Le peculiarità del Kulturkampf ottocentesco in Italia (da un lontano convegno comparativo)

 

carloromeo.it 

Caricatura anticlericale raffigurante una delle fatiche di Ercole-Garibaldi:

l’«eroe dei due mondi» abbatte gli uccelli (i preti) che oscurano il sole.

 

 

Autore: Carlo Romeo

Riferimento bibliografico: Romeo, Carlo, Il “Papa re” e il Risorgimento. Immagini di Kulturkampf in Italia. In: Gustav PFEIFER / Josef NÖSSING (Hrsg / a cura di), Kulturkampf in Tirol und in den NachbarländernAkten des Internationalen Kolloquiums des Tiroler Geschichtsvereins (Sektion Bozen) im Kolpinghaus Bozen, 9. November 2012, Innsbruck: Universitätsverlag Wagner, 2013, pp. 83-104.

 

Kulturkampf 

 

INDICE

Il caso italiano

Ferrovie e inferno: il Papato nella Restaurazione

«Viva Pio IX!»: la breve illusione neoguelfa

Di fronte alla guerra: la svolta del 1848

«Dio e Popolo»: la Roma di Mazzini

«Libera Chiesa in libero Stato»: il Kulturkampf sabaudo

«Erunt mala super mala»: la maledizione sui Savoia

Il «malgoverno del Papa» di fronte all’Europa

Il caso Mortara

Il Papa prigioniero e “infallibile”

L’«anticoncilio» di Napoli

Roma città dello scontro

Balletti, istruzione e massoneria

La conquista dello spazio pubblico

Monumenti e polemiche

«Né eletti né elettori!»

Letteratura e anticlericalismo

 

 

Il “Papa re” e il Risorgimento

Immagini di Kulturkampf in Italia

 

di Carlo Romeo

 

 

Il caso italiano

 

La nozione di Kulturkampf è stata poco usata nella storiografia italiana e in genere circoscritta geograficamente (all’area tedesca, in particolare al Reich) e cronologicamente (agli anni ’70 dell’Ottocento). Già all’epoca la maggior parte dei liberali italiani ponevano nette distinzioni tra ciò che avveniva in Germania e la situazione italiana. La “lotta per la civiltà” scatenata da Bismarck veniva presentata con caratteri di durezza e di antagonismo così radicali da non poter essere paragonata al caso italiano. Il conflitto tra il processo risorgimentale e unitario e la Chiesa veniva limitato ad una sfera per così dire “politica”, mentre venivano relativizzati i suoi aspetti culturali e valoriali. Il cattolicesimo in sé non veniva ritenuto, se non da alcune correnti soprattutto democratiche e radicali, elemento “nemico” della nuova identità nazionale da costruire; la lotta era stata rivolta contro il potere temporale del papato e verso raggiungimento dell’unità con l’annessione di Roma.

A sostegno di questa linea interpretativa si è spesso sottolineato l’orientamento sostanzialmente moderato che col tempo si fece strada nella politica ecclesiastica dei governi postunitari. Accanto alle misure di controllo da parte dello Stato (che estendevano al nuovo regno quelle già messe in atto nel Piemonte-Sardegna), si impose ben presto un atteggiamento volto alla conciliazione. Esso era dettato non solo da fattori diplomatici ma anche da considerazioni di politica interna; la persistenza dell’influenza della Chiesa sulle masse popolari costituiva un elemento positivo rispetto alla virulenza con cui, verso la fine del secolo, si affacciavano anche in Italia la questione sociale e i fermenti rivoluzionari.

A differenza della situazione germanica, in cui i cattolici erano rappresentati politicamente nel Zentrum, la vita parlamentare italiana ne registrò per circa mezzo secolo l’assenza. Da un lato, il sistema elettorale italiano escluse per lungo tempo ampie fasce della società (il suffragio universale maschile è del 1913). Dall’altro, le conseguenze della questione romana avevano portato al non expedit riguardo alla partecipazione dei cattolici alla vita politica di uno Stato “usurpatore” della sovranità della Chiesa. Un’ulteriore fondamentale differenza risiede nel monopolio confessionale da parte del cattolicesimo in Italia, a fronte della compresenza del protestantesimo in Germania.

Pur con tutte queste necessarie distinzioni rispetto alla situazione germanica, alcuni recenti studi  ̶  tra cui va citato almeno quello di Manuel Borutta (1)  ̶  hanno mirato ad ampliare la nozione del Kulturkampf in senso transnazionale, considerandolo un fenomeno europeo e, anzi, uno degli elementi costitutivi del liberalismo europeo ottocentesco. Utilizzando gli strumenti della comparazione tra gli sviluppi nei diversi Paesi (Svizzera, Italia, Germania, Austria etc.) nonché l’analisi delle singole realtà regionali, emergono meglio, accanto alle distinzioni, anche le linee comuni. La lotta condotta lungo tutto l’Ottocento dal liberalismo europeo mira a comuni obiettivi: centralità dello Stato nazionale e separazione tra Stato e Chiesa, tra sfera politica e religiosa, tra dimensione pubblica e privata. E questa lotta transnazionale attinge a immagini e modelli comuni nel rappresentare la Chiesa cattolica come “corpo estraneo” rispetto alla modernità. È indubbio che l’anticlericalismo abbia costituito un elemento non trascurabile anche della cultura risorgimentale italiana.

Questo contributo si limiterà a un elenco di immagini e di snodi che accompagnarono e segnarono il processo unitario italiano, quali vennero fissati dalla propaganda cattolica e dalla letteratura (lato sensu) risorgimentale e nazionale.

 

 

Ferrovie e inferno: il Papato nella Restaurazione

 

Nella prima fase del processo risorgimentale (1815-1848) l’immagine della Chiesa appare strettamente connessa alla deprecata “restaurazione” dell’ordine antico. I moti del 1820/21 e del 1830/31, le varie cospirazioni carbonare e poi mazziniane coinvolgono a più riprese territori dello Stato Pontificio. Il momento più eclatante è la proclamazione, il 26 febbraio 1831, del «Governo delle Province Unite», che comprendeva le terre pontificie liberate dagli insorti. Le armi austriache riportano rapidamente l’ordine e il governo pontificio procederà a una serie di carcerazioni ed esili.

Contestualmente viene diffusa sempre più  ̶  anche dagli osservatori esteri  ̶  l’immagine dell’arretratezza del Regno Vaticano, sotto il profilo giuridico, civile, economico e tecnologico. Nell’aprile 1831 gli stessi ambasciatori di Austria, Prussia, Russia, Inghilterra e Sardegna, incaricati dai rispettivi governi, elaborano un comune memorandum di proposte di riforme da sottoporre al Papa per rendere più stabile la situazione del suo regno. Le proposte vengono respinte dal pontefice che le qualifica come un’indebita ingerenza.

Nel clima dell’ultramontanismo, alcune posizioni e atteggiamenti del Papato facilitano tale caratterizzazione, soprattutto sotto il lungo pontificato di Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari, 1831-1846), la cui elezione è stata fortemente sostenuta da Metternich. L’enciclica Mirari vos (15 agosto 1832) condanna i cosiddetti “cattolici liberali” francesi (Lamennais). Alla base vi è la negazione della necessità stessa di una “rigenerazione” della Chiesa: «Appare chiaramente assurdo ed oltremodo ingiurioso per la Chiesa proporsi una certa ‘restaurazione e rigenerazione’, come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento, quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad oscuramento o ad altri inconvenienti di simil genere».

