Storia e Regione 25 (2016) 2

 

L’ultimo numero di “Storia e Regione/ Geschichte und Region” è dedicato all’interazione tra i flussi di circolazione di merci, persone e informazioni attraverso le Alpi e l’evoluzione delle società locali.

 

 

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Autori: Andrea Bonoldi, Hannes Obermair

Rif. bibl.: Editoriale. In: Verkehr und Infrastruktur / Traffico e infrastrutture («Storia e Regione/ Geschichte und Region», 25 (2016), 2, StudienVerlag Innsbruck-Wien-Bozen/Bolzano, pp. 5-17

 

 

 

EDITORIALE

di Andrea Bonoldi e Hannes Obermair

 

Questo numero di Geschichte und Region/Storia e Regione ospita alcuni contributi presentati al convegno biennale dell’Associazione internazionale per la storia delle Alpi (Aisa), che si è tenuto a Bolzano nel settembre del 2015 ed è stato dedicato al tema “Transiti. Infrastrutture e società dall’antichità ad oggi”. Altri articoli derivanti da relazioni presentate in quell’occasione sono usciti sul numero 21/2016 di Histoire des Alpes/Storia delle Alpi/Geschichte der Alpen”. L’incontro è nato dalla collaborazione tra l’Aisa, Geschichte und Region/Storia e regione, il Dipartimento di Economia e Management dell’Università degli Studi di Trento e il Centro di competenza per la Storia Regionale della Libera Università di Bolzano. Il tema scelto ha riguardato uno degli ambiti di ricerca più stimolanti per chi si occupa di storia alpina, ovvero l’interazione tra i flussi di circolazione di merci, persone e informazioni attraverso le Alpi e l’evoluzione delle società locali in una prospettiva di lungo periodo, che ha visto gli interventi coprire un lungo arco cronologico, dall’età del bronzo alla Torino-Lione.

Una nota contrapposizione dialettica riferita alla storia delle Alpi è quella che mette le “Alpi attraversate” di fronte alle “Alpi vissute” (1). Con la prima accezione viene indicato l’approccio tradizionale di chi considerava l’area alpina essenzialmente dal punto di vista esterno, come un confine, un ostacolo che si frapponeva a imprese militari, transiti commerciali e influssi culturali, centrando così l’attenzione soprattutto su possibilità e strategie per superare la catena montuosa. Veniva in tal modo relegata in secondo piano l’esperienza storica propria e connessa al territorio delle comunità locali – le “Alpi vissute” appunto – che invece da un trentennio a questa parte è stata oggetto di nuova attenzione, con risultati importanti.

L’idea di fondo che alimenta oggi la storiografia più attenta è che un’interpretazione corretta delle dinamiche storiche in area alpina debba basarsi sull’interazione e l’influenza reciproca tra attraversamenti, specificità locali e relazioni con le aree circostanti. Un rifiuto deciso dunque dello stereotipo delle Alpi nella storia come luogo della marginalità, ma anche di una certa, ricorrente idealizzazione delle società alpine come manifestazione privilegiata di un’armoniosa autarchia politica, economica e culturale. In questo senso parlare di trasporti e di infrastrutture materiali e immateriali di comunicazione significa dunque trattare di percorsi, investimenti, tecniche e attori, ma anche considerare le ricadute dei transiti sulle comunità del territorio, e l’interazione reciproca tra specificità locali e impulsi esterni.

Il discorso attorno ai sistemi di trasporto e comunicazione del passato in area alpina non è tuttavia soltanto una questione puramente storiografica, e occupa una posizione importante nel dibattito pubblico (2). La realizzazione di importanti opere infrastrutturali è stata spesso valutata non soltanto in base alla crescente domanda di mobilità e a fattori tecnici ed economico-finanziari, ma anche alla luce di una più o meno documentata tradizione storica di percorsi e transiti lungo determinate direttrici, che non di rado è stata messa in rilievo per dare legittimità ai progetti proposti (3). Dagli anni settanta del Novecento in poi inoltre, una parte importante dell’opinione pubblica si è dimostrata particolarmente sensibile nei confronti delle criticità connesse al crescente impatto ambientale dei flussi di traffico transalpino e delle infrastrutture a sostegno della mobilità turistica e della pratica sportiva, come ad esempio piste da sci e impianti di risalita. Un tema, quello della sostenibilità delle pratiche di utilizzo del territorio, che in forme diverse è profondamente radicato nell’esperienza delle comunità alpine.

