Autore: Andrea Sarri

Rif. bibl.: Sarri, Andrea, Il vescovo di Bressanone Johannes Geisler e la seconda guerra mondiale. Omelie e lettere pastorali (1939-1945), in: “Geschichte und Region/Storia e Regione”, 19 (2010) 2, pp. 136-162.

 

 

Indice capitoli:

Premessa

La diocesi di Bressanone alla vigilia della seconda guerra mondiale

La guerra e il male nella storia: la riflessione iniziale di Geisler

“Apostasia da Dio” e “castigo di Dio”

La preghiera nel tempo di guerra

L’obbedienza all’autorità: il soldato e il cristiano

“Zurück zu Christus und zu seiner Kirche!”: il messaggio di Geisler alla fine della guerra

Considerazioni conclusive

 

 

Geisler al momento dell'opzione per la Germania (giugno 1940). Coll. Franz Oberkofler

 

[…] La guerra e il male nella storia: la riflessione iniziale di Geisler

 

È in questa realtà, sulla quale sono necessari ulteriori approfondimenti di ricerca, che il vescovo di Bressanone avvia un’intensa riflessione pubblica sulla guerra e sulla pace. Al termine di un’omelia preparata per l’avvento del 1939, Geisler si soffermava in termini ancora prevalentemente teologici e spirituali sulla pace. Il riferimento agli inizi della guerra in Europa è breve e generico: la pace è uno dei volti  del regno di Dio invocato dai credenti nella preghiera del Padre nostro. Viene comunque sottolineato il valore decisivo della preghiera per impetrare tanto la pace spirituale quanto quella terrena:

 

„Das Reich Gottes ist endlich auch das Reich des Friedens. Gott wird in der Hl. Schrift der ‚Gott des Friedens’ genannt (Röm. 15, 33). […] In der Welt gibt es so viel Friedlosigkeit und Unfrieden, so viel Zwietracht und Uneinigkeit, so viel Streit und Krieg, so viel Kampf mit Gott und mit den Menschen. Beten wir darum, dass das Reich des Friedens zu den Menschen komme, das Reich des Friedens mit Gott, aber auch das Reich des Friedens der Menschen und Völker untereinander.“ (15)

 

Nel gennaio del 1940, con la pubblicazione della lettera pastorale per la quaresima (16), il vescovo si rivolgeva al clero e ai fedeli della diocesi collegando i tradizionali significati dell’espiazione quaresimale con l’angoscia dei tempi presenti, in verità più con un implicito richiamo alle lacerazioni provocate dalle recenti opzioni nella società locale che alla guerra iniziata in Europa: “La quaresima è il tempo del lutto cristiano. Sulla sua porta d’entrata la chiesa ha scritto le parole: ‘Ricordati uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai’. E per illustrare più chiaramente il significato serio e severo di queste parole la chiesa sparge della cenere sul nostro capo, esortandoci a far penitenza per i nostri peccati, a digiunare, affinché impariamo a dominarci e a frenare le nostre passioni e cattive inclinazioni. Ma la situazione generale in questi nostri tempi è tanto triste e dolorosa, e voi stessi avete giorni tanto gravi e angosciosi dietro di voi e giorni forse ancora più gravi e angosciosi davanti a voi, che io piuttosto di parlarvi del lutto e della tristezza cristiana ho pensato di parlarvi della gioia e della letizia cristiana.” (17)

 

Poche settimane dopo l’emanazione della lettera quaresimale, Geisler teneva nella chiesa parrocchiale di Bressanone una predica in lingua italiana (intitolata sul dattiloscritto “Friede Christi”), che approfondiva il discorso avviato nell’avvento del 1939. (18) Si tratta del primo testo, di stesura sofferta, come testimoniano le numerose correzioni apportate sulla minuta dattiloscritta, nel quale il vescovo si propone di riflettere sulla pace e sulla guerra, evitando tuttavia ogni riferimento diretto agli eventi in corso. La prima parte della predica fissa l’attenzione sulla natura e sulle cause della guerra sotto il profilo della riflessione teologico-spirituale. La seconda, più ampia, si preoccupa di indicare le condizioni grazie alle quali è possibile conservare la pace. La riflessione prende il via affermando in primo luogo che “una delle cose più belle che si possano esprimere con la voce umana, è la parola pace. La pace è quella bellissima cosa che è opposta alla guerra.”