Allo stesso modo vi è negata la ragione di fondo per la libertà di coscienza («il delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato»).

Ugualmente viene esecrata la libertà di stampa che porta alla diffusione di «stravaganti» dottrine attraverso una «sterminata moltitudine di libri, opuscoli e scritti». Alla condanna della separazione fra Stato e Chiesa si abbina inoltre la riaffermazione del dovere di sottomissione ai sovrani legittimi.

La propaganda anticlericale trarrà molti spunti anche dalle posizioni di Gregorio XVI riguardo al progresso tecnologico. Basti pensare al suo atteggiamento negativo nei confronti della ferrovia, che rimarrà lungo tutto il secolo il simbolo dei “tempi nuovi”. Secondo il Pontefice, la ferrovia accresce il pauperismo, danneggia i commercianti, compromette la sicurezza degli Stati e la sicurezza interna, facilita il contrabbando e l'introduzione di merci estere. (2) «Chemin de fer, chemin d’enfer» («La ferrovia è la via per l’inferno») è il distico attribuito al pontefice.

 

 Pio IX

 

Pio IX durante l’ultimo periodo del suo lungo pontificato.

 

 

“Viva Pio IX!”: la breve illusione neoguelfa

 

Dopo un pontificato caratterizzato da queste chiusure, nel 1846 viene eletto Giovanni Maria Mastai Ferretti, che col nome di Pio IX reggerà il soglio pontificio fino al 1878. Già in fama di vescovo “liberale”, nomina una Consulta di Stato, proclama l’amnistia per reati politici, apre il ghetto ebraico e limita la censura sulla stampa. Il nuovo pontefice promuove anche una Lega doganale tra gli Stati italiani.

Da un punto di vista tecnologico, il nuovo corso viene segnato dall’inizio delle costruzioni ferroviarie nello Stato pontificio. Nel 1846 nasce la «Commissione per le Strade Ferrate dello Stato di Sua Santità» e il progetto della «Strada Ferrata Pio Centrale» (Roma-Ancona). Due anni dopo è avviato il progetto della ferrovia Roma-Frascati (ultimata nel 1857). Anche lo Stato pontificio, dunque, ha i suoi treni.

Le caute aperture di Pio IX al movimento di unificazione e il suo atteggiamento di resistenza all’Austria tenuto in occasione degli incidenti di Ferrara (luglio/agosto 1847) accrescono la popolarità del “Papa liberale” dando origine a clamorosi fraintendimenti e strumentalizzazioni persino da parte dei repubblicani più accesi. Lo stesso Mazzini si rivolge da Londra al pontefice invitandolo a «compiere la missione che Dio v’affida», cioè rinunciare alla sovranità temporale e unificare l’Italia. (3) Dal Sudamerica Giuseppe Garibaldi comunica (al nunzio apostolico a Rio de Janeiro) di essere a disposizione insieme agli esuli italiani per la riscossa italiana guidata dal pontefice.

Sembra per un breve momento realizzarsi la teoria di Vincenzo Gioberti, il sacerdote piemontese che con l’opera Del primato morale e civile degli italiani (1843) ha rappresentato le istanze del neoguelfismo, abbinando “riscossa” cattolica e nazionale. È l’idea opposta alla constatazione di Machiavelli: ai seguaci di Gioberti la Chiesa non appare come un ostacolo all’unificazione, ma anzi come l’istituzione che ha tutelato e tramandato nei secoli la parte migliore dell’identità italiana. Come per i cattolici liberali, anche per Gioberti la Chiesa è capace di autoriformarsi e addirittura di guidare il movimento di unità nazionale.

Un grande ruolo in questa corrente di pensiero avrà il filosofo roveretano Antonio Rosmini, che con le gerarchie vaticane avrà numerosi problemi per la chiara analisi con cui esporrà la necessità di un rinnovamento (Delle cinque piaghe della santa chiesa, 1848).

 

Rosmini

 

L’abate Antonio Rosmini ritratto da Francesco Hayez.

 

 

Di fronte alla guerra: la svolta del 1848

 

Nella figura di Pio IX si concentra la tragicità dello scontro epocale in atto. Nella bufera delle rivoluzioni del 1848, il pontefice si adegua alla travolgente richiesta di riforme, seguendo l’esempio degli altri principati italiani. Il 14 marzo 1848 viene emanato lo «Statuto Fondamentale pel Governo Temporale degli Stati della Chiesa». A fine marzo del 1848, scoppiata la guerra tra Piemonte e Austria, Pio IX non ostacola la partenza di un corpo di spedizione in Lombardia. Le sue «benedizioni all’Italia» contribuiscono ad alimentare equivoci, mentre dai cattolici austriaci giungono forti segnali di malcontento.

Per capire quelli che sotto il profilo politico appaiono senz’altro atteggiamenti di indecisione, bisogna considerare non solo il contesto di forte pressione da parte della stessa cittadinanza romana, ma anche la particolare vocazione di Pio IX; un papa che di per sé sarebbe più interessato alla missione pastorale e spirituale piuttosto che al proprio ruolo di sovrano temporale, per espletare il quale non esita a sperimentare formule nuove. Ma di fronte al conflitto armato e alle richieste da parte di Carlo Alberto di Savoia di una sorta di “benedizione” alla guerra di indipendenza (quasi come una “crociata”), la risposta di Pio IX non può che essere l’affermazione dell’universalità della Chiesa: «Fedeli agli obblighi del nostro supremo apostolato, Noi abbracciamo tutti i Paesi, tutte le genti e Nazioni in un istintivo sentimento di paterno affetto» (Allocuzione al Concistoro del 29 aprile 1848).

È la rottura, imposta dagli eventi, con il processo risorgimentale. Ad affrettare questo corso sono gli sviluppi della situazione romana, con i disordini che portano all’uccisione del neoministro Pellegrino Rossi. Incapace di trovare soluzioni, minacciato nella sua stessa libertà e sicurezza, il pontefice abbandona di nascosto Roma e si rifugia nel Regno delle due Sicilie.

 

 

«Dio e Popolo»: la Roma di Mazzini

 

«Roma era il sogno de’ miei giovani anni, l’idea-madre nel concetto della mente, la religione dell’anima; v'entrai, la sera, a piedi, sui primi del marzo [1849], trepido e quasi adorando. Per me, Roma era - ed è tuttavia malgrado le vergogne dell'oggi - il Tempio dell’umanità; da Roma escirà quando che sia la trasformazione religiosa che darà, per la terza volta, unità morale all’Europa (4)

 

Con questa trepidazione Mazzini ricorda a distanza di anni (nel 1864) l’esperienza della Repubblica Romana del 1849. Per pochi mesi la “città eterna” è teatro dell’utopia dell’“apostolo” di una religione laica. Dopo la «Roma dei Cesari», che ha imposto all’Europa la forza delle armi e il diritto, dopo la «Roma dei Papi» che l’ha unificata spiritualmente nel Medioevo, sorgerà la «Roma del Popolo», che mostrerà al mondo un modello di liberazione e di progresso dell’umanità. Questa è secondo Mazzini la missione che Dio, un Dio immanente nella storia, ha assegnato all’Italia. L’utopistico Statuto di cui si dota la Repubblica Romana sembra l’anticipazione di un mondo futuro: suffragio universale, abolizione della pena di morte, libertà di culto etc.

