Autore: Carlo Romeo

 

Rif. bibl.: Josef Noldin, il confinato scomodo, in: Romeo Carlo, Alto Adige/Suedtirol XX secolo. Cent'anni e più in parole e immagini, Edition Raetia, Bolzano 2003, pp. 138-9.

 

Postale di collegamento tra Milazzo e Lipari negli anni Venti

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Josef Noldin, il confinato scomodo

di Carlo Romeo

 

 

«Di tutti i confinati, il dr Noldin è certo il più importante e il più fortunato. Importante, perché la sua causa è una grossa questione internazionale; solleva e solleverà vasto interessamento nel mondo. Fortunato, perché egli sente dietro di sé la simpatia e l’appoggio morale di tutti i suoi connazionali, gliene arrivano i conforti e gli incitamenti, e può ragionevolmente credere che il suo sacrificio servirà a qualcosa». Così annotava Giovanni Ansaldo tracciando il profilo, con la sua penna “impertinente”, dei  compagni di confino a Lipari nella primavera del 1927. Quell’avvocato altoatesino di mezz’età, «rispettabile isolato» che di mattino scendeva in spiaggia coll’aria da turista a leggere i giornali tedeschi che parlavano di lui, e che vegliava sul terrazzo fino alle tre di notte per sbrigare la corrispondenza, costituiva allora veramente un “caso” internazionale.

Nato nel 1888, dopo la laurea in legge ad Innsbruck, Josef Noldin comincia la sua attività di procuratore legale presso avvocati di Trento e Mezzolombardo. Scoppiata la prima guerra mondiale è arruolato come sottotenente nei “Tiroler Kaiserjäger”. Inviato sul fronte russo, rimane per cinque anni prigioniero di guerra in Siberia. Tornato a Salorno riprende l’attività legale e parallelamente s'impegna, come fiduciario del “Deutscher Verband”, in un’intensa attività di opposizione all’annessione, sollecitato anche dal vasto favore che gode presso la popolazione di lingua tedesca della Bassa Atesina. Nel 1923 collabora col canonico Michael Gamper nell’organizzazione dei corsi clandestini di lingua tedesca (la “Katakombenschule”). Più volte ammonito e multato, nel 1927 è assegnato dalla commissione provinciale di Trento (la Bassa Atesina era allora inclusa in quella provincia) per cinque anni al confino di polizia. Quest’ultimo era stato introdotto in Italia dalla legge di P.S. del 1926 come sbrigativa misura politico-amministrativa, per colpire direttamente ogni forma d'opposizione al fascismo. Il prefetto di Trento Vaccari, elencando al ministero dell’interno le attività di Noldin avverse agli “interessi nazionali” conclude: «E mi sembra che ce ne sia abbastanza per non tollerarlo oltre qui in provincia». 

Nel febbraio 1927 Noldin viene condotto nell’isola di Lipari, seguito dalla moglie. In quegli anni nell’isola, sede di quel confino che Carlo Rosselli definisce «una cella senza muri, tutta cielo e mare», sono concentrati i maggiori rappresentanti dell’antifascismo italiano, di diversa provenienza sia regionale sia ideologica. Noldin prende alloggio in un villino, coabitando con gli ex-deputati Beltramini e Morea e il gran maestro della Massoneria italiana Domizio Torrigiani. Di questi incontri, delle frequentazioni e delle discussioni nella colonia  troviamo tracce sia nel suo diario di Lipari, sia nelle memorie di alcuni confinati italiani. Al di là degli amichevoli rapporti e delle personali simpatie, è netta la distanza che intercorre tra le concezioni politiche degli antifascisti italiani (a loro volta divisi spesso in “sette” ideologiche) e l’ottica tedesco-nazionale di Noldin. Nel frattempo Mussolini, a causa dello scalpore che il “caso Noldin” continua a suscitare in tutt’Europa, fa capire che una domanda di grazia (ovvero di “sottomissione”) sarebbe subito accolta. Ma Noldin rifiuta sempre con dignità il compromesso, affermando di volere «giustizia non grazia». Così, ridottogli il periodo di confino da cinque a due anni, può tornare a Salorno, a testa alta, alla fine del 1928. Ma gli rimane poco da vivere; affetto da un tumore allo stomaco si spegne a Bolzano un anno dopo.

Nel 1936 esce a Monaco un libro in memoria di Noldin, che riporta anche brani del suo diario di Lipari. Scritto nello spirito nazionalistico e razzista dell’epoca, il libro («Josef Noldin; ein deutsches Schicksal») costruisce l’immagine del “martire del germanesimo”, ponendo le basi di quella leggenda eroicizzante le cui falsificazioni ostacolano ancora oggi  una ricezione storica della sua figura.