La storiografia ha di recente messo in luce quanto l’analisi dei sistemi di trasporto e di comunicazione debba confrontarsi con una forte complessità, definita dal concorrere di elementi tecnici, politici, economici e culturali (4). In questo senso, un’infrastruttura di trasporto può essere considerata come un sistema socio-tecnico, che vede la partecipazione di numerosi soggetti con fini diversi, e che influenza ed è a sua volta influenzato dal contesto storico in cui si colloca (5). Se un’autostrada è innegabilmente una struttura materiale caratterizzata da una precisa dimensione tecnica, la sua realizzazione, il suo uso e la sua percezione sono però condizionati da processi politici, economici e culturali che coinvolgono una moltitudine di attori pubblici e privati, locali e non. In una determinata fase alcune di queste forze in campo riescono a trovare le sinergie giuste, e ciò rende possibile lo sviluppo dell’infrastruttura.

La complessità dell’analisi storica delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto è anche definita dall’incidenza della dimensione temporale, per cui l’ideazione, la progettazione e l’esecuzione delle opere si estende spesso su tempi molto lunghi, comportando il rischio che possano cambiare le condizioni politiche, tecniche, finanziarie di contesto. Sia la dimensione politica, che quella economica delle infrastrutture vengono condizionate da questi tempi dilatati. Sotto il profilo politico, la realizzazione di un’opera di costo elevato, grandi dimensioni e forte impatto sul territorio richiede una capacità di visione che sia in grado di delineare un chiaro rapporto tra costi e benefici. Molto spesso si tratta di fare previsioni il più possibile accurate sull’evoluzione del traffico – e dunque della domanda - e sui cambiamenti in atto nelle tecnologie di trasporto, tenendo anche conto del fatto che un’infrastruttura non è mai isolata, ma si inserisce in una rete destinata anch’essa a trasformarsi nel tempo. Pare chiaro come si tratti di un esercizio piuttosto difficile, e non sorprende dunque che intorno alla valutazione dell’opportunità di un’opera possano insorgere aspri conflitti, oggi alimentati anche da visioni contrastanti sulla funzione e il destino dei territori interessati (6).

Sotto il profilo economico, i tempi lunghi che spesso intercorrono tra l’ideazione e il completamento di un’infrastruttura incidono non soltanto sulla prevedibilità dei costi, ma anche sulle strategie di finanziamento: tra il momento dell’investimento e quello in cui un’infrastruttura comincerà a generare utili possono trascorrere molti anni, e ciò richiede strumenti finanziari peculiari (7). A questi aspetti si connette dunque inevitabilmente anche quello della governance, ossia dei processi di coordinamento tra gli attori che partecipano all’ideazione, progettazione, realizzazione, mantenimento e uso delle infrastrutture, su cui convergono questioni come le tensioni tra istanze politiche centrali e periferiche, tra regia pubblica e ruolo dei privati, tra gestione dell’infrastruttura e interessi delle comunità locali, tenuto anche conto del fatto che molte realizzazioni infrastrutturali hanno oggi una dimensione internazionale.

Se quanto detto vale in generale, per il mondo alpino la questione delle infrastrutture e dei sistemi di trasporto assume connotati specifici, in primo luogo perché la conformazione del territorio e le condizioni climatiche creano vincoli forti, cui sono connessi costi di realizzazione e mantenimento delle infrastrutture relativamente più elevati che altrove. E proprio gli ostacoli materiali alla mobilità in montagna contribuiscono a far sì che la realizzazione o il potenziamento di un’infrastruttura possano ridisegnare in maniera importante lo spazio economico e insediativo del territorio, agevolando in maniera significativa alcune aree ed escludendone altre. Per quanto riguarda le province alpine italiane nella seconda metà del Novecento ad esempio, pare chiaro come l’evoluzione positiva dell’economia della Valle d’Aosta e delle province di Trento e Bolzano rispetto a quelle di Belluno e Sondrio (8) sia connessa non soltanto agli indubbi vantaggi connessi agli statuti di autonomia, ma anche alla presenza sul territorio di importanti direttrici di attraversamento delle Alpi, che nelle altre realtà invece mancano. E un discorso analogo si potrebbe fare all’interno dei singoli territori per le aree dotate di migliori collegamenti che hanno visto crescere nel tempo il loro peso relativo (9).