L’intervento armato francese, invocato dal Papa, spegnerà nel sangue la Repubblica Romana (luglio 1849). Per le correnti democratiche, radicali, mazziniane e garibaldine ciò segnerà l’inizio di una contrapposizione antagonistica tra Risorgimento e Chiesa cattolica. Anche se minoritarie sotto l’aspetto politico, tali correnti lasceranno una traccia non piccola nella costruzione dei miti risorgimentali. Basti pensare che Fratelli d’Italia, il più celebrato inno nazionale, fu scritto proprio da un giovane mazziniano genovese (Goffredo Mameli) morto durante la difesa della Repubblica Romana.

Una delle tante occasioni di avversione antipapale si registra pochi anni dopo con il “caso” di Enrico Napoleone Tazzoli; questo sacerdote mantovano era stato arrestato perché coinvolto, insieme ad altri ecclesiastici, in attività mazziniane. Secondo l’accusa dei mazziniani Pio IX, a cui si era rivolto il vescovo locale, avrebbe acconsentito alle richieste austriache di “sconsacrare” don Tazzoli, permettendone così l’impiccagione. (5).

 

Mazzini

 

Giuseppe Mazzini fotografato intorno al 1855.

 

 

 

“Libera Chiesa in libero Stato”: il Kulturkampf sabaudo

 

Gli avvenimenti del 1848/49, con l’esito disastroso della guerra contro l’Austria e delle varie repubbliche nate dalle insurrezioni, portarono a un definitivo cambiamento del processo unitario. Falliti sia i progetti neoguelfi, moderati e federalisti, sia quelli rivoluzionari e repubblicani, l’iniziativa rimase nelle mani del Regno di Sardegna-Piemonte. Il progetto monarchico, scrive Giovanni Spadolini, in un Paese come l’Italia “che aveva conosciuto solo l’universalismo religioso e il federalismo politico, doveva necessariamente urtare contro l’uno e contro l’altro”. (6)

La politica verso la Chiesa da parte dello Stato piemontese (“allargatosi” poi a Regno d’Italia) trovò una famosa formulazione nel motto lanciato da Cavour nel marzo 1861: «Libera Chiesa in libero Stato». Essa proveniva dall’elaborazione del cattolicesimo liberale francese e svizzero (il cattolico francese Charles de Montalembert nonché il pastore calvinista svizzero Alexandre Vinet). Tuttavia, mentre il senso originario era quello di sottolineare la libertà della Chiesa nei confronti del giurisdizionalismo statale, nello spirito cavouriano il motto alludeva implicitamente allo scioglimento del potere temporale pontificio. “Liberata” dal peso della sovranità, la Chiesa avrebbe potuto assolvere al meglio le sue specifiche funzioni spirituali.

Già nel 1848 il Regno di Sardegna-Piemonte aveva dato libertà di culto ai valdesi e abolita la discriminazione basata sulla confessione religiosa (legge Simeo). Era stata inoltre soppressa la Compagnia di Gesù con l’espulsione dei Gesuiti non piemontesi. L’anti-gesuitismo è un altro elemento che accomuna le battaglie liberali in molti paesi europei.

L’impostazione cavouriana del rapporto Stato-Chiesa si manifesta pienamente agli inizi del suo “decennio”. Nel 1850 il conte Giuseppe Siccardi, ministro della Giustizia, presenta una legge controfirmata dal re che dà inizio al Kulturkampf piemontese. Essa prevede l’abolizione del foro ecclesiastico e del diritto di asilo, sopprime alcune feste religiose, circoscrive la possibilità di donazioni agli enti ecclesiastici, introduce il matrimonio civile. L’arcivescovo di Torino Luigi Fransoni che protesta contro la legge viene arrestato ed esiliato a Lione dove morirà.

Nello stesso periodo, anche l’arcivescovo di Cagliari, Emanuele Marongiu Nurra, viene esiliato per la sua ostinata opposizione all’abolizione delle “decime” in Sardegna. Il colpo più duro arriva nel 1855 con la soppressione delle confraternite e degli ordini giudicati privi di utilità sociale (la cosiddetta «Legge dei conventi»). I beni incamerati dallo Stato sono destinati a una Cassa ecclesiastica per l’assistenza ai religiosi colpiti.

 

Vittorio Emanuele II

 

Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia.

 

 

«Erunt mala super mala»: la maledizione sui Savoia

 

Nell’imminenza dell’approvazione della legge sui conventi, il famoso sacerdote piemontese Don Giovanni Bosco comincia ad inviare sinistre profezie al sovrano (Vittorio Emanuele II), annunciando ripetuti lutti alla famiglia reale se egli agirà contro la Chiesa. Rivolgendosi come Mosè al Faraone, annuncia che «se la legge passa, accadranno gravi disgrazie alla tua famiglia. Questo non è che il preludio dei mali. Erunt mala super mala in domo tua. Se non recedi, aprirai un abisso che non potrai scandagliare». (7) Dal gennaio al maggio 1855, quando la legge sui conventi approda al Senato subalpino, vengono a mancare uno dopo l’altro la regina madre, la sposa, il fratello e il figlio ultimogenito del re. Questi rimane profondamente colpito dalla serie di lutti e in una lettera confidenziale a Pio IX manifesta l’intenzione di ostacolare Cavour nell’iter della legge. Questa, invece, passa il 29 maggio e provoca la durissima reazione pontificia. Con l’allocuzione Cum saepe (26 luglio 1855) viene comminata la scomunica maggiore a «tutti coloro i quali , nel Regno Subalpino, non esitarono a proporre, approvare, sancire i predetti decreti e la legge contro i diritti della Chiesa e di questa Santa Sede, nonché i loro mandanti, fautori, consulenti, esecutori».

 

L’uso di un linguaggio apocalittico e di “maledizioni divine” da parte di ampi settori della Chiesa durerà fino alla fine del secolo. La morte (soprattutto se improvvisa) di esponenti del governo usurpatore viene presentata quale punizione divina in documenti papali, nelle prediche dal pulpito delle chiese e in articoli della stampa cattolica. In quest’opera si distingue il periodico della Compagnia di Gesù, “La Civiltà Cattolica”, progettato durante l’esilio del pontefice a Gaeta e avviato nel 1850. Così la rivista dei Gesuiti commenta la morte di Cavour (6 giugno 1861):

 

«Se vi è morte che porti seco chiarissimamente la impronta di una vendetta celeste, questa è la morte del conte di Cavour. Sono appena sei mesi che egli interrogava la Camera sarda dicendo: - Sapete voi che cosa accadrà in Europa dentro sei mesi? – Ed il ministro intendeva promettere che dentro sei mesi egli sarebbe venuto a Roma.» (8)

 

Cavour

 

Camillo Benso conte di Cavour.

