Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Andreas 4ever? Il Tirolo nel 1809, Andreas Hofer e il suo mito, Provincia Autonoma di Bolzano, Bolzano 2009, pp.11-12. 

 

 

Carlo Romeo, Andreas 4ever?, 2013

 

Un eroe “umano” e popolare 

 

di Carlo Romeo

 

 

Le ricostruzioni della figura storica di Andreas Hofer si sono da sempre dovute confrontare con la penuria di fonti disponibili, soprattutto riguardo al periodo precedente il 1809, nonché con la loro tipologia (in gran parte memorie, testimonianze indirette, informazioni convenzionali). Sulla spinta delle varie finalità ideologiche, il mito ha facilmente riempito i vuoti lasciati dai pochi elementi storiografici certi, incidendo sulle immagini che di lui sono state elaborate e trasmesse.
Andreas Hofer non fu un teorico o un intellettuale. Nonostante il suo buon senso, i soggiorni, viaggi e contatti d’affari, il suo orizzonte culturale e mentale rimase quello della “piccola patria” in cui era nato e vissuto: rigide divisioni sociali, conservatorismo religioso, lealismo verso gli Asburgo e l’antico regime.
Non fu nemmeno un uomo di Stato e di governo. Nei mesi della sua reggenza del Tirolo come Oberkommandant (Comandante superiore), consapevole dei propri limiti, affidò le incombenze più difficili a suoi consiglieri e compagni, senza peraltro saper scegliere sempre i migliori. Se è lecito parlare di una linea politica del suo governo provvisorio, prescindendo dalle ordinanze sui buoni costumi e sulla religione, essa non è altro che una radicale restaurazione dello stato precedente il 1805.  
Secondo alcuni Hofer non sarebbe stato neppure un grande comandante militare. Di certo non disponeva di una specifica formazione nell’arte della guerra, a partire dal linguaggio. È rimasta famosa la laconica risposta che Hofer avrebbe dato a un comandante (Anton von Gasteiger) che gli chiedeva il piano di operazioni per la propria compagnia di Schützen, nell’imminenza della prima battaglia del Berg Isel: «Quando incontrate i Bavaresi, dategli addosso e buttateli giù dalla montagna». Inoltre, nelle vittorie tirolesi più sorprendenti, ha avuto maggior rilievo il ruolo di altri comandanti.
Gli appelli e gli ordini emanati da Hofer ebbero certo una grande autorità in tutto il Tirolo. Ma fu un’autorità tutto sommato fragile, se è vero che altri leader dell’insurrezione riuscirono più volte a fargli cambiare idea, minacciando persino di fucilarlo.
Secondo alcuni giudizi contemporanei, infine, Hofer non sarebbe stato all'altezza delle responsabilità che si era assunto. Sembra difficile negare che le sue ripetute ingenuità e indecisioni, nelle ultime fasi della guerra, abbiano contribuito a peggiorare la situazione generale del paese. E viene naturale pensare che se avesse dato ascolto ai consiglieri più moderati (uno su tutti: Josef Daney) e avesse approfittato del completo perdono concesso dai francesi, avrebbe risparmiato ai tirolesi ulteriori lutti.

  

Franz Kranewitter, Andre Hofer, Innsbruck 1909 (3° ed.)

 

In che cosa risiede dunque la forza del suo mito, capace di uscire indenne (se non rafforzato) dalla caduta di imperi, troni, frontiere? Forse proprio nel fatto che esso è intriso di umana e candida limitatezza. Hofer non ci appare mosso da alcuna ambizione di potere o di denaro. Chiamato dagli altri ad assumere il ruolo di comando, si schermisce e infine lo accetta consapevole di essere inadatto al compito e confidando nell’aiuto del Signore. Nella sua difficoltà di muoversi tra le “malizie” dei nemici e degli amici, dell’alta politica e della diplomazia si è riconosciuta interamente l’anima popolare. È l’eroe della “buona fede” destinato ad essere ingannato.
A suggellare l’inizio del suo mito è la sua morte gloriosa, così come ci è giunta attraverso successivi dettagli eroicizzanti. Una morte che “consacra” per sempre una parabola che sulla scena della storia è durata meno di un anno. Il racconto epico ama l’unità e la concentrazione degli eventi.
La figura di Andreas Hofer invita quindi ad un’istintiva immedesimazione popolare. Per questo è stata usata e abusata in ogni contesto. Essa è stata lo specchio di due secoli di elaborazione identitaria del Tirolo, ne ha accompagnato tutti i rivolgimenti più importanti, ne ha incarnato passioni, aspirazioni e angosce in una girandola contraddittoria. Hofer è stato vestito di volta in volta coi panni dell’eroe asburgico, del martire cattolico, del guerriero germanico; ha avuto come suoi nemici «diavoli» francesi e bavaresi, irredentisti italiani, liberali, ebrei, massoni, protestanti e così via. La sua immagine è servita a mobilitare il Volk per ideologie lontanissime dalla patria tirolese del primo Ottocento.
A prescindere da ogni auspicabile progresso della ricerca storiografica futura, oggi basterebbe questa critica consapevolezza ad impedire altri “abusi” del mito hoferiano. Nella storia della pittura l’emergere di nuovi orizzonti si rivela al meglio nei nuovi approcci a soggetti antichi. Il mito del Sandwirt assomiglia oggi ad un motivo naturale, una parte integrante del “paesaggio” di questa terra. In esso trova un termine di confronto ogni espressione culturale che voglia segnare le proprie coordinate tracciando ideali continuità come pure epocali distanze dalla tradizione.