Tratto da: Romeo, Carlo, Anerkennung nach langer Zeit. Die schwierigen Beziehungen zwischen dem deutschen und italienischen Widerstand in Südtirol, in: Pallaver, Günther/ Steurer, Leopold (Hrsg.), Deutsche! Hitler verkauft euch! Das Erbe von Option und Weltkrieg in Südtirol, Edition Raetia, Bozen 2010, pp. 281-306.
(...) Due Resistenze tra loro lontane
Nell’autunno del 1944 Manlio Longon ebbe alcuni colloqui con l’imprenditore bolzanino Erich Amonn, esponente di rilievo non solo del mondo economico sudtirolese ma anche del gruppo minoritario che nel 1939 aveva optato per l’Italia. I colloqui – che secondo la testimonianza di Amonn furono tre e si interruppero in seguito all’arresto di Longon da parte della Gestapo – anche se irrilevanti da un punto di vista operativo, rivestono un indubbio valore politico ed etico. Si tratta, infatti, del primo tentativo di affrontare la questione altoatesina in un’ottica democratica e di collaborazione tra i gruppi linguistici.
«In un lungo colloquio che ebbi con questo allogeno furono gettate le basi per una collaborazione anti-nazifascista e ci si trovò d’accordo su tutte le questioni locali. Quella dei confini non fu naturalmente toccata»; così scrive l’anonimo estensore di un memoriale indirizzato al CLN Alta Italia nel novembre 1944. (1)
Ma quali erano le posizioni del gruppo di Longon riguardo agli sviluppi futuri della provincia? Qualche traccia è forse possibile ricavarla attraverso un memoriale del CLN di Bolzano che giunge tramite il SIM (Servizio di Informazioni Militari) al Ministero degli Affari Esteri a Roma. Il termine ante quem è il 16 novembre 1944.
Nel memoriale, redatto probabilmente dallo stesso Longon, sono innanzitutto sottolineati gli errori compiuti dal fascismo prima e durante le opzioni. I risultati del 1939 sarebbero stati il frutto della «complicità fascista» almeno per l’atteggiamento indifferente tenuto dalle autorità nei confronti della propaganda nazista.
In secondo luogo il memoriale, analizzando le conseguenze dell’occupazione nazista, riconosce chiaramente il ruolo di vittime ai sudtirolesi Dableiber («gli optanti italiani sono sottoposti anch’essi – e forse in maggior grado – alle violenze d’ogni genere»).
Riassumendo i sentimenti del gruppo italiano il documento individua alcuni orientamenti che ovviamente riflettono, più che gli umori generali, le riflessioni all’interno del piccolo CLN locale:
«Italiani – Tutti sostengono il ritorno dell’Alto Adige all’Italia, con la concessione di molte liberalità ed autonomie amministrative alla popolazione alto-atesina allogena […] larga autonomia amministrativa e culturale nel complesso dello Stato italiano» (2)
Significativa è la richiesta, esposta nel medesimo memoriale, di stampare in 500.000 copie e diffondere (con aviolancio) un volantino bilingue incitante all’insurrezione. Ecco alcuni passaggi del relativo testo, redatto in un tedesco a volte approssimativo.
«...Das Ende diese Krieges wird auch das Ende des Nazifaschismus sein. Niemand wird mehr gezwungen sein, die eigene Muttersprache zu vergessen, oder den Heimatboden zu verlassen: so etwas konnten nur die Nazifaschisten erfinden!