 

 

Il “malgoverno del Papa” di fronte all’Europa

 

Il tema dell’arretratezza dello Stato pontificio e della sua incompatibilità con il progresso europeo viene ripetutamene sollevato dalla diplomazia e dalla proganda piemontese. In seguito alla guerra di Crimea, in cui il Piemonte si è schierato insieme alle principali potenze europee, Cavour prende parte al Congresso di Parigi (1856). Qui ha l’occasione di sensibilizzare le diplomazie europee riguardo alla situazione italiana. In margine al Congresso, l’8 aprile, egli indica nel malgoverno la fonte del continuo disordine e irrequietezza all’interno dello Stato Pontificio, che costringe Francia ed Austria a vigilare militarmente. L’obiettivo è quello di consentire al Re di Sardegna un ruolo di amministratore laico sulle Legazioni pontificie (Emilia-Romagna). Partendo dalla premessa che «gli Stati della Santa Sede non furono felici che sotto Napoleone I», Cavour sostiene che l’unica soluzione sarebbe la secolarizzazione dell’amministrazione e l’introduzione del Codice napoleonico, ma «è manifesto che la Corte di Roma lotterà fino all’ultimo e con tutti i mezzi contro l’eseguimento di questa duplice combinazione». La situazione viene presentata come un radicale aut-aut tra il mantenimento di un ordine medievale e la modernità:

 

«[la Corte di Roma] sa troppo bene che la secolarizzazione ed il Codice napoleonico la scalzerebbero dalle fondamenta e la farebbero traboccare levandole i suoi principali sostegni, i privilegi clericali ed il diritto canonico. L’organamento clericale oppone invincibili ostacola ad ogni sorta di innovazioni.» (9)

 

Contemporaneamente giunge la risposta della diplomazia vaticana che sollecita l’ambasciatore francese a Roma Rayneval a compilare ed inviare un rapporto (14 maggio 1856) con cui confutare tali critiche. L’ambasciatore, quasi certamente sotto l’influenza del segretario di stato, cardinale Giacomo Antonelli, sottolinea che la stragrande maggioranza dei funzionari dello Stato della Chiesa sono laici, che è stata avviata un’efficace opera di risanamento economico e che la giustizia viene amministrata con equanimità e scrupolo. Marco Minghetti replica con un opuscolo anonimo diffuso in Francia e Inghilterra. Sulla stampa europea la controversia viene ripresa in continuazione.

 

 

Il caso Mortara

 

Poco prima della II guerra d’indipendenza italiana si colloca un episodio che scatena la più famosa polemica anticattolica in Italia, che susciterà ampio sdegno in tutt’Europa. Il 24 giugno 1858 a Bologna i gendarmi dell’Inquisizione prelevano a forza un bambino di nemmeno otto anni, Edgardo Mortara, strappandolo ai genitori di religione ebraica per portarlo all’Istituto dei catecumeni di Roma. Una fantesca aveva rivelato che anni prima, quand’era a servizio dai Mortara, aveva segretamente battezzato l’allora neonato Edgardo, che si trovava in fin di vita a causa di una grave malattia. Secondo il diritto vigente nello Stato della Chiesa, un bambino battezzato doveva essere educato secondo la religione cattolica anche contro la volontà dei genitori.

Si levano alte proteste da parte di numerose comunità ebraiche (del Piemonte, della Francia e dell’Inghilterra). Persino Napoleone III cerca di intervenire, ma l’atteggiamento del pontefice è irremovibile. L’ostinazione di Pio IX di fronte alle pressioni francesi sembra anticipare un tratto importante di tutta la sua azione successiva: il definitivo abbandono di ogni realismo tattico per una testimonianza estrema della sacralità del proprio ruolo di capo della Chiesa.

Così affermerà anni dopo in una deposizione lo stesso Mortara, fattosi ormai sacerdote:

 

«Il sillogismo era ovvio. Il fatto Mortara non sarebbe avvenuto senza il potere temporale: dunque bisognava sopprimere quest’ultimo. Il che bene era noto al Pontefice e risultava dalle rimostranze poco rispettose e dalle minacce che riceveva, ad onta delle quali egli si manteneva fermo e costante, ripetendo all’occasione quel sublime non possumus, di fronte al quale cedono tutte le forze umane. Insomma il dilemma era questo: o si restituisce il fanciullo o noi [la Francia, ndr] non rispondiamo della sicurezza del Papa nei suoi Stati. So che una volta esclamò che neppure tutte le baionette del mondo l’obbligherebbero a restituire il fanciullo.» (10)

 

Edgardo Mortara (1851-1940), divenuto aspirante presso i Canonici regolari di San Pietro in Vincoli, pronunciò i voti semplici nel 1867. Dopo l’entrata delle truppe italiane a Roma, fu allontanato dalla capitale e trasferito a Bressanone. Qui, il 31 dicembre 1871, pronunziò i voti solenni nella Canonica di Neustift / Novacella. Si diede poi all’attività di insegnamento e soprattutto alla predicazione. Poliglotta, fu in Germania, Spagna, Francia e persino negli USA, impegnandosi in conferenze e prediche per la conversione degli ebrei. Fino alla fine della sua vita difese la figura di Pio IX, di cui si riconosceva «figlio adottivo», e sostenne il disegno provvidenziale della propria vicenda. (11) Così scrive in un opuscolo del 1888:

 

«Tutti voi che avete condannato o condannate Pio IX, soffermatevi su ciò che hanno fatto e fanno oggi in nome del progresso e della libertà i governi razionalisti e i loro corifei. Questi rappresentanti dello Stato ateo, cioè dispotico, tirannico, barbaro, escogitano nelle loro tumultuose riunioni e applicano poi senza misericordia leggi perverse che attentano ai diritti più sacri della coscienza [...] E poi, accusate Pio IX, condannate Pio IX, chiamatelo despota, barbaro, perché ha separato un bambino dai suoi genitori, per salvarne l’anima, renderla sorella di Gesù Cristo, amica degli angeli, erede del Cielo.» (12)

 

 

Il Papa prigioniero e “infallibile”

 

Lungo tutto il decennio che va dalla proclamazione del Regno d’Italia (1861), al quale vengono annessi i territori pontifici dell’Emilia e della Romagna, fino alla presa di Roma (settembre 1870), l’immagine dominante è quella di Chiesa ormai sulla difensiva, votata ad un supremo scontro senza compromessi. Il pessimismo di Pio IX è esacerbato dalle leggi che dal Piemonte vengono estese a tutti i territori del neonato Regno d’Italia, soprattutto dalla soppressione degli ordini e congregazioni religiose col conseguente incameramento dei loro beni da parte dello Stato. Vengono attuate anche crescenti forme di controllo su processioni e manifestazioni religiose, che devono ottenere l’approvazione delle autorità civili.