Appare così evidente come le infrastrutture giochino un ruolo importante per le regioni alpine non soltanto per le loro ricadute sui processi spaziali ed economici, ma anche perché costituiscono un delicato banco di prova per i diversi livelli di governo locale. Che devono misurarsi con iniziative e progetti che coinvolgono attori e risorse che vanno ben oltre la dimensione regionale, ma anche con la necessità di risolvere i conflitti che la realizzazione e la gestione delle infrastrutture inevitabilmente genera sul territorio.

I quattro contributi presentati nella parte monografica della rivista affrontano questi temi in relazione ad alcuni importanti progetti infrastrutturali alpini e perialpini tra Otto- e Novecento.

 

Nell’articolo intitolato “La riorganizzazione del sistema idroviario padano: l’idrovia Locarno-Venezia”, Sergio Onger e Ivan Paris trattano la lunga e complessa vicenda di un’infrastruttura che non è mai stata realizzata, ma che ha dato vita a progetti e dibattiti da cui emergono alcuni aspetti cruciali dell’evoluzione dei sistemi di trasporto. La discussione attorno a un’infrastruttura di navigazione moderna che garantisse un collegamento efficiente tra un’area altamente dinamica come quella lombardo-veneta e ticinese e il mare Adriatico prende le mosse nel corso dell’Ottocento, e si protrae poi per tutto il secolo successivo, riflettendo i mutamenti tecnologici, economici e politici in atto. Tra i fattori messi in luce dai due autori vi sono appunto gli effetti delle variazioni delle variabili di contesto sul progetto nella sua lunga vita, la dimensione internazionale dello stesso, che fino al 1965 vide coinvolta anche la Svizzera, i problemi di coordinamento tra i numerosi soggetti coinvolti, la concorrenza esercitata da nuove forme di trasporto – prima quello ferroviario, poi quello su gomma – la difficile valutazione preventiva dei costi effettivi dell’infrastruttura.

Anche una regione prettamente alpina come il Trentino – Alto Adige partecipò a una fase del progetto, nella convinzione che l’idrovia padana potesse costituire un’utile integrazione alla propria rete di trasporti. Al di là del fatto che anche in tempi recenti la proposta è riemersa in un’ottica di valorizzazione turistica, un’eredità visibile del progetto, che testimonia anche la maggiore attenzione che nell’Italia postbellica è stata data al trasporto su gomma, è riscontrabile nel fatto che l’autostrada A35 Brescia-Bergamo-Milano, entrata in esercizio nell’estate del 2014, ripercorra parte di uno dei tracciati ipotizzati per l’idrovia.

 

Il lavoro di Alfred Werner Höck, “Infrastrukturpolitik und Arbeitsmigration am Beispiel des Baues des Salzburger Tauerntunnels in den Jahren 1901–1909”, è invece incentrato soprattutto sulle condizioni di vita e lavoro delle maestranze impiegate nella realizzazione della galleria ferroviaria dei Tauri, e sull’impatto che ebbe sulla società locale l’afflusso di una massa consistente di manodopera straniera. L’opera rappresentava un elemento chiave della linea ferroviaria che avrebbe dovuto collegare l’area boema a Trieste attraverso il Salisburghese, proponendosi in alternativa al tracciato della Südbahn passante per Vienna, che aveva garantito per decenni alla società titolare una posizione di sostanziale monopolio nella gestione dei traffici tra le are economicamente più evolute dell’impero e il mare. Se l’infrastruttura fu portata a termine piuttosto rapidamente, il suo ruolo sarebbe però stato almeno in parte ridimensionato a causa degli sconvolgimenti portati dalla prima guerra mondiale.

