Autore Ernesto De Franco

Rif. bibl. De Franco, Ernesto, Sicilia ("Collezione Almanacchi Regionali per i fanciulli siciliani diretta da R. Almagià"), G.B. Paravia, Torino 1925, pp. 218-220

 

 

 

L’ARCIPELAGO EOLIO

 

Al navigante che attraversa le acque dell'azzurro Tirreno, le meravigliose isole dell'Arcipelago Eòlio, o Vulcanico, o di Lipari, dànno un senso eli sollievo e di gioia: poiché esse gli annunziano la Sicilia bella, di cui sono le sentinelle avanzate!

Lanciato sul mare dal fuoco sotterraneo, e schierato dirimpetto alla costa settentrionale della Sicilia, questo arcipelago, esteso complessivamente 117 chilometri quadrati, si compone di sette isole (Lipari, Vulcano, Salina, Filicudi, Alicudi, Panaria, Stròmboli) e dieci isolotti (fra i quali sono notevoli Basiluzzo, Lisca Bianca, Lisca Nera, Dattilo, Bottaro, Panarelli, Vulcanello e Strombolicchio).

La maggiore, la più importante e la più fertile delle Eòlie è Lipari, costituita di tre coni vulcanici spenti da secoli. Vi si notano le interessanti cave di pietra pomice e le meravigliose ossidiane, cioè i vetri vulcanici originati dalle lave: che magnifico spettacolo offrono queste enormi masse di vetro dalle creste svariate, orride di punte e di angoli!
Il capoluogo è la cittadetta di Lipari, dove, nella Cattedrale e in alcune chiese, si ammirano buone pitture. Sorge attorno ad un ampio castello semirovinato, su un'altura rocciosa circondata da fertilissimi verzieri. A Lipari accorrevano un tempo gli ammalati per le sue benefiche acque termali, le quali anche oggi vi scaturiscono copiose, mentre vi scarseggiano quelle potabili.

Interessantissima è l'isola di Vulcano, la più meridionale delle Eòlie. Un vasto cratere (la Fossa di Vulcano), dal quale si estraevano zolfo, allume e altri prodotti, manda da tempi antichissimi fumo e boati e vapori: ad esso è unito, mediante un istmo di lava e di sabbia, l'isolotto di Vulcanello. Vulcano è scarsamente coltivata ed ha poche centinaia di abitanti: Salina, che è la meglio coltivata del gruppo Eolico e, dopo Lipari, la maggiore, si compone di due vulcani spenti fra i quali si estende un'ampia e fertile vallata. Produce la gustosa malvasia (la malvasia di Salina!), capperi, uva passa, olio, fichi, mandorle; e inoltre la salsola soda e la reseda salseola, piante per tintoria.

La popolazione fiorentissima, raccolta in parecchie borgate (S. Marina, Malia, ecc.), è tutta dedicata all'agricoltura e alla navigazione: e non soltanto gli uomini, ma anche le intrepide donne. Il nome di Salina è venuto all'isola dal sale che si ricava per l'evaporazione di una lagunetta di acqua marina, sulla spiaggia meridionale.

Filicudi e Alicudi sono due erti coni vulcanici isolati distanti fra di loro circa 15 chilometri: Filìcudi, dalle coste splendide, incise di pittoresche grotte, popolata da oltre un migliaio di abitanti, è coltivata a ulivi, orzo, grano, capperi; Alicudi, la più occidentale delle isole Eolie, produce capperi, ulivi, carrubi, canne, fichidindia.

Panaria, a nord-est di Lipari, è la maggiore isola di un gruppetto di scogli rocciosi e vulcanici, arditi e caratteristici (Basiluzzo, Lisca Bianca, Dattilo, Bottaro, Lisca Nera, Panarelli, Formiche). Solo Panaria è discretamente fertile e coltivata; degli isolotti alcuni sono nudi, altri erbosi e giovano come pascoli.

 

A nord-est la singolarissima e meravigliosa Stròmboli chiude la pittoresca collana, delle Eòlie. Un cono vulcanico elevato 926 metri emerge dal mare, e impennacchiato di fumo sbuffa, ad intervalli, sabbie, ceneri e sassi. Eppure, nonostante la perenne attività dello Stròmboli, i gagliardi abitatori non temono di vivere nella loro isola di fuoco! Il cono è incoronato, in alto, da un gran cratere antico, dentro il quale se ne apre un, altro più piccolo. In questa voragine si vede la lava rilucere e ribollire, come una massa di pece liquida: ed ecco che dopo un'improvvisa esplosione e un getto di vapori, la colonna di lava s'innalza e s'abbassa ad intervalli regolari lanciando, insieme con scorie e gas, una tempesta di sassi roventi che oltrepassano l'orlo del cratere e diffondono, lontano lontano, un vivido bagliore. L'immensa fiammata squarcia le tenebre avvolgenti il mare e splende, da lungi, ai naviganti: appunto perciò lo Stròmboli da gran tempo è chiamato il Faro del Mar Tirreno!