 

Subito dopo il discorso di Geisler si fa più articolato: “Non vogliamo negare il suo valore alla guerra, e la chiesa non ha mai affermato che non ci possano essere guerre giuste e lecite sia diffensive [sic] sia offensive”. Non vogliamo neppure negare un granello di verità a quella sentenza che dice: nella pace l’umanità marcisce, mentre nella guerra sviluppa tutte le sue forze. Ciò nonostante resta vero che la guerra è un male. Essa è un fiume di sangue, un mare di dolori, un semenzaio di odi e di vendette tra i popoli, un sovvertimento di ogni ordine, un distruggimento di ogni sorta di beni creati in tempo di pace, delle ricchezze dei popoli, un semenzaio di odi e di vendette tra i popoli. Il fior dell’umanità muore sui campi di battaglia o languisce nei lazaretti [sic]. Dove passa la guerra le colture son devastate, le case distrutte, i terreni seminati di rovine”.(19)

 

Se indubbiamente “la guerra è un male” e, prosegue Geisler, “non è meraviglia se la chiesa l’ha accompagnata a due altri gravissimi mali, alla peste e alla fame, pregando: a  peste, fame et bello libera nos Domine!” (20),  ci possono essere comunque criteri morali che, in determinate circostanze, rendono la guerra eticamente legittima, non solo per  difesa da un’aggressione. È un richiamo alla tradizionale dottrina cattolica della guerra giusta, con la quale Geisler intende dichiararsi in aperta consonanza. Si tratta di un atteggiamento che caratterizza la chiesa dalla metà degli anni trenta del novecento. […]

 

 

[…] L’obbedienza all’autorità: il soldato e il cristiano

 

Nella pastorale per la quaresima del 1944 (76),  pubblicata sul bollettino della diocesi pochi giorni dopo l’omelia di cui si diceva sopra, trattando dei doveri sociali che il cristiano è tenuto ad osservare, si tornava a parlare dei valori che devono presiedere alla convivenza civile. Commentando alcuni passi della prima lettera di Paolo ai Corinzi, Geisler  ricordava la necessità di subordinare i propri interessi personali a quelli della collettività, insistendo sul senso di un indispensabile spirito di sacrificio da parte del singolo individuo. Parlando infatti dei doveri di obbedienza cui i fedeli sono tenuti, nell’ordine, verso la chiesa, la famiglia e lo stato (“i singoli Istituti Sociali voluti da Dio” (77), Geisler concludeva la lettera pastorale sottolineando il valore pedagogico dell’obbedienza, fulcro della stessa educazione famigliare: “I germi piantati nel cuore del fanciullo dalla mano del padre e della madre, non moriranno più, ma l’educazione ricevuta dai genitori, segnerà la via e darà alla sua vita un’impronta incancellabile. Questo vale in particolare per la Religione ed i costumi.

Ne segue che per i genitori l’educazione morale e religiosa del fanciullo, è il compito primo e più importante”. Dall’educazione religiosa deriva senza soluzione di continuità l’insegnamento del dovere di obbedienza verso lo stato: “Ma non meno importante è l’obbligo dei genitori di educare gli adolescenti al rispetto verso l’autorità, e di risvegliare in loro un tenero senso di responsabilità collettiva, che non li lasci freddi ed indifferenti davanti alla miseria del fratello, al destino del popolo e della patria [“Vaterland” nel testo in lingua tedesca]. Poiché da nessun’altra parte il fanciullo comprende ed apprende con più facilità l’ubbidienza ai superiori ed il docile piegarsi alle esigenze del bene comune, che nella famiglia, cellula-madre di ogni vita collettiva” (78).

Pur in assenza qui di un esplicito riferimento alla vittoria finale,  il dovere dell’obbedienza nei confronti delle autorità politiche rimane secondo Geisler imprescindibile, esistendo senz’altro una chiara coincidenza tra dovere dell’obbedienza politica e conformità alla volontà divina: “I sacrifici che lo Stato ed il governo richiedono dai singoli nell’interesse del bene comune, dobbiamo accettarli volonterosamente. Questi sacrifici saranno necessariamente assai maggiori in tempi di guerra dove è in gioco il destino dell’intero popolo. Anche in tale contingenza vogliamo sopportare coraggiosamente i sacrifici congiunti nella consapevolezza di compiere la volontà di Dio”. (79)

 

