ho trascritto con ŝ) e per quello della j francese (come in lusôr), che non compaiono nel friulano comune.

Il linguaggio del sonetto è del tutto quotidiano, con l’eccezione, forse, di vieli e vieri, usciti dall’uso attivo nel corso del XX secolo, ma ancora compresi dai parlanti.

Stefano Barbacetto

 

Bosc de Danas (S.B.)

 Bosc de Danas (foto Stefano Barbacetto)

 

*****

 

 

[Not dai muarts]

 

  Ai jevaran cul sunâ das cjampanas

e ai tornaran a rezi i anemâi.

Tu ’u sintarâs, daûr das paradanas

fraidas che a son restadas dai lôr stâi.

 

  Ai ŝi inviaran, fermantŝi das fontanas

secjas, pal bosc, a martorâ pai viâi

las taias taponadas das montanas;

pai prâts che a no ’i son âti, a spandi i pâi

 

  dal ultin artigûl ta lûŝ da luna.

Ai passaran tantche flât di zilugna;

come ogni an, a ur laŝŝa la furtuna

 

  nome una not par che ai torni al lavôr.

E se tu, vîf, tu sês di via, a bisugna

che tu ti cêssis: vuê la strada a è lôr.

 

[2008] Premio della giuria popolare del concorso di poesia della Pro loco di Pasian di Prato (2009)

 

Traduzione

 

[Notte dei morti]

 

S’alzeranno col suono delle campane / e torneranno a curare il bestiame./ Li sentirai, dietro alle pareti di legno / marcite, rimasugli delle loro stalle./

S’avvieranno, fermandosi alle fontane / disseccate, per il bosco, a condurre per i canaloni / i tronchi ricoperti dalle alluvioni; / per i prati che più non esistono, a spargere dai pali /

l’ultimo fieno alla luce della luna./ Passeranno come fiato di brina;/ come ogni anno, la sorte lascia loro /

solo una notte per tornare al lavoro./ E se tu, vivo, sei in cammino, bisogna / che tu ti faccia da parte: oggi la strada è loro.

 

Note

 

Rezi (pronuncia “régi”) indica la cura quotidiana del bestiame, particolarmente delle vacche, anemâi per antonomasia; le paradanas sono le pareti lignee degli stâi, ossia degli “stavoli”, stalle-fienili dispersi per i prati e ora di sovente ridotti a ruderi. Martorâ significa far scivolare a valle i tronchi d’albero, sezionati in varie pezzature (la più comune è la “taglia”, friulano taia), lungo i canaloni naturali chiamati viâi; le montanas sono le piogge alluvionali (temuta, in particolare, è nel mese di novembre la cosiddetta montana dai Sants). I pâi (dal fen) sono i pali muniti di assicelle trasversali su cui si ripone, per la notte e le giornate piovose, il fieno non ancora del tutto asciutto, affinché il contatto con l’umidità del suolo non lo faccia marcire; spandi è l’attività di spargerlo al suolo, per finirne l’essiccazione, non appena la luce del giorno abbia asciugato la rugiada. Artigûl, infine, è il fieno di secondo taglio, più fino e meno nutriente del fen.

 

In Carnia, come altrove, è diffusa la convinzione che nella notte tra il primo ed il due di novembre le anime dei defunti abbandonino i cimiteri per chiedere in processione la remissione dei propri peccati, per visitare i luoghi della propria esistenza nonché, come consueto per i fantasmi, per cercare di ultimare le cose incompiute in vita. Per questo motivo, e per più oscure ragioni apotropaiche, le campane delle chiese erano suonate a distesa dai vespri sino all’alba. Tra le tradizioni che circondano questa notte v’è anche quella per cui i viandanti debbano cedere il passo ai defunti, camminando sul margine della strada.

Stefano Barbacetto

 

 

L’AUTORE

 

Stefano Barbacetto, classe 1973, insegnante nella scuola superiore. Nel cassetto un'abilitazione da professore associato di Storia del diritto medievale e moderno. È nato e vive a Bolzano, verseggia nel linguaggio degli avi paterni: nel friulano carnico di Zovello.