Gli storici e la prima guerra mondiale nell’area trentino-tirolese.

 

Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: recensione in «Studi Trentini. Storia», A. 98 (2019) n. 2, pp. 498-502.

 

La storia va alla guerra. Storici dell’area trentino-tirolese tra polemiche nazionali e primo conflitto mondiale, a cura di Giuseppe Albertoni, Marco Bellabarba, Emanuele Curzel, Università degli Studi di Trento/Dipartimento di Lettere e Filosofia (Studi e Ricerche 18), Trento 2018, pp. 341, 12,00, ISBN 978-88-8443-825-6.

 

Come segnala Gustavo Corni nell’introduzione, il convegno (ottobre 2016) da cui è derivato il volume si inseriva in un progetto, promosso dall’ateneo trentino, mirato ad approfondire alcune complesse questioni poste alla storiografia nel clima dell’allora ribollente centenario dello scoppio della prima guerra mondiale. Tra i diversi aspetti qualificanti, vi è anzitutto la specifica focalizzazione su scala regionale del nesso tra attività storiografica lato sensu (magistero, scuole, tecniche, orientamenti e tendenze) e l’accelerazione della mobilitazione nazionale, in cui culmina il lungo periodo di tensione precedente. Tutti i contributi sottolineano inoltre la centralità di questa fase nella genesi di approcci alla storia di questa regione le cui narrative hanno tardato a subire una critica decostruzione. Infine, la varietà dei percorsi di ricerca – che collegano profili biografici di singoli autori a quelli di circoli, riviste, associazioni sullo sfondo di correnti e orientamenti più generali – consente da un lato di inserire gli sviluppi della storiografia trentino-tirolese nel più ampio contesto europeo, dall’altro di far emergere il ruolo specificamente politico che in certi momenti può svolgere la storiografia, declinata in divulgazione, formazione di opinione, propaganda.  

La serie dei contributi è aperta da Giuseppe Albertoni che illustra l’‘eredità tirolese’ del magistero di Theodor von Sickel (1826-1908), individuato come figura chiave per l’esportazione nell’area austriaca e specificamente tirolese del modello della storiografia tedesca ottocentesca, che trova il suo emblema nei Monumenta Germaniae Historica (MGH) e che abbinava strettamente cura scientifico-filologica e spirito patriottico, soprattutto col concetto di “deutsches Volk”. Una linea che si rivelò alternativa a quella cattolico-conservatrice incarnata dal benedettino Albert Jäger, suo predecessore alla direzione dell’Institut für Österreichische Geschichtsforschung di Vienna. Il patriottismo austriaco e quello ‘locale’, promossi dalle autorità e sottesi al magistero di quest’ultimo, venivano infatti sfumando col mutare del contesto internazionale, soprattutto con l’indebolimento delle prospettive “grandi tedesche”. Sickel, protestante e di origini sassoni, incarnò una sorta di duplice patriottismo, tra il lealismo asburgico e l’idea imperiale tedesca. Si trattava di una posizione destinata a raccogliere ampio consenso nel mondo intellettuale dell’Austria tedesca. E sul piano storiografico gli studi locali da lui promossi (soprattutto edizioni di fonti) si inserivano in un contesto più ampio, in uno spirito ‘tedesco’ nel senso dei MGH. Tra i seguaci tirolesi del suo metodo si possono annoverare Emil von Ottenthal, Oswald Redlich, Hans von Voltelini, i cui lavori dopo la guerra furono improntati a un patriottismo tedesco-tirolese.

Walter Landi segue invece la biografia di Michael Mayr (1864-1922) che dall’attività storica passò a quella direttamente politica, diventando deputato a Vienna e a Innsbruck e dopo la guerra, per breve tempo, fu il primo cancelliere della Repubblica austriaca. Dal 1897 direttore Statthalterei-Archiv, fondò le «Forschungen und Mitteilungen zur Geschichte Tirols und Vorarlbergs» (1904-1920), la prima rivista tirolese di studi storici di ampio respiro. Il contributo ricostruisce in dettaglio l’ascesa di Mayr tra i cristiano-conservatori, le sue polemiche con gli ambienti liberali universitari di Innsbruck (soprattutto in occasione del “caso Wahrmund”) e il suo successivo passaggio ai cristiano-sociali, in travolgente ascesa, che gli causò accuse di opportunismo. La sua militanza nel Tiroler Volksbund esemplifica la dimensione transpartitica del fronte tedesco-tirolese nel radicalizzarsi della lotta nazionale. La guerra accelerò in Mayr e in altri l’elaborazione di un battagliero programma che rifletteva gli orientamenti geopolitici del tempo, ovvero la ‘rigermanizzazione’ del Trentino, dei suoi toponimi, delle sue proprietà fondiarie, delle sue popolazioni; in una direzione affine alle speculari, contemporanee idee di Ettore Tolomei.