Nelle citate frasi di Geisler sembra essere evocata la lettera pastorale collettiva dei vescovi tedeschi del 26 giugno 1941, una delle ultime lettere pubblicate dall’episcopato in Germania. (80) In questo testo i vescovi si rivolgevano ai fedeli ribadendo, nel pieno del conflitto promosso dal nazionalsocialismo hitleriano, che il servizio alla patria impegnata nella guerra equivaleva al compimento del “sacro volere di Dio”. (81)  L’affermazione di Geisler, più sfumata di quella dell’episcopato tedesco di tre anni prima, si può comunque  collocare in un percorso dottrinale elaborato dal magistero pontificio contemporaneo sin dall’età di Leone XIII (Lorenzo Gioacchino Pecci, 1878-1903). In quell’epoca “il dovere di amare la patria terrestre, divenuto tema costante dell’apologetica cattolica, veniva con decisione riproposto nelle encicliche papali” (82),  in particolare nella “Sapientiae christiane”, emanata da papa Pecci il 10 gennaio 1890 e concernente i “doveri fondamentali dei cittadini cristiani”. (83)

 

Sul tema dell’obbedienza alle autorità civili e, in senso più in generale, sui compiti militanti dei cattolici nel mondo secolarizzato, il vescovo era in precedenza intervenuto in diverse occasioni, predicando in lingua italiana ad un pubblico di militari. Nella prima domenica di quaresima del 1939, con una breve omelia che abbiamo già preso in considerazione nel terzo paragrafo, Geisler proponeva una chiara similitudine tra il fedele cristiano e il soldato, richiamandosi indubbiamente all’antica riflessione teologica sulla fede intesa come “militia Christi” (84).  Nella battaglia religiosa ingaggiata dalla chiesa cattolica contro il mondo moderno, Geisler spiegava che Pio XI “voleva opporre” all’”esercito di combattenti contro Dio e la sua Chiesa un esercito di combattenti per Dio e la sua Chiesa. Perciò egli ha istituito l’Azione Cattolica che ha lo scopo di rinnovare la vita religiosa e spirituale dei Fedeli e di formare i soldati che devono combattere le battaglie del Signore. Come in tutte le battaglie così anche nella battaglia religiosa l’elemento più importante e decisivo sono gli uomini. Finché ci sono uomini che credono in Dio e nella Sua Chiesa e di questa credenza fanno la norma della loro vita la battaglia religiosa non è perduta. Ma se non ci fossero più uomini che credono in Dio e mettono in pratica questa loro credenza, allora la battaglia religiosa sarebbe perduta”. (85)

 

 

[…] Considerazioni conclusive

 

In conclusione del contributo, provo a svolgere alcune brevi osservazioni riepilogative, alla luce di quanto si può a mio giudizio ricavare dalla lettura dei documenti fin qui consultati.

            Una prima considerazione riguarda la riflessione teologica di Geisler sulla guerra e sulla pace. Le sue fonti appartengono sostanzialmente alla cultura cattolica intransigente otto-novecentesca e sono influenzate dalla concezione pessimistica del peccato originale di derivazione agostiniana. Queste radici culturali del suo pensiero vedevano nella storia umana, soprattutto in quella moderna, prevalentemente corruzione e male. Al male presente nella storia, che comprende inevitabilmente la sciagura della guerra, occorre rassegnarsi sia abbandonandosi alla volontà di Dio sia mitigandone gli effetti con le opere di misericordia, la solidarietà attiva, infine soprattutto con la preghiera.

            Il senso complessivo attribuito da Geisler alla preghiera consente di mettere in rilievo un secondo aspetto che mi sembra caratterizzi tutta la sua azione pastorale. Almeno fino alla metà del 1943 le preghiere incoraggiate dal vescovo devono servire anche ad impetrare una “pace giusta” ovvero una “pace vittoriosa”, che consenta alla nuova Europa che nascerà al termine della guerra di risanarsi in senso di rinnovata cristianità, soprattutto per arginare la temuta espansione del comunismo. In prossimità all’8 settembre del ‘43 le parole del vescovo non sono prive di oscillazioni tra ferme dichiarazioni di fedeltà alle autorità civili italiane e almeno un momento in cui sembra di avvertire una più decisa adesione alle aspirazioni pangermaniste naziste. Non credo comunque sia possibile sostenere che esista un’identificazione tout court tra il ragionamento del vescovo e le ragioni ideologiche della guerra dichiarata dal nazifascismo, sia prima sia dopo l’occupazione germanica del territorio altoatesino. Tuttavia l’insistenza con cui egli si impegna, anche dopo l’armistizio, per promuovere l’obbedienza leale che i soldati devono mostrare combattendo per la patria, mostra a mio parere come nell’atteggiamento del vescovo di Bressanone sia ben presente un’idea comune nell’episcopato della chiesa del tempo, del resto ben chiara allo stesso magistero pontificio contemporaneo. L’idea consiste nel ritenere comunque giusta l’obbedienza alle autorità costituite, a prescindere tanto dal loro orientamento ideologico quanto dalle concrete scelte politiche, poiché l’ossequio fedele dei cattolici ai governi nazionali è in ultima istanza ossequio alla volontà divina.