L’azione di Pio IX – sostenuto dal cardinale Antonelli, segretario di Stato - segue una linea di ferrea coerenza, rifiutando qualunque compromesso che possa intaccare le prerogative dello Stato della Chiesa e trasponendo simbolicamente lo scontro in una dimensione universale e trascendente. Più lo spazio del potere temporale della Chiesa viene progressivamente ridotto dalle contingenze storiche, più si amplia la dimensione universale e spirituale rivendicata dalla Chiesa. Il pontefice intensifica le iniziative missionarie e richiama a una rinnovata centralità dell’attività dogmatica della Chiesa. Il primo passo è la proclamazione del dogma della Immacolata concezione di Maria (1854). (13) Nel 1864, come allegato all’enciclica Quanta cura, viene pubblicato il Syllabus contenente i principali errori del nostro tempo. (14) Le sue ottanta proposizioni, corredate dall’indicazione del relativo Magistero, si riferiscono a tutte le posizioni teologiche, filosofiche e politiche del secolo, dall’indifferentismo al razionalismo, dal liberalismo al socialismo, dall’opposizione al potere temporale della Chiesa al matrimonio civile. Il documento suscita un’ondata di proteste e prese di posizione in molti Paesi d’Europa. Da più parti si sottolinea come esso dimostri l’inconciliabilità della Chiesa con il mondo moderno.

Poco prima della presa di Roma, è convocato il Concilio Vaticano I (1869-1870) (15), che finirà col sancire l’infallibilità papale in questioni di fede (Costituzione dogmatica Pastor Aeternus). Il dogma provoca non poche perplessità anche da parte di vescovi stranieri (americani, francesi e tedeschi).

 

Concilio Vaticano I

 

Il Concilio Vaticano I (1869/70) in un’illustrazione d’epoca.

 

 

L’“anticoncilio” di Napoli

 

All’annuncio da parte del Vaticano che a fine anno si aprirà il Concilio, il 26 gennaio 1869 il già deputato repubblicano Giuseppe Ricciardi lancia dalle colonne del giornale napoletano “Il Popolo d’Italia” la proposta che contemporaneamente si riuniscano a Napoli «i liberi pensatori di tutto il mondo civile con l’intento di opporre alla cieca fede, su cui si fonda il cattolicesimo, il gran principio del libero esame e della libera propaganda». Questo cosiddetto «Anticoncilio» si apre il 9 dicembre 1869 (il giorno dopo rispetto al Concilio romano), presso il Teatro S. Ferdinando di Napoli, contando su 461 presenze iscritte a parlare, in rappresentanza di 62 logge massoniche italiane e straniere, 34 società operaie, 25 associazioni italiane, 26 associazioni straniere, 63 gruppi di liberi pensatori italiani, 27 stranieri, 58 deputati e 2 senatori. (16) Al di là dei numerosi aspetti provocatori e polemici, l’interesse storico della vicenda risiede nella compresenza di diverse “anime” tenute insieme dalla comune (pur se generica) volontà di «perseguire il progresso»: da dichiarazioni di laicismo etico-filosofico di tipo hegeliano o positivista fino a esplicite rivendicazioni economiche derivate dal socialismo internazionalista. Sono presenti anche rappresentanze femminili («Comitato di Napoli per l’Emancipazione delle Donne Italiane»). Numerose personalità impedite a partecipare (tra cui Giuseppe Garibaldi) inviano un loro messaggio di sostegno. L’adunanza viene sciolta d’autorità alla sua seconda seduta. Il commissario di polizia, che segue in incognito i lavori, coglie l’occasione di un grido inneggiante alla repubblica per sciogliere l’assemblea.

 

 

Roma città dello scontro

 

Il 20 settembre 1870 Pio IX ordina alle sue truppe la resistenza simbolica («aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone»), che costa comunque un certo numero di morti. Quindi si autoproclama “prigioniero” e vittima della violenza di un potere nemico e usurpatore:

 

«Dichiariamo inoltre, protestando innanzi a Dio e a tutto il mondo cattolico, che siamo tenuti in una prigionia tale che non possiamo esercitare sicuramente, tranquillamente e liberamente la Nostra suprema Autorità pastorale». (17)

 

È il momento di massimo scontro, a cui ben si addicono toni profetici e apocalittici. Oltre che i decessi di politici sabaudi, anche le catastrofi e le epidemie vengono presentate in una luce provvidenziale.

Nel 1872, elencando uno dopo l’altro i recenti flagelli verificatisi in Italia (un’inondazione del Tevere, l’eruzione del Vesuvio, un terremoto in Calabria, un’epidemia di colera), Pio IX ascrive tali sciagure all’«occhio sdegnato» di Dio.

 

«Si aumenta sensibilmente il numero dei flagelli, ai quali dopo l’infausta breccia di porta Pia, sembra che Iddio abbia permesso libero il corso, quasi direi a significare che, strappata Roma ai pontefici, cresce e si dilata il regno della desolazione e della morte.»

 

In quegli anni Roma diviene teatro di una lotta pubblicistica di intensità mai conosciuta prima di allora. Se nel decennio precedente le testate presenti a Roma erano una cinquantina, dopo l’annessione il loro numero sale a oltre 300. (18) In campo clericale il panorama comprende, oltre agli autorevoli “Osservatore Romano” e “La Civiltà Cattolica”, anche periodici popolari come “La Frusta” e “Il Cassandrino”. I bersagli della satira clericale sono i liberali, i massoni e gli ebrei, accomunati come molteplici facce di uno stesso male.

 

 

Balletti, istruzione e massoneria

 

Anche il campo della pubblicistica anticlericale offre diverse gradazioni, da periodici di prestigio culturale fino a fogli di volgare sberleffo. I circoli e le associazioni promuovono manifestazioni teatrali, satiriche, carnevalesche in cui si ridicolizzano i dogmi della fede cattolica, la persona del pontefice e gli ordini ecclesiastici. Dall’estero arrivano persino balletti dissacranti (ad esempio Die Schwarzen, cioè i Gesuiti, rivista arrivata da Berlino) che suscitano le proteste da parte del Vaticano, che richiede l’applicazione della censura da parte delle autorità statali.

Una parte del mondo politico italiano vede con simpatia il Kulturkampf che Bismarck ha dichiarato in Germania. Si sottolineano i mali che per l’Italia ha significato la mancata Riforma protestante del Cinquecento. Si ribadisce il ruolo negativo che la presenza del Papato ha svolto per l’unificazione e il progresso d’Italia. Si indica la situazione germanica come l’esempio di ciò che può realizzare una mentalità libera dall’oppressione clericale, nel segno del progresso positivista, delle scienze e di un’istruzione aperta, naturale e concreta.

Gli anni Settanta (con la Sinistra al governo) sono fondamentali negli sviluppi dell’assetto scolastico e universitario italiano. Del 1877 è la legge Coppino, che fissa l’obbligatorietà di almeno tre dei cinque anni della scuola elementare, prevedendo sanzioni in caso di inadempienza. La sua impostazione positivista e l’esclusione del catechismo è oggetto di grandi polemiche da parte cattolica. L’anno dopo, il ministro Francesco De Sanctis introduce l’educazione fisica nelle scuole.