La realizzazione della linea fece affluire in aree alpine relativamente poco popolate e caratterizzate da una struttura sociale e culturale omogenea e ancora largamente tradizionale un’enorme quantità di manodopera – 70.000 persone nel momento di massimo sforzo – proveniente in maggior parte dalle aree meno sviluppate della monarchia asburgica, come quella balcanica. La sfida per chi dirigeva i lavori e per le comunità locali fu duplice: da un lato garantire condizioni di vita e di lavoro accettabili, assicurando vitto, alloggio e assistenza sanitaria, dall’altro evitare che sorgessero conflitti tra gruppi di operai appartenenti a etnie diverse, e tra le maestranze e la popolazione locale, piuttosto diffidente nei confronti dei nuovi arrivati, percepiti come profondamente diversi sia sotto il profilo linguistico e culturale, che sotto quello sociale. Su entrambi questi fronti i problemi furono di non poco conto.

 

Con Magdalena Pernold e il suo contributo “Die Brennerautobahn als Infrastruktur für Verkehr und Transit. Zur Entgrenzung geografischer Verkehrsräume im Zeitraum ihrer Realisierung” il focus tematico e metodologico si sposta sull’analisi del discorso in relazione alla realizzazione di un’importante opera infrastrutturale di rilevanza internazionale come l’autostrada del Brennero (10). Nell’arco di tempo che va dagli anni Cinquanta, quando si cominciò a parlare concretamente del progetto, passando per l’apertura dell’ultimo tratto autostradale nel 1974, fino ad arrivare ai giorni nostri, i temi ai quali l’infrastruttura è stata associata nel discorso pubblico sono cambiati profondamente, riflettendo non soltanto i mutamenti intercorsi nel quadro congiunturale, ma anche quelli che hanno riguardato la mentalità e la cultura delle società locali.

Negli anni cinquanta, il Wirtschaftswunder tedesco, il miracolo economico italiano e il processo di formazione della Comunità economica europea costituirono una spinta importante per la realizzazione di un’opera che si presentava assai impegnativa sotto il profilo tecnico e finanziario. In una prima fase dunque i temi forti nel dibattito pubblico furono associati essenzialmente all’impatto modernizzatore dell’infrastruttura, al suo significato in termini di sviluppo economico e – soprattutto da parte dell’Austria che si trovava all’epoca in una delicata posizione geopolitica – sul contributo che l’opera poteva dare al rafforzamento del progetto europeo.

Nonostante il periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta del Novecento sia stato segnato da forti tensioni politiche connesse alla questione sudtirolese, il progetto non si è fermato, e, al di là di alcune posizioni minoritarie contrarie alla realizzazione, la discussione si è spostata soprattutto sul tracciato che l’autostrada avrebbe dovuto seguire tra il Brennero e Bolzano. Qui si contrapponevano due progetti. Uno favoriva il percorso attraverso la Val d’Isarco, l’altro prevedeva una direttrice val Passiria-Merano. Qui interessi locali e esterni si mescolavano, con la seconda variante sostenuta non soltanto dal mondo imprenditoriale e turistico meranese e dal quotidiano “Alto Adige”, ma anche da esponenti lombardi, che immaginavano un possibile sviluppo autostradale con un traforo dello Stelvio verso Milano. Gli anni settanta hanno poi visto non solo il completamento dell’opera e la sua entrata in esercizio, ma anche l’emergere di un mutamento di sensibilità nella società locale, con una crescente attenzione agli aspetti critici sotto il profilo dell’impatto ambientale connessi all’enorme aumento dei flussi di traffico sull’autostrada.

 

L’autostrada del Brennero ritorna nel contributo di Paolo Tedeschi, intitolato “Attraversare le Alpi per formare l’Europa: la BEI e il finanziamento dei progetti relativi alle vie di comunicazione alpine (anni 1960 e 1970)”, in cui l’autore si occupa di un tema finora poco trattato, ovvero il ruolo giocato dalla Banca europea degli investimenti nel finanziamento delle infrastrutture di trasporto attraverso le Alpi. Il reperimento delle risorse per finanziare tali opere era una questione di grande rilevanza non soltanto per il fatto che si trattava di importi piuttosto ingenti, ma anche per la sfasatura temporale, in alcuni casi decisamente rilevante, tra l’erogazione del finanziamento e il momento in cui l’infrastruttura avrebbe cominciato a generare entrate per ripagare l’investimento.