            Appare infine un terzo orientamento della posizione elaborata da Geisler negli anni di guerra e già presente negli anni trenta. Si tratta della consuetudine alla deplorazione della guerra, al compatimento indubbiamente molto sentito delle sofferenze inaudite provocate dalla lunghezza di un conflitto rovinoso, attribuendone tuttavia le cause non ai responsabili effettivi, ma piuttosto ad una generale colpa collettiva. La causa di fondo della guerra mondiale nel giudizio di Geisler – che appare  in piena consonanza con l’orientamento dottrinale della chiesa cattolica otto-novecentesca -  è da ricercarsi nella più vasta colpa di cui si è da tempo macchiata l’umanità moderna: voler organizzare la convivenza civile in autonomia dalla direzione e dall’insegnamento della chiesa cattolica. La causa del male è in definitiva individuata anche dal vescovo di Bressanone nell’”apostasia da Dio” attuata dal mondo moderno.

 

 

 

NOTE

 

15) “Zukomme uns dein Reich!”. Adventpredigt des hochwst. Fürstbischofs Dr. Johannes Geisler am 3. Dezember im Dom, in KS, 10 dicembre 1939, p. 2.

16) Lettera quaresimale, 7 gennaio 1940, FDB/1, pp. 1-4; Hirtenbrief , ibidem, pp. 4-7.

17) Ibidem, p. 1. Anche l’esortazione finale alla pace sembra legata alle conseguenze delle opzioni del 1939: “Siate dunque pacifici, diletti diocesani, non permettete che le inimicizie e le ostilità, che nascono tra di voi, vi rendano la vita ancor più amara di quel che è. Consolatevi ed aiutatevi a vicenda a portare la croce che il Signore ha imposto a ognuno di voi!”, Ibidem, p. 3.

18) Friede Christi. Predica in parrocchia, domenica di passione [10 marzo] 1940, ADB, FG, omelie in lingua italiana [dattiloscritto, 4 pp.; le versioni sono due: la prima, con correzioni a penna, ha il titolo in latino “Pax Christi”. La seconda, bella copia corretta, ha il titolo in tedesco “Friede Christi”; entrambe sono redatte comunque in lingua italiana].

19) Ibidem, p. 1.

20) Ibidem, p. 1.

76) Lettera pastorale, in BD/1, 10 febbraio 1944, pp. 1-4 [il fascicolo numerato della pastorale in lingua italiana è inserito nel bollettino]; Fastenhirtenbrief, in ibidem, pp. 1-4.

77) Ibidem, p. 3

78) Ibidem, p. 4.

79) Ibidem, p. 4.

80) Si veda al riguardo MICCOLI, I dilemmi e i silenzi, pp. 176 e sgg.

81) „Bei der Erfüllung der schweren Pflichten dieser Zeit, bei den harten Heimsuchungen, die im Gefolge des Krieges über Euch kommen, möge die trostvolle Gewissheit Euch stärken, dass Ihr damit nicht bloss dem Vaterlande dient, sondern zugleich dem heiligen Willen Gottes folgt […]“. Cfr. Ludwig VOLK, Akten deutscher Bischöfe über die Lage der Kirche 1933-1945, V, 1940-1942, Mainz 1983, p. 463.

82) La frase è di MICCOLI, La guerra nella storia, p. 122.

83) Il testo dell’enciclica leonina si trova in LORA/SIMIONATO (a cura di), Enchiridion, vol. III, Bologna 1997, pp. 532-575.

84) Sulle origini precostantiniane del nesso fede cristiana-milizia bisogna fare senz’altro riferimento al lavoro di Paolo PRODI, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente, Bologna 1992, pp. 35 e sgg. Si veda al riguardo anche il contributo di Fulvio DE GIORGI, Il soldato di Cristo (e il soldato di Cesare), in FRANZINELLI / BOTTONI, Chiesa e guerra, pp. 129-161.

85) Parole pronunciate in occasione di una conferenza per gli uomini italiani, cit., p.1.