Autore - Carlo Romeo
Rif. bibl. - Romeo, Carlo, Il Bauer, uomo libero: la consuetudine del geschlossener Hof, in: “Alto Adige”, 20 ottobre 2000.
Il Bauer, uomo libero:
la consuetudine del maso chiuso
di Carlo Romeo
Tra gli istituti giuridici della società rurale tedesco-tirolese il "maso chiuso" è stato quello più caratterizzante, a livello economico, ideologico e identitario. Le origini della consuetudine del "geschlossener Hof", l'unità fondiario-agricola indivisibile, affondano nel Medioevo germanico. Della sua prassi si trovano chiare tracce nel diritto tirolese almeno dal XV secolo. La sua funzionalità economica - in un territorio difficile come quello alpino - ebbe il suo sigillo dalla legislazione "illuminata" del periodo dell'imperatrice Maria Teresa e del figlio Giuseppe II. Quella stessa tempesta riformatrice che in altri ambiti (religioso, culturale, politico) travolgeva secolari consuetudini e privilegi regionali, istituiva formalmente (dal 1770) la speciale categoria dei masi indivisibili per successione o vendita. La frammentazione delle aziende costituiva, infatti, un fattore di debolezza, poiché appezzamenti troppo piccoli non potevano garantire la sussistenza ai loro proprietari, soprattutto se situati ad alta quota e con caratteristiche agronomiche ostili. Nonostante la liberalizzazione del diritto ereditario per tutta la Monarchia (1868) Vienna continuò ad autorizzare la tutela da parte dei Länder di speciali istituti. Nel 1900 il governo tirolese fissò l'antica consuetudine con un'apposita, minuziosa legge.
Nei periodi di crisi agricola il sistema del "maso chiuso" dimostrò spesso la sua efficacia. Le zone del Tirolo, infatti, dove era in uso la divisione della proprietà fondiaria tra gli eredi (alta valle dell'Inn, Val Venosta e Trentino) furono maggiormente colpite da indebitamenti e fallimenti, dando luogo ad un marcato fenomeno migratorio.
La perpetuazione di un sistema sociale
Il prezzo da pagare alla stabilità del "maso chiuso" è stato, oltre a diritti individuali dei cosiddetti "cedenti", la perpetuazione di un ordine sociale rigidamente conservatore. Anche se la legge doveva nella prassi subire una varietà di eccezioni nella mediazione con le singole situazioni, essa si coniugava perfettamente a quell'insieme di norme e consuetudini (ad esempio le restrizioni sui permessi di matrimonio e di residenza) che garantivano ai gruppi dominanti locali un rigido controllo sociale. La dimensione ideologica che ha assunto il "maso chiuso" è altrettanto importante di quella economica. Alla base dell'eredità indivisibile vi è un concetto antropologico ben preciso del rapporto del "Bauer" con il suo "Hof". La trasmissione dell'integrità del maso avito alla generazione successiva è la finalità ultima che trascende il sacrificio del "presente" degli altri familiari, destinati ad andarsene o a vivere come subalterni nel maso del primogenito maschio. Sarà solo quest'ultimo, l'"Anerbe", ad essere investito del riconoscimento fondiario-familiare e a concentrare in sé proprietà, potere e quindi "libertà". Il "Bauer" è libero perché proprietario.
L'unitarietà e l'integrità del maso diventano valori culturali socialmente condivisi. Su un piano politico essi rappresentano la forza stessa del ceto contadino, che a sua volta incarna tout court l'identità tirolese.
Sotto il fascismo
La dimensione identitaria dell'istituto del "maso chiuso" si rivela al meglio nei periodi di "crisi", come ad esempio dopo l'annessione all'Italia. La resistenza sudtirolese alla penetrazione italiana ha proprio nelle valli la sua roccaforte. L'economia agricola e l'autonomia del "Bauer" sono celebrate come l'immagine della forza del germanesimo minacciato. Quando nel 1929 il governo fascista, in nome dell'unificazione legislativa, abroga la legge del "maso chiuso" perché estranea al diritto italiano, si levano alte le proteste e le petizioni con decine di migliaia di firme. Viene denunciato il tentativo di indebolire la compattezza del ceto rurale sudtirolese, che già vive una congiuntura negativa, per approfittare dei fallimenti e insediare coloni italiani. Critiche all'abolizione del maso chiuso vengono anche da economisti e studiosi italiani preoccupati dello spopolamento montano. Paradossalmente, l'abolizione giunge in un momento in cui il ruralismo fascista è orientato alla rivalorizzazione delle antiche consuetudini patriarcali e genealogiche. In una relazione fascista del 1935 si dichiara che "il maso chiuso corrisponde alla natura dell'azienda montana e alla mentalità della popolazione altoatesina" e si mette persino in guardia dai "pericoli cui si andrebbe incontro se venisse meno quell'attaccamento alla vecchia istituzione sorta più per necessità di cose che per disposizione di legge".
Negli anni Trenta la persistenza nella consuetudine è da un lato una consolidata necessità economica, dall'altro un atto di resistenza al "nemico", un consapevole richiamo all'ordine tradizionale. La vittoria in questa lotta è confermata dal dato numerico: tra il 1929 e il 1954 i "masi chiusi" in Alto Adige diminuirono solo del sei per cento.
Nel dopoguerra
Nel 1948, com'è noto, il primo statuto di autonomia assicurò alla provincia la potestà in materia. La legge provinciale del 1954, con tutte le successive integrazioni e modifiche, ripristinò l'istituto lasciandone sostanzialmente inalterati i principi ispiratori.
La parificazione tra maschi e femmine chiamati alla successione nello stesso grado arriva forse oggi, con un ritardo di mezzo secolo, dopo una discussione durata almeno un decennio. Il rango costituzionale della norma sul "maso chiuso" - inserita nello statuto d'autonomia - l'aveva protetta dal principio, altrettanto costituzionale, della parità dei sessi. Il "maso chiuso" sembra dunque riformarsi da sé, "motu proprio", quasi per necessità e non per resa di fronte ad una battaglia di principio. Dietro alla presunta "epocalità" della svolta vi è in realtà l'effetto di radicali cambiamenti socio-economici: la profonda crisi dell'agricoltura di montagna e la trasformazione dell'economia delle vallate, legata soprattutto al turismo. L'urbanizzazione, la terziarizzazione, la difficoltà di "trovare moglie" in un contesto di fatica e isolamento, la crescente scolarizzazione dei figli, la penetrazione di nuovi modelli di vita e di mentalità; da alcuni decenni tutto ciò ha reso sempre meno appetibile l'assunzione e la conduzione delle "vere" piccole aziende agricole. E sono cresciuti i casi in cui la donna, il più delle volte per mancanza di alternative, è rimasta de facto l'unica a combattere la quotidiana battaglia del "maso chiuso". Collocate nella concretezza di questo scenario le novità della riforma ridimensionano il loro carattere di cesura egalitaria e civile.