Per quanto riguarda l’autostrada del Brennero poi, occorre anche considerare la particolare conformazione della società che controllava la parte italiana del progetto (Autostrada del Brennero spa). A differenza di quanto accaduto per altri grandi realizzazioni autostradali nazionali infatti, in questo caso il capitale di maggioranza non era detenuto dalla Società Autostrade, controllata dallo Stato, ma da una serie di soggetti politici ed economici finanziariamente assai più deboli, ovvero regioni, province, comuni e camere di commercio interessate dal tracciato. Ecco dunque che l’intervento massiccio e a condizioni favorevoli da parte della BEI, la cui istituzione era prevista già nei trattati di Roma istitutivi della CEE del 1957, fu particolarmente importante. Un aspetto merita ancora di essere richiamato, ovvero il fatto che il finanziamento, coerentemente con lo spirito che animava gli interventi europei, era sostanzialmente motivato dalla volontà di ridurre il divario economico e sociale dell’Italia meridionale. In realtà però furono soprattutto le aree più direttamente interessate dai progetti, quelle alpine e quelle padane, che ne beneficiarono in misura maggiore.

 

I quattro contributi sono la testimonianza di una ritrovata vivacità dell’analisi storica dei sistemi di trasporto e comunicazione, che a livello internazionale è oggi supportata anche da approcci metodologici innovativi. E mostrano quanto le aree alpine siano andate sempre più integrandosi, pur con la propria specificità, in processi storici di ampia portata. E così, alla fine, le Alpi attraversate e le Alpi vissute finiscono inevitabilmente per sovrapporsi.

 

 

 

NOTE

 

1) Jean François Bergier, Des Alpes traversées aux Alpes vécues: Pour un projet de coopération internationale et interdisciplinaire en histoire des Alpes. In: Histoires des Alpes/Storia delle Alpi/Geschichte der Alpen, 1 (1996), pp. 11-21.

2) Cfr. Christoph Maria Merki/Hans-Ulrich Schiedt/Laurent Tissot, Histoire des transports. Introduction, in: Hans-Ulrich Schiedt/Laurent Tissot/Christoph Maria Merki/Rainer C. Schwinges (Hgg.), Verkehrsgeschichte / Historie des transports, Zürich 2010, pp. 17-21.

3) Per il caso dell’autostrada del Brennero è esemplare di questo approccio Leo Feist, Vom Saumpfad zur Tiroler Autobahn, Innsbruck 1980. Sull’interazione tra opere attuali e ricerca storica cfr. anche Anselmo Baroni/Elvira Migliario, Dalle autostrade alle viae romane. Considerazioni di storia politica e istituzionale sull’uso diacronico di alcuni grandi assi viari transalpini. In: Histoires des Alpes / Storia delle Alpi / Geschichte der Alpen, 21 (2016), pp. 13-25. Per una recente analisi interdisciplinare di uno dei grandi nodi del transito alpino, che ha da poco visto l’inaugurazione del più lungo tunnel ferroviario del mondo, cfr. Marianne Burkhalter/Christian Sumi (edd.), Der Gotthard/Il Gottardo. Landscape – Myths – Technology, Zürich 2016.

4) Merki et al., Introduction, p. 18.

5) Cfr. Paul N. Edwards, Infrastructure and modernity: Force, time, and social organization. In: Thomas J. Misa/Philip Brey/Andrew Feenberg (edd.), The history of sociotechnical systems. Modernity and technology, Cambridge(Ma) 2003, pp. 185–226. In senso più ampio, Edwards giunge a scrivere che (p. 186): “infrastructures simultaneously shape and are shaped by – in other word, co-construct – the condition of modernity”.

6) Sul conflitto di visoni differenti nella realizzazione di infrastrutture alpine, cfr. ad es. Anne-Marie Granet Abisset, L’aplanissement de la montagne: un rêve de techniciens et d’aménageurs européens. L’exemple du Lyon Turin Ferroviaire (LTF). In: Histoires des Alpes/Storia delle Alpi/