Jedermann wird nach seinen volkstümlichen Gebrauchen leben dürfen und die Religion
seiner Urahnen behalten dürfen; es wird aufhören mit den willkürlichen Systemen, dass fremde Leute als Bürgermeister in unsere Städte und Dörfer geschickt werden,…
Freiheitsliebende Italiener in Südtirol! […] untergrabet jeden Hass gegen die Deutschsprechenden Brüder: es sind nur die Faschisten, welche diesen Hass auch gegen die Nichthitlerianer angezzettelt haben […] reichet eure rechte Hand den deutschen freiheitsliebenden Brüdern, welche die feste Absicht haben, die Nazityrannei zu zerschmettern! […]Während der faschistischen Tyrannei habt ihr einen Unterschied machen können zwischen den faschistischen Raubtieren und den braven Italienern, welche, ebenso wie ihr unter der Tyrannischen Herrschaft gelitten haben.» (3)
La richiesta di stampare e diffondere il volantino bilingue fu respinta sulla base di una motivazione che già guardava alla questione dei confini che si sarebbe aperta a guerra finita:
«…Esso (il volantino, ndr) invita detti “tedeschi”, che ieri avevano optato per la Germania ed ora sono pro-Austriaci, a combattere per gli Alleati; a crearsi cioè particolari benemerenze, le quali verranno impugnate, nella definizione del destino dell’Alto Adige, contro i nostri interessi» (Luigi Chatrian). (4)
Nell’immediato dopoguerra
La particolare “guerra fredda etnica” che influenzò il clima politico locale fin dai primi giorni del dopoguerra è alla base della diffidenza con cui da parte italiana si guardò all’Andreas Hofer-Bund (AHB) di Egarter, come pure alla rivendicazione di una matrice antinazista da parte dell’SVP. Un esempio assai noto è la questione del mancato riconoscimento del gruppo Egarter quale gruppo partigiano.
Il 22 giugno 1945 si svolse a Bolzano la solenne cerimonia di ringraziamento (e al contempo di disarmo) da parte alleata nei confronti dei partigiani. Alla parata presero parte 500 partigiani italiani e nessun accenno fu fatto a persone o gruppi resistenti sudtirolesi.
È abbastanza conosciuto il documento con cui il colonnello William Mc Bratney, commissario per Bolzano del governo militare alleato, caldeggiava per Egarter e il suo gruppo (di circa 300 persone) il rilascio del certificato Alexander e l’assegnazione di premi in denaro. (5) Si sarebbe dovuto modificare il certificato per adattarlo (a partire dalla lingua) alla situazione sudtirolese. Di fronte alle difficoltà di questa “conversione linguistica”, che riguardava ovviamente anche l’accenno alla «liberazione d’Italia», Egarter rinunciò al brevetto. Egli avrebbe preferito che il riconoscimento dell’AHB rientrasse in quello del movimento austriaco «Patria». Era proprio con questo movimento e in particolare col suo capo Wilhelm Bruckner che Egarter era entrato in contatto tramite i suoi corrieri tra il Sudtirolo e la Svizzera (fra i quali Hans Pircher). (6)
In ogni caso una domanda di riconoscimento dell’AHB giunse all’Ufficio Patrioti di Bolzano, guidato dal Tenente Mario Carta. Nella sua relazione Carta mostrava più di un motivo di imbarazzo nell’applicare al gruppo di sudtirolesi i criteri stabiliti dal decreto di riconoscimento. Per quanto riguardava l’attività dell’AHB durante le opzioni, l’Ufficio Patrioti la liquidava come «politica e non militare» e pertanto non di sua competenza, mentre sugli episodi di sabotaggio e attività militare elencati da Egarter nella sua relazione , il giudizio era di insignificanza o di mancanza di prove. Anche la posizione dei disertori e renitenti non veniva giudicata rilevante. Riferendosi all’attività svolta per conto degli Alleati nei mesi successivi alla fine della guerra, la definizione proposta da Carta era di «Gruppo di polizia Egarter» non di «Gruppo Partigiano».
Su questa scorta anche la Prefettura di Bolzano così rispondeva al Ministero degli Esteri che aveva chiesto informazioni: «A seguito di accertamenti eseguiti non risulta che in Alto Adige, durante l’occupazione tedesca, vi sia stato un movimento partigiano allogeno (…) Fra i militari allogeni vi furono alcuni che per paura disertarono o non risposero alla chiamata alle armi (…) senza contribuire alla causa della liberazione.» (7)
La dimostrazione della partecipazione alla lotta di liberazione dalle dittature aveva per i due gruppi linguistici un’importanza primaria in vista della conferenza di pace. Il 15 novembre 1945 un articolo del «Volksbote», difendendo l’immagine del gruppo tedesco dall’accusa (ricorrente sulla stampa italiana) di totale complicità col nazismo, si lasciava andare ad un’infelice spunto polemico, spiegabile solamente dal clima di feroce contrapposizione propagandistica:
«Was aber den aktiven Widerstand gegen die nationalsozialistische Herrschaft anbelangt, so müssen wir einmal feststellen, dass wir vor dem Waffenstillstandsvertrag nie einen italienischen Partisanen in Südtirol gesehen haben. Und die Herren, die sich nach dem 3. Mai 1945 als Partisanen gebärdeten, können wir wirklich nicht als solche anerkennen».