Proprio al roveretano è dedicato l’intervento di Davide Allegri che sottolinea l’importanza della memoria del periodo napoleonico nella strategia di consolidamento del concetto tolomeiano di “Alto Adige”. L’autore segnala che nelle annate dell’«Archivio per l’Alto Adige» precedenti lo scoppio della guerra (1906-1914) sono ben venti i contributi che si riferiscono al “Dipartimento dell’Alto Adige” o all’insurrezione hoferiana del 1809. Al mito dell’“Anno Nove” celebrato dal Tirolo tedesco in occasione del centenario, Tolomei contrappone un altro mito: quello della buona amministrazione, del progresso giuridico, della riconquista del legame culturale e identitario con lo “spirito latino” che il Trentino avrebbe sperimentato nel breve periodo del napoleonico “Alto Adige” (1810-1813), non importa se all’interno di confini assai diversi da quelli del ‘suo’ Alto Adige, fondato sul concetto geografico dello spartiacque.

Il 1909 è un anno vivace anche per l’editoria roveretana. Come illustra il contributo di Vito Rovigo in quell’anno nasce la rivista «San Marco», rivista di “studi e materiali” per la storia di Rovereto e della Vallagarina, che durerà fino allo scoppio della guerra. Guidata dalle personalità di Ettore Zucchelli, Enrico Tamanini e Quintilio Perini la rivista rifletteva la distanza dall’Accademia degli Agiati nel segno di una più accentuata militanza nazionale. Sono soprattutto le memorie del dominio veneziano a rappresentare in forme esplicite l’orientamento del gruppo, accanto ovviamente ai numi tutelari di Clementino Vannetti e Antonio Rosmini.

Il saggio di Emanuele Curzel analizza l’attività pubblicistica, sinora poco esaminata, di Luigi Onestighel (1880-1919) che si dispiega soprattutto su «Tridentum» e «Pro Cultura». Emerge un deciso orientamento nazionale, soprattutto nella preoccupazione per l’attività delle società pangermaniste e nella denuncia dell’inerzia da parte italiana. Significativo appare anche il forte interesse per la difesa delle posizioni italiane nella Valle dell’Adige a nord di Salorno. Durante il periodo bellico, trascorso da confinato tra Bolzano e la Val di Non, Onestighel compilò un frammentario diario che testimonia con chiarezza ancora maggiore la dimensione militante della sua attività di ricerca storica.

Francesco Frizzera ricostruisce con dati quantitativi l’attività degli storici trentini prima e dopo la guerra, rivelando come le pur varie esperienze durante la guerra del centinaio circa di collaboratori delle riviste considerate («Archivio Trentino», «Tridentum», «Pro Cultura», «Rivista Tridentina», «San Marco) siano andate prevalentemente in una direzione unica: il consolidamento del senso di appartenenza nazionale. Ciò spiega anche come, a dispetto delle differenziazioni politiche precedenti (che comunque l’analisi dell’autore invita a ridimensionare), nel dopoguerra sia stato passaggio facile la convergenza delle forze all’interno della neocostituita Società di Studi Trentini di Scienze Storiche. E contribuisce anche a spiegare lo scarto tra la memoria della guerra della maggioranza della popolazione trentina e quella, di spirito nazionale, che gli storici trentini veicolarono nel dopoguerra, questa volta con il pieno sostegno delle nuove autorità.

Al clima del dopoguerra si riferisce il contributo di Carlo Andrea Postinger che ricostruisce l’emblematica vicenda dell’“epurazione mancata” del presidente dell’Accademia degli Agiati Carlo Teodoro Postinger (1857-1923), ‘colpevole’ di aver inviato in tale veste nel periodo bellico due atti di omaggio all’imperatore. Fu ritenuto grave soprattutto il primo, redatto nel novembre 1915 in occasione del 67° anniversario di regno, che recava l’auspicio della vittoria sulle “genti che perfidamente hanno voluto la guerra”. Vengono descritte le dinamiche per le quali l’affaire oltrepassò la dimensione interna dell’Accademia roveretana, divenendo esemplare del clima di confusa instabilità del primissimo dopoguerra trentino. Da un lato le richieste di radicale e sommaria condanna e rottura col passato, dall’altro l’immagine di un ex funzionario imperialregio ampiamente stimato e di indiscussi “meriti nazionali”. A complicare il quadro, proprio nel periodo in cui si discute la sua eventuale epurazione dall’Accademia Postinger svolgeva importanti funzioni per le nuove autorità (nella commissione per il recupero degli archivi e come commissario civile a Bolzano). Significativa conclusione del caso fu la semplice ‘decadenza naturale’ della sua presidenza attraverso il ‘normale’ rinnovo delle cariche.  