In campo universitario dominano liberalismo e positivismo. Lo scontro è particolarmente avvertito nella capitale, dove vengono statalizzati il “Collegio Romano” e l’università “La Sapienza”. Ai docenti che rifiutano di prestare il giuramento al Re d’Italia, il pontefice rivolge queste parole: «L’Università, quale ora è divenuta, non è più degna delle vostre dottrine e di voi, e voi stessi vi contaminereste varcando quelle soglie, entro le quali si insegnano errori così perniciosi» (1871).

Un certo ruolo, pur se enfatizzato dalla stampa cattolica, svolge anche la Massoneria che conta tra i suoi aderenti politici, giornalisti, professori, professionisti. La sua evidenza pubblica raggiunge il culmine sotto la Maestranza di Ernesto Nathan (G.M. Oriente d’Italia, 1896-1904), che sarà sindaco di Roma tra il 1907 e il 1913.

 

 

La conquista dello spazio pubblico

 

Il conflitto si traduce in quegli anni anche in episodi di tensione nell’ordine pubblico. Aggressioni, manifestazioni violente, devastazioni di tipografie e sedi di giornale sono all’ordine del giorno. Risonanza internazionale raggiunge il tumulto verificatosi in occasione della traslazione della salma di Pio IX il 13 luglio 1881. Morto nel 1878, Mastai Ferretti aveva lasciato la disposizione di essere sepolto nella basilica di San Lorenzo in Verano. Dopo tre anni, presi accordi con le autorità, fu deciso di traslare la salma a mezzanotte proprio per evitare incidenti. L’evento non fu tenuto nella segretezza convenuta e, alla partenza della carrozza col feretro da San Pietro, migliaia di fedeli si erano già raccolti per seguire la processione, recitando preghiere con lumi e candele.

Si erano mobilitati anche qualche centinaio di provocatori appartenenti a circoli anticlericali. Lo scontro più violento avvenne sul ponte di Sant’Angelo. Oltre che sassate e pugni, si levarono cori ingiuriosi e persino l’invito a gettare al fiume la salma del pontefice.

Grande è l’indignazione della stampa cattolica in tutt’Europa e il governo deve difendersi dall’accusa di non aver impedito la profanazione della cerimonia. Il primo ministro Agostino Depretis cerca persino di addossare parte delle responsabilità al tentativo dei «settari clericali, i quali osarono profanare una pia cerimonia, convertendola in una dimostrazione e provocazione politica clandestinamente organizzata». (19) A fronte delle proteste della stampa cattolica, i giornali anticlericali si lanciano in violenti attacchi verbali. Così scrive il giornale “La Capitale”:

 

«Roma ha accolto questa dimostrazione come si meritava, ed il potere temporale può scrivere nelle pagine della storia che il convoglio funebre dell’ultimo suo rappresentante non poté attraversare le vie di Roma senz’essere scortato e difeso come il carrettone dell’accalappiacani». (20)

 

L’anno dopo (1882) la morte di Garibaldi fornisce il pretesto per altri disordini. Su invito delle stesse gerarchie vaticane, la stampa cattolica si astenne in genere da qualunque provocazione, ad eccezione di qualche foglio minore. Questo è il caso del già citato “Cassandrino”, giornale politico-umoristico nato nel 1848, che definisce «filibustiere» l’«eroe dei due mondi». Un gruppo di studenti, tra i quali vi era Guglielmo Oberdan(k), ne devasta la tipografia ottenendo il plauso di tutta la stampa democratica, repubblicana e radicale.

 

 

Monumenti e polemiche

 

Nella mitologia della “Nuova Italia” si rende necessario anche intervenire nello lo spazio pubblico di Roma, attraverso una monumentalistica che segnali il nuovo ruolo nazionale, in concorrenza con la più che millenaria immagine di capitale del cattolicesimo. Un esempio significativo è il Pantheon in cui nel 1878 è sepolto Vittorio Emanuele II. D’ora in poi il tempio, prima pagano, poi cristiano, si trasforma in sacrario degli “scomunicati” re d’Italia. Diverse manifestazioni (soprattutto ad opera di pellegrini stranieri) protesteranno contro la “dissacrazione” di un luogo religioso.

 

Pantheon 

Interno del Pantheon di Roma.

 

L’iniziativa più importante è comunque la costruzione del Vittoriano, che si protrarrà fino al 1911. L’imponenza e la solennità mirano a celebrare, insieme al primo re d’Italia, la mitologia dell’intero Risorgimento: l’unità della nazione e la libertà del suo popolo, come si legge nelle due scritte principali sui propilei: Patriae Unitati e Civium Libertati. Significativamente, nel bando per il progetto (1882) si fornisce l’indicazione di uno sfondo architettonico di lunghezza e altezza di trenta metri, la cui forma viene lasciata libera ma che deve essere comunque atta a coprire «gli edifici retrostanti e la laterale Chiesa di Santa Maria in Aracoeli». Si tratta di una sorta di tempio laico innalzato in onore della nuova nazione.

 

Colonna Traiana

 

Roma. A destra la statua di San Pietro collocata sulla colonna Traiana.

A sinistra la statua di Vittorio Emanuele II sul “Vittoriano”, inaugurato nel 1911.

 

L’erezione del monumento a Giordano Bruno in Campo de’ Fiori (1889) è forse il più significativo esempio di monumentalistica anticlericale. A proporre il monumento in Campo Marzio (lo stesso luogo il cui Bruno era stato arso sul rogo dall’Inquisizione il 17 febbraio del 1600) è un comitato internazionale composto, tra gli altri, dai filosofi Silvio Spaventa, Herbert Spencer, dallo storico del cristianesimo Ernst Renan (l’autore della Vita di Gesù), dallo scrittore Victor Hugo. La ferma opposizione annunciata dal Vaticano, se da un lato rallenta di poco la realizzazione del progetto, dall’altro scatena violente manifestazioni soprattutto studentesche. Nel 1888 giunge l’autorizzazione sia da parte del governo (Crispi) sia dell’amministrazione comunale. Il 9 giugno 1889 si svolge la solenne inaugurazione del monumento, opera dello scultore Ettore Ferrari. Per il papa Leone XIII esso rappresenta il segno della lotta ad oltranza che si sta combattendo contro la religione cattolica. La figura di Giordano Bruno, come “martire del libero pensiero”, è lungo tutto il secolo al centro della propaganda massonica. La cerimonia raccoglie rappresentanze delle università italiane e straniere, della municipalità, di politici (a titolo personale) e ovviamente di logge massoniche. Dopo l’inaugurazione, il corteo si dirige a onorare il busto di Garibaldi in Campidoglio.

Per la “Civiltà Cattolica” la statua di Giordano Bruno «segna il trionfo dei rabbi della Sinagoga, gli archimandriti della Massoneria e i capiparte del liberalismo demagogico» e Campo de’ Fiori dovrebbe essere ribattezzato «campo maledetto in attesa che al posto del monumento si erga una Cappella di espiazione al Cuore Santissimo di Gesù». L’intera manifestazione rappresenta la «presa di possesso dell'ateismo di quella Roma che da quattordici secoli è stata ed è la capitale del mondo cristiano». (21)

 

 

«Né eletti né elettori!»