La reazione da parte italiana fu di grande clamore e portò l’ANPI alla pubblicazione, nell’anno successivo, del libro Perché?, una documentazione dell’attività resistenziale italiana in provincia. Citata talvolta ancora oggi come opera storiografica, essa andrebbe invece interpretata quale documento storico, nel contesto della controversia politico-propagandistica in cui nacque. Nel finale dell’introduzione si leggeva comunque la volontà di “chiudere” una sterile polemica, aprendo la via a un reciproco riconoscimento:
«I partigiani italiani sanno essere superiori ad ogni meschino tentativo di offesa e tendono sinceramente la mano a quanti, patrioti tedeschi, hanno comunque lottato contro il nazismo, contro l’oppressore, per la libertà e la fratellanza dei popoli». (8)
Agli occhi delle autorità e dei referenti politici italiani in provincia la figura di Egarter negli anni 1945 e 46 apparve certo contraddittoria. Da un lato, egli si presentava come il più credibile antinazista in campo SVP, anche per i coraggiosi articoli in cui sollecitava una seria epurazione. (9) Vi fu anche un tentativo di strumentalizzazione nei suoi confronti da parte del quotidiano «Alto Adige», che deformò alcune sue dichiarazioni facendole apparire come contrarie all’autodeterminazione. Egarter dovette smentirle con forza. (10)
Dall’altro lato, non poteva certo sfuggire l’attivismo di Egarter proprio nella causa della riannessione all’Austria. I suoi buoni rapporti con le autorità e i servizi segreti alleati ne facevano un personaggio da “sorvegliare” e difatti già alla fine del 1945 fu fermato da agenti della PS ed interrogato circa i propri contatti con l’estero. Nei giorni successivi all’attentato al monumento di Andreas Hofer a Merano (20 febbraio 1946), fu tra i primi sospettati e più volte interrogato.
Tuttavia il momento di maggiore “incomprensione” si ebbe con il suo famoso discorso alla cappella del Sandhof a San Leonardo in Passiria (29 settembre 1946). Egarter, oratore principale della giornata, in una retorica allocuzione intrisa di patriottismo e religione celebrò il ricordo di tutti i compatrioti caduti, senza alcuna distinzione di fronti. Lo spirito del suo intervento si rifaceva indubbiamente a quello “sacrocuorista” che si era espresso nella grande celebrazione del giugno precedente, nel segno di una rinnovata unità della comunità sudtirolese. Ma i significati più che altro religiosi di quelle parole di pietosa commemorazione dei caduti, non potevano trovare una convincente collocazione su un piano etico-politico. Il 6 ottobre 1946 il «Corriere delle Dolomiti» (sotto lo pseudonimo di «Andrea», presunto «corrispondente in Val Passiria») rivolse al capo dell’AHB un violento attacco a quattro colonne, col titolo «Egarter ha insultato il nome di Andrea Hofer». Nella prima parte veniva sottolineata l’incoerenza dell’accostamento, fatto da Egarter, tra gli eroi del periodo hoferiano e i caduti dell’ultima guerra sul fronte nazista.