Un altro controverso omaggio  ̶  questa volta a firma del medievista sudtirolese Leo Santifaller (1890-1974) e rivolto al principe ereditario Umberto di Savoia in visita in Alto Adige (1924)  ̶  è al centro del contributo di Werner Maleczek.  La scomoda posizione in cui viene a trovarsi lo studioso nei primi anni del dopoguerra viene indicata come “duplice lealismo”. Ancor giovane ma già apprezzato per i suoi innovativi lavori sul Capitolo del duomo di Bressanone, Santifaller viene individuato dalle nuove autorità (su consiglio di ambienti viennesi) come la figura ideale per organizzare e guidare l’istituendo archivio di stato di Bolzano con gli innumerevoli fondi recuperati da Innsbruck e da Vienna. Va ricordato comunque che Santifaller assunse l’incarico nel 1921, cioè ancora nel periodo liberale, e lo tenne fino al 1927, quando ormai il fascismo aveva tolto ogni speranza di qualunque positivo sviluppo nella politica altoatesina. Il suo ruolo lo espose certo a momenti di imbarazzo, considerando il rapporto verso le autorità e l’‘abbraccio’ interessato da parte di Tolomei. L’offerta di un posto ai MGH di Berlino risolse le cose, garantendogli migliori prospettive professionali e personali.

Marco Bellabarba illustra il dopoguerra di Hans von Voltelini (1862-1938) sullo sfondo delle reazioni degli storici tirolesi di fronte alla ‘perdita’ del Sudtirolo. Formatosi alla scuola di Julius von Ficker e orientato a un concetto di storia come disciplina oggettiva e distante dalla militanza ideologica, politica, etnica, Voltelini esprime nel dopoguerra il doloroso disorientamento di un intellettuale che aveva fortemente creduto nella missione plurinazionale dell’Austria e ora non poteva che schierarsi contro l’instaurarsi del confine del Brennero. Il suo atteggiamento rimase comunque distante da quello etno-nazionale dei più giovani (in gran parte suoi discepoli). Significativo è che abbia sostanzialmente tenuto fede all’impegno, propostosi nel 1919, di non occuparsi più del Tirolo meridionale.

Il contributo di Hannes Obermair affronta, in una particolare dimensione ‘metastoriografica’, il legame tra la produzione editoriale delle fonti e le grandi narrative nazionali ad esse sottese. Lo fa sull’esempio del Tiroler Urkundenbuch (TUB) il cui progetto, dopo un silenzio di mezzo secolo, ha sperimentato una rinascita dai primi anni del XXI sec., proprio sulla base di una lucida riflessione critica sulla propria storia (di cui Obermair è stato tra i protagonisti). Annunciato prima della guerra, il progetto del TUB subisce significativi cambiamenti nella sua articolazione, che riflettono il nuovo assetto politico e i caratteri sempre più völkisch assunti dalla storiografia tirolese, che in parte perdureranno anche nel secondo dopoguerra. Nelle “questioni aperte” in coda al contributo, l’autore invita ad approfondire una simmetrica, critica riflessione riguardo alla carente decostruzione di analoghe iniziative di parte italiana fiorite nel Ventennio.

Al rapporto tra scienza e politica, più precisamente alla biologizzazione del sapere storico, si dedica Michael Wedekind. La stagione dell’antropologia razziale non risparmiò certo il Tirolo: sia in quello tedesco che in quello italiano furono usati i suoi strumenti (craniometria, somatologia etc.) per fondare ‘oggettivamente’ le rispettive rivendicazioni nazionali. Ad esempio, tra le più curiose tesi figlie dei tempi spicca quella dello scrittore (e appassionato di questioni razziali) K.F. Wolff per i quali i ladini dolomitici, se da un lato conservavano tracce della romanizzazione nella lingua, dall’altro rivelavano ‘oggettivi’ caratteri fisici degli antichi Reti. Nel dopoguerra sempre la ‘scienza’ fu posta alla base dell’unità geografica, etnica, storica e culturale del Tirolo tedesco, con l’accentuazione dei concetti di “popolazione ancestrale” e “paesaggio culturale”.  

La densa postfazione di Fabrizio Rasera rilancia diversi aspetti delle tematiche affrontate nei singoli contributi. Tra i vari spunti, vi è l’invito a un più stringente confronto con l’esperienza diretta della guerra da parte degli studiosi trentini di allora, indicando come fertile campo le scritture immediate a cui negli ultimi decenni si è cominciato a dedicare adeguata attenzione, come lettere, diari, taccuini.

Carlo Romeo