Autori: Antonella Bragagna e Roberto Antolini

Rif. bibl.: Bragagna, Antonella, La morte ci colse vivi. Antologia del Leno. Ritratti ispirati al Libro dei Morti della Chiesa Arcipretale di San Marco in Rovereto (secoli XVII-XVIII-XIX), con introduzione di Roberto Antolini, Ed. Curcu&Genovese, Trento 2011.

Antonella Bragagna, La morte ci colse vivi, Antologia del Leno, 2011

 

Introduzione

di Roberto Antolini

Antonella Bragagna si esprime abitualmente con le forme della poesia lineare, nella quale ha ormai trovato, da Io sto con Agar del 2006, una sua sicura maturità. È insomma abituata a condurre, tramite la pagina scritta, un dialogo intimo con i suoi lettori, un dialogo a due, stretto, ravvicinato: dall’autore al lettore, direttamente. Un dialogo che ha di solito, per lei, un registro classicamente lirico, giocato su analogie e immagini connotate.

Con questo testo ci troviamo, invece, su un altro piano, che potremmo definire di teatro poetico. Questo è un testo che le è stato commissionato - da un’idea di Leonardo Franchini (direttore artistico di La compagnia dell’attimo) – per una occasione teatrale. E quindi non ha più nulla del dialogo intimo con il lettore. Questi suoi 50 ritratti, ispirati a duecento anni (da metà XVII a metà XIX sec.) del Libro dei morti della Chiesa Arcipretale di S. Marco di Rovereto (TN), sono nati per una recitazione pubblica, basata sul rapporto: attore/collettivo degli ascoltatori. E quindi si muovono in una modalità comunicativa molto diversa, che deve essere più immediatamente efficace, percepibile “al volo” nel corso della performance, deve lasciare una traccia nella memoria con dei contorni netti, potentemente evocativi e narrativi.

Il riferimento al Libro dei morti offre indubbie suggestioni, che però non è così facile cogliere, per trasportarle in un testo comunque pur sempre poetico. I libri dei morti sono uno strumento anagrafico introdotto nella pratica ecclesiastica dalla controriforma: lasciano al clero locale il compito di registrare giorno per giorno la sequenza dei decessi riguardanti gli abitanti della circoscrizione parrocchiale (nel nostro caso della Arcipretale). Ma le annotazioni sono essenziali, quelle del Libro dell’Arcipretale di S.Marco non vanno in genere oltre nome e cognome del defunto, nome del  coniuge nel caso di donne maritate (o del padre nel caso di nubili), data della morte, luogo della morte (di solito), cause del decesso (di solito), e professione in vita. E questo a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, essendo precedentemente queste annotazioni anche meno specifiche.

Su questi elementi ha lavorato Antonella Bragagna, integrando il mero dato anagrafico con una sua “interpretazione esistenziale”, in grado di dar corpo a personaggi lasciati intuire molto sommariamente dal documento di partenza. Operazione basata sullo strumento di una fantasia comunque sempre rapportata al contesto storico, ed intrecciata dunque ad uno studio minuto sulle condizioni di vita della Rovereto del tempo. Il riferimento letterario va ovviamente ad uno dei testi più fortunati della tradizione poetica novecentesca, quella Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, ispirata alle lapidi di un cimitero dell’America profonda a cavallo fra XIX e XX secolo. Questo lavoro poetico su documenti “finali” di  vite comuni  (anche se alcune note alla storiografia) produce testi dalla forte valenza esistenziale, caratterizzati da punti di vista rovesciati rispetto al punto di vista abituale “proiettato sul futuro” delle nostre vite. Il punto di vista di questi personaggi è invece rivolto al passato, ad un passato ormai immodificabilmente concluso, e conduce quindi a struggenti bilanci. Bilanci di tutti i tipi: intimi-affettivi, ma anche storici e molto “sociali” in questi testi della Bragagna. La reinvenzione poetica di queste vite ha una costante nella ricerca del “senso” dell’esistenza, ma mantiene un rapporto fecondo e tutto sommato – nonostante il contesto teatrale e poetico – anche documentario con i personaggi che sfilano come in una processione nelle pagine del Libro dei morti della Chiesa Arcipretale di S.Marco. In un  tendenziale rispetto creativo delle specificità storico-sociali originarie, organiche alla realtà della Rovereto del tempo, città fiorente di attività manifatturiere paleoindustriali, di traffici internazionali, e di conseguente “libera” circolazione anche delle idee. Ne esce, alla fine, ritratto dopo ritratto - dall’artigiano alla contessa, dall’imprenditore arricchito e nobilitato alla pazza, dall’intellettuale alla monaca di clausura (con una gran presenza di figure femminili) - una mappa poetica, ma non priva di addentellati storici nel panorama sociale e nella cura dei particolari, dall’Autrice puntigliosamente verificati sulla bibliografia di riferimento.

La Chiesa Arcipretale di San Marco a Rovereto (foto Roberto Antolini)

 

Da: La morte ci colse vivi. Antologia del Leno di Antonella Bragagna

 

CONTADINO CONTRABBANDIERE

Vol

IX

Pag

190

Antonio figlio che fu di Giovanni Gotardi, contadino da Crosiano. In prigione in queste Carceri Criminali. Morto nello Spedale, ore 5 di sera

Anni 24

26 Luglio 1832

Emotisi

 

Di notte

e per la selva che sta presso la Chiusa

presero le guardie Antonio

figlio che fu di Giovanni Gotardi.

-          L’Adige era lento.

Era vietato il contrabbandare

bozzoli, polveri ed altra mercanzia

senza passare per dazi, pagare la posta.

-          L’acqua andava piana.

Fu messo in cella, aspettava condanna

morta la vacca il vitello mai nato.

-          Il cielo rasserenato

dopo il temporale.

Mio marito

ammalato in queste carceri criminali

morì alle 5 di sera

il 26 luglio 1832.

Era un bandito per via della sorte

un contadino nato a Crosiano

disfatto per tisi a 24 anni.

A qualcuno, oltre che a me

poté importare della sua morte:

suo figlio mi chiese dove.

-          Volava alto smarrito un gheppio.

 

 

MORTE PER ABORTO

Vol IV

Pag 20 retro

Rosa Toniati, figlia di Angelo Ferin di Trento e moglie di Giacomo Toniati di Trento

Anni 25

27 Settembre 1784

Per un aborto

Io conobbi solo male

per mezzo degli uomini.

Mi pareva buona cosa

di essere arrivata

nella casa bella e comoda

del signor notaro in Rovereto;

di essere venuta via da Trento

e subito aver trovato occupazione,

anche se sul volto e sulla schiena

da lividi bruni ero segnata.

Mi passò, ero ben trattata

mi si chiamava per nome: Rosa,

passa lo straccio sul portone

procura l’acqua, metti la coltre;

attizza il fuoco nella stufa

vai al mercato, Rosa.

Stavo giusto a riordinare la cucina

poi che il notaro aveva finito il desinare,

sentii le braccia, fui azzittita

e il suo buon figliuolo d’anni 28

si accomodò di me a ben profittare.

Dopo tre mesi

cercai da sola

di togliermi l’incomodo

ci provai col ferro lungo,

riuscii soltanto a stramazzare.

Mi trovò il figlio

che era stato criminale in arroganza

e con violenza.

Era il 27 Settembre 1784.

Morii a 25 anni, per aborto.