«I tirolesi del 1809 caddero per i loro sentimenti religiosi e per la loro patria tirolese, mentre i soldati del 1943, aggregati alle formazioni delle SS e della Wehrmacht caddero per gli ideali imperialistici ed aggressivi di Adolfo Hitler e della grande Germania. Vediamo quindi quale la differenza tra le due epoche! […] È quindi un vero e proprio insulto quello commesso in Val Passiria dalla ‘Lega Andreas Hofer’. Insulto ai nostri purissimi eroi, del 1809.» (11)
Subito dopo questa a suo modo rigorosa osservazione, l’articolo si sviluppava però in un mirato, provocatorio e infamante attacco, diretto non solo ad Egarter, ma all’immagine complessiva della resistenza sudtirolese. Sulla base dell’asserzione che l’unica resistenza antinazista sarebbe stata quella in campo italiano, gli unici scopi dell’AHB venivano ricondotti alla battaglia separatista. E di Egarter venivano presentati i tratti del vile cospiratore clandestino e “contrabbandiere”.
«… Egarter e i suoi amici (è questa la voce comune in Passiria) durante tutto il periodo nazista si tennero ben nascosti in quelle vallate meranesi e da tutti furono tacciati di vili. Se essi non fossero stati tali, sarebbero certamente passati nelle file dei partigiani italiani ed avrebbero avuto l’occasione di combattere il tedesco invasore fianco a fianco ai loro amici italiani. Nelle file dei partigiani italiani abbiamo invece trovato pochissimi sudtirolesi! E perché? Ad Egarter ed ai suoi uomini mancava il coraggio ed inoltre non avevano per tali azioni le necessarie capacità.
Dopo il crollo della potenza germanica essi si affrettarono ad atteggiarsi come veri eroi e partigiani e rafforzarono le loro file costituendosi in un vero «movimento di resistenza». Furono iscritti ex-nazisti e il programma si compendiò in un articolo solo: «Lotta ad oltranza contro gli italiani!». Coll’aiuto di alcuni francesi fu iniziata la propaganda annessionista all’Austria. Egarter accettò sovvenzioni in denaro dai nemici di Andrea Hofer ed insegnò ad essi la via per varcare la frontiera (come del resto Raffl tradì il suo padrone Andrea Hofer!). Francesi, provenienti dall’Austria o dalla Svizzera tennero concioni nel quartier generale di Egarter in via Laurino a Merano.
Vediamo quindi che il discorso di Egarter è stato redatto secondo le direttive dei suoi padroni del Volkspartei…»
Un “nuovo ponte”?
A questo attacco Egarter rispose sul «Volksbote» («An eine gewisse Presse», 10.10.1946) con veemenza ma in modo alquanto confuso. Una sorta di “riconciliazione” avvenne l’anno seguente, tramite l’ANPI, in occasione della celebrezione del 25 aprile. Il contesto politico era radicalmente mutato: la decisione sui confini era stata ormai presa a Parigi e quella sudtirolese era ormai una questione autonomistica non più separatista. Il periodico «Il Nuovo Ponte. Voce dei combattenti della Libertà» invitò Egarter a scrivere un articolo, che apparve con tutta evidenza, in lingua tedesca e in traduzione italiana, in prima pagina e in funzione simmetrica all’articolo di Libero Montesi («Cap. Franco»). Si tratta, a mio giudizio, di uno degli interventi più maturi e ponderati di Egarter. I riferimenti al cristianesimo sono assai lontani dal confuso connubio di religione e patriottismo che aveva caratterizzato le cerimonie dell’anno prima. Egarter sembra esplicitare semmai la necessità di disancorare la fede religiosa dal fanatismo nazionalista, smentendo la priorità della difesa dei caratteri etnici rispetto agli altri valori morali. È proprio uno dei motivi che aveva caratterizzato la “rivoluzionaria” riflessione dei giovani dell’azione cattolica bolzanina negli anni Trenta, sulla scia della Katholische Jugendbewegung e di Romano Guardini. È la riflessione di don Ferrari, Josef Mayr-Nusser, Toni Kaser e molti altri. Dietro le parole di Egarter vi è forse già la consapevolezza dei problemi futuri della convivenza e l’amarezza di un uomo destinato all’emarginazione politica.
Con gli occhi di oggi il passo di Egarter potrebbe essere letto come il primo tentativo di una “celebrazione interetnica” della Liberazione.