 

Il primo a formulare con decisione la linea di astensionismo a cui si sarebbero dovuto attenere i cattolici rispetto alla vita politica del nuovo Regno d’Italia, fondato anche sull’usurpazione della sovranità pontificia, fu il canonico e giornalista Giacomo Margotti. Il 7 gennaio 1861, dalle colonne del battagliero quotidiano “L’Armonia” da lui diretto, riferendosi alle vicine elezioni, usò nel titolo la formula “Né eletti né elettori!”.

 

«La lotta elettorale verte oggi tra Camillo Cavour e Giuseppe Garibaldi, tra coloro che combattono il papa colle ipocrisie e coloro che vogliono combatterlo aspramente coll'empietà e colla demagogia. E noi vi diciamo: Né l'uno né l'altro. Sono tutti della stessa buccia. E noi ci asterremo. In secondo luogo, quando poi pigliamo parte alle elezioni e in molti luoghi riportiamo la vittoria, ci chiamammo addosso ogni maniera di vessazioni e l'opera nostra andò in fumo. Dunque questa volta non vogliamo fare cosa inutile e ci asteniamo. In terzo luogo, per eleggere ci vuole piena libertà e il piglio dei giornalisti e il contegno della rivoluzione e le lezioni dell'esperienza ci dicono che non saremo pienamente liberi; epperò ci asterremo.» (22)

 

Margotti anticipò di diversi anni le disposizioni ufficiali del Vaticano. Il 30 gennaio del 1868, rispondendo alla questione posta dai vescovi piemontesi circa l’opportunità che i cattolici partecipassero alle elezioni, la Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari affermò il non expedit («non è conveniente»). L’indicazione fu poi ribadita più volte con motivazioni esplicitamente religiose.

 

«La scelta [politica] non è libera, perché le passioni politiche oppongono troppi e potenti ostacoli. E fosse anche libera, resterebbe un ostacolo anche maggiore da superarsi, quello del giuramento che ciascuno è obbligato a prestare senza alcuna restrizione. Questo giuramento, notate bene, dovrebbe prestarsi a Roma, qui nella capitale del cattolicesimo, qui sotto gli occhi del Vicario di Gesù Cristo… si deve giurare di sancire lo spoglio della Chiesa, i sacrilegi commessi, l'insegnamento anticattolico» (Pio IX, 1874).

 

A fronte dell’impedimento alla partecipazione elettorale in campo nazionale, si sviluppò invece un notevole attivismo in occasione delle elezioni amministrative. Come è noto, agli inizi del XX secolo la situazione muterà rapidamente. Nel 1905 la lettera enciclica Fermo Proposito, promulgata da papa Pio X a sostegno dell’Azione Cattolica, apre uno spiraglio alla partecipazione politica dei cattolici. Nel 1912, col cosiddetto «Patto Gentiloni», cade di fatto il non expedit in metà dei collegi elettorali. Solo nel 1919 comunque Benedetto XV lo abolirà definitivamente.

 

L'Asino 1912

 

«Politica… interna. Il programma cattolico di fronte al suffragio universale».

Apparsa nel 1912, dopo l’approvazione della riforma elettorale,

la vignetta dell’“Asino” (rivista satirica di ispirazione socialista)

mostra Emanuele III servilmente prostrato di fronte a Pio X.

 

 

Letteratura e anticlericalismo

 

Gran parte della letteratura dell’età risorgimentale riflette una serie di motivi anticlericali. L’esempio più significativo è il “satanismo” della produzione giovanile di Giosuè Carducci che si colloca nel periodo di maggior tensione della questione romana (l’Inno a Satana è del 1863). Così il poeta spiega, anni dopo, i valori laici del “Satana” che ha celebrato.

 

«Satana per gli ascetici è la bellezza, l’amore, il benessere, la felicità. […] Per i teocratici poi (mette conto ripeterlo?) Satana è il pensiero che vola, Satana è la scienza che esperimenta, Satana il cuore che avvampa, Satana la fronte su cui è scritto: Non mi abbasso. Tutto ciò è satanico. Sataniche le rivoluzioni europee per uscire dal medio-evo, che è il paradiso terrestre di quella gente; i comuni italiani, con Arnaldo, con Cola, col Burlamacchi; la riforma germanica, che predica e scrive libertà; la Olanda che la libertà incarna nel fatto; l’Inghilterra che la rivendica e la vendica; la Francia che l’allarga a tutti gli ordini, a tutti i popoli, e ne fa legge dell’età nuove. Tutto ciò è satanico; colla libertà di coscienza e di culto, colla libertà di stampa, col suffragio universale; s’intende. (23)

 

Interessante è notare come ancor oggi sopravviva in alcuni ambienti cattolici la tendenza a isolare e focalizzare il “satanismo” di Carducci ascrivendolo alla gnosi e alle dottrine massoniche e rendendolo indipendente dal contesto storico del tempo. (24)

 

 

«Venite, Poeta, vi abbiamo riservato un posto in paradiso». «Ah, no! Coi preti, eterni nemici, mai!»

Vignetta apparsa sul periodico di satira “L’Asino” in occasione della morte di Carducci, nel febbraio 1907.

 

 

Romanzi garibaldini, inni, canzoni, poesie popolari restituiscono i motivi più diffusi dell’immaginario anticlericale. Vi primeggia la figura del gesuita, i cui tratti fondamentali sono l’ipocrisia, il machiavellismo, l’inquietante segretezza della condotta gerarchicamente sottoposta al cosiddetto “papa nero”. Compare la denuncia degli scandali sessuali all’interno della Chiesa, che la stampa nazionale ed europea riprendeva con grande evidenza. (25) La morale sessuale della Chiesa e persino l’obbligo del celibato sono presentati come forme di depravazione e corruzione rispetto alle pulsioni naturali e alle leggi biologiche.

In gran parte di questa letteratura l’intero assetto della Chiesa viene presentato come antagonista rispetto ai valori civili dell’età moderna: libertà, democrazia, uguaglianza. Il papato è una tirannia dominata dall’arbitrio, tesa a perpetuare le ingiustizie e mantenuta in vita da potenze straniere. I soldati zuavi (soprattutto volontari franco-belgi)  ̶  che dal 1861 e fino a Porta Pia costituiranno le “truppe scelte” del pontefice  ̶  compaiono spesso nella veste di sgherri mercenari, crudeli e disumani.

Col progredire del movimento socialista, si registrano nella letteratura popolare tracce di un evangelismo rivoluzionario che traspone su un piano sociale il conflitto tra autentico spirito cristiano e istituzione ecclesiastiche; il primo mira al raggiungimento di un mondo di giustizia ed eguaglianza, la seconda invece inculca nel popolo rassegnazione e subordinazione. Un famoso esempio è la Predica di Natale del maestro, giornalista, propagandista e poi deputato Camillo Prampolini, datata 1897.

 

«Lo disse Gesù istesso nel suo famoso “Discorso della Montagna”. “Beati coloro che sono affamati e assetati di giustizia, perciocché saranno saziati! Beati coloro che son vituperati e perseguitati per cagion di giustizia!”. Prendete a guida della vostra vita queste parole, o amici lavoratori, e voi sarete... socialisti. Sì, voi sarete con noi, voi lotterete tutti al nostro fianco, perché noi socialisti siamo oggi i soli e veri continuatori della grande rivoluzione sociale iniziata da Cristo.» (26)

 

Solo nel contesto del Kulturkampf italiano è possibile comprendere le origini di controversie letterarie di non breve durata, come quella sul primato cronologico tra il Cantico delle creature di San Francesco e il contrasto Rosa fresca aulentissima di Cielo d’Alcamo. Francesco De Sanctis, autore della prima storia della letteratura italiana in chiave nazionale (1870), attribuì tale primato al giocoso e profano componimento del giullare siciliano. Tale errore fu seguito da generazioni di studiosi. Anche diversi aspetti del culto di Dante rimandano a motivi anticlericali: il suo pensiero “ghibellino”, la critica alla corruzione e all’immoralità della Chiesa del suo tempo e così via.

 

Per concludere, è proprio nella letteratura che si può rinvenire anche l’esempio più significativo dell’esito del Kulturkampf italiano, e precisamente nella sintesi manzoniana. Nessun romanzo più dei Promessi Sposi ha rappresentato per almeno un secolo il compendio di ideali e valori propri dell’identità nazionale. La cultura di Manzoni era intrisa di illuminismo lombardo e cattolicesimo liberale francese. Profondi furono i suoi rapporti col Rosmini.

Concepiti nel clima di scontro tra l’ultramontanismo e il cattolicesimo liberale, i Promessi Sposi sono ovviamente tutt’altro che un romanzo di edificazione religiosa. Vi compaiono figure e vicende che rivelano la percezione che la cultura illuminista italiana aveva della struttura ecclesiastica: oscurantismo, ingiustizia, costrizione, mediocrità. Basti pensare, ad esempio, alla Monaca di Monza, “condannata” a subire una vocazione non voluta, e quindi sospinta a una sorta di “immoralità forzata”. Oppure a don Abbondio, rappresentante di una Chiesa succube del potere politico, interessata solo al mantenimento dei propri privilegi.

 

Monaca di Monza

 

Un episodio dei Promessi Sposi in una stampa del 1880 (incisore Gallieni, disegnatore Sanesi):

la monaca di Monza rimprovera una consorella.

 

 

Eppure, a fronte di queste figure, si stagliano grandi personaggi come il cardinal Federigo Borromeo, pronto a sfidare qualunque potere secolare per far trionfare la giustizia. Oppure il cappuccino Fra Cristoforo, che incarna le virtù evangeliche di una Chiesa “militante”, schierata accanto ai poveri. In questa contraddizione (o meglio sintesi) si riflette anche la complessità del Kulturkampf italiano, orientato a inglobare nei valori nazionali tutto ciò che di positivo poteva provenire dalla tradizione cattolica.

 

 

NOTE

 

1) Manuel Borutta, Antikatholizismus. Deutschland und Italien im Zeitalter der europäischen Kulturkämpfe, Göttingen 2010.

2) Cfr. Benedetto BLASI, Del danno che avverrebbe allo Stato Pontificio da qualunque Strada Ferrata di comunicazione fra la Toscana e l'Adriatico, Tipografia Belle Arti, Roma 1846.

3) Giuseppe Mazzini, Scritti editi e inediti, XII, Imola 1906, p.233.

4) Giuseppe Mazzini, Note autobiografiche, Milano 1986, p. 382.

5) Alessandro Luzio, I martiri di Belfiore e il loro processo. Narrazione storica documentata, Milano 1924. Secondo altri l’intervento di Pio IX presso le autorità austriache in favore dei sacerdoti arrestati vi sarebbe stato ma non avrebbe sortito gli effetti sperati.

6) Giovanni Spadolini, Il Papato socialista, Milano 1969, p. 131.

7) Teresio Bosco, Don Bosco. Una biografia nuova, Torino 1981, p. 241.

8) “La Civiltà Cattolica”, 25 giugno 1861. Il testo è citato in Vittorio Gorresio, Risorgimento scomunicato, Milano 1977 (2° ed.), p. 277.

9) Stefano Tomassini, Roma, il Papa, il Re. L'unità d'Italia e il crollo dello Stato Pontificio, Milano 2011, pp. 118-119.

10) L’intera deposizione di Edgardo Mortara è pubblicata in appendice a Giulio Andreotti, La fuga di Pio IX e l’ospitalità dei Borbone, Roma 2003, pp. 187-201.

11) Il “caso Mortara” è tornato recentemente al centro del dibattito in occasione della beatificazione di Pio IX nel 2000. Cfr. Marco Politi, “Ma Pio IX sugli altari allontanerà i fedeli”, in “La Repubblica” 2.9.2000.

12) Vittorio Messori, Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX, Milano 2005. Di tutt’altro segno è la ricostruzione di David L. Kertzer, Prigioniero del papa, Milano 2006.

13) Bolla Ineffabilis Deus, 8 dicembre 1854.

14) Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, allegato all’enciclica Quanta cura, 8 dicembre 1864.

15) Il Concilio ecumenico fu convocato con la bolla bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868.

16) Giuseppe Ricciardi, L’Anticoncilio di Napoli del 1869 promosso e descritto dal già deputato Giuseppe Ricciardi, Foggia 1982 (ed. or. Napoli 1870).

17) Enciclica Respicentes ea, 1° novembre 1870.

18) Cfr. a proposito Annalisa Di Fant, La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta Pia, in: “Mondo contemporaneo”, 2007/1, pp. 87-118.

19) Vittorio Gorresio, Risorgimento scomunicato, Milano 1977 (2° ed.), p. 299.

20) Ibi, p. 300.

21) “Campo maledetto”, in: “La Civiltà Cattolica”, 6 luglio 1889. Cfr. anche Anton Maria Bonetti "Il campo maledetto: il fiasco delle feste bruniane e il trionfo di Roma cattolica", Roma, 1889

22) Giacomo Margotti, Né eletti né elettori, in “L’Armonia della religione con la civiltà”, 7 gen. 1961

23) Giosuè Carducci, “A Quirico Filopanti”, in: “Il Popolo” (Bologna), n. 26, 10.12.1869.

24) Cfr. il saggio di Paolo Mariani, “Carducci «satanico»: gnosi & massoneria”, in: “Studi Cattolici”, 431 (1997).

25) Tra i casi più famosi in Italia vi è quello del barnabita Stanislao Ceresa, rettore di un collegio a Monza, condannato nel 1873 a dieci anni di carcere per aver abusato sessualmente di decine di allievi. Su questo e altri casi, cfr. la ricerca di Enrico Oliari, L’omo delinquente: scandali e delitti gay dall'Unità a Giolitti, Roma 2006.

26) Camillo Prampolini, La Predica di Natale: Opuscolo di propaganda per le campagne, s.l. [Reggio Emilia] 1897. Consultabile come e-book della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano, www.feltrinelli.it/fondazione). Su Prampolini (Reggio Emilia 1859-Milano 1930), che aveva rivolto molte energie nella predicazione di una sorta di socialismo cristiano, cfr. Enrico Declava, Anticlericalismo e religiosità laica nel socialismo italiano, Roma 1979; Silvia Bianciardi, Camillo Prampolini costruttore di socialismo, Bologna 2012.