«... Wenn ich als Leiter der Südtiroler Widerstandbewegung «Andreas Hofer Bund» Ihrer Einladung nachkomme und für die Sondernummer zum Gedenktag meinen Beitrag leiste, so möchte ich damit vor allem einer gegenseitigen Verständigung und damit dem Frieden dienen.
Wir sind es den Toten schuldig, die ihr Testament an uns mit ihrem Herzblut auf dem Kampffeld, den Richtstätten und Konzentrationslagern geschrieben haben [...] Eurer Kampf galt dem Faschismus, wie durch 20 Jahre der unsere. Eurer Kampf galt dem Nazismus, wie der unsere. Wir lehnen jede Diktatur in jeder Form ab [...] Ihr Blatt trägt den bezeichnenden Titel „Il Nuovo Ponte“. Er soll eine Brücke von der alten in die neue Welt, von der Vergangenheit in die Zukunft sein. Wir bauen an dieser Brücke und unsere Aufgabe ist es, dass die Grundpfeiler fest und stark und widerstandfähig werden. Nicht auf dem Schutt zerschlagener und zertrümmerter Weltanschauungen dürfen wir aufbauen: die müssen wir zuerst wegräumen und uns von ihm befreien, sondern auf dem Felsenfundament jener Weltanschauung, deren oberste Grundsätze Wahrheit, Gerechtigkeit und Liebe heißen [...] Jeder soll für sein eigenes nationales Ich eintreten, aber es darf nicht als ausschließlicher Daseinszweck betrachtet werden [...] Wir haben das gute Recht, für unser Sonderleben, sowie Sprache und Sitte einzutreten, aber wir wissen auch, dass damit nicht eine trennende Mauer der Unversöhnlichkeit aufgerichtet werden soll [...] » (...)

Note
1) Relazione al CLNAI di Milano, ISMLI, Clnai, Cvl veneto, b.7, f.5. L’intera relazione è pubblicata in: Agostini, Piero/Romeo, Carlo: Trentino e Alto Adige province del Reich. Trento: Temi 2002, pp. 265-6.
2) Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, Affari politici 1946-1950, Italia-Alto Adige, Conferenza di pace, busta 254, fasc. Memorie e appunti vari, “Memoriale sull’Alto Adige” (anonimo).
3) Ibidem, testo tedesco del volantino.
4) Ibidem, Promemoria del Generale Delegato presso la Commissione Confini del Ministero Affari Esteri Luigi Chatrian, 25.11.1944.
5) Il documento fu prodotto da Egarter come allegato al processo del 1951
6) Sul «Wehrverband Patria» e sul suo fondatore Wilhem Bruckner, vedasi Steinacher, Gerald: Wilhelm Bruckner und der "österreichische Wehrverband Patria" 1943-1946, in: Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstandes (Hrsg.), Jahrbuch 2001: Schwerpunkt Justiz, Wien 2001, 147-183.
7) Prefetto di Bolzano a Segreteria Generale Min. Affari Esteri, Oggetto: Movimento di resistenza allogeno durante l’occupazione nazista, Bolzano 31.07.1946. Il decreto 21 agosto 1945, n. 518, definiva all’art. 9 «patrioti combattenti (ossia partigiani, ndr) gli organizzatori e i componenti stabili od attivi di bande le quali abbiano effettivamente partecipato ad azioni di combattimento e di sabotaggio; coloro che abbiano compiuto in qualunque modo atti di eccezionale ardimento durante la guerra di liberazione». La definizione di «patrioti» competeva invece a coloro che «hanno collaborato o contribuito alla lotta di liberazione», ampliando così il concetto all’attività di propaganda, informazione, sostentamento e aiuto al movimento resistenziale.
8) A.N.P.I., Sezione di Bolzano: Perché? Rovereto: Manfrini 1946, p. 3.
9) Si ricordi tra gli altri l’articolo “Gerechtigkeit und Gericht” (22.11.1945), pubblicato addirittura in anteprima su «Erneuerung», la versione tedesca del settimanale «Rinnovamento», organo del PCI locale (18.11.1945).
10) Cfr. «Alto Adige», 2.6.1946 e «Dolomiten», 3.6.1946.
11) «Corriere delle Dolomiti», 6.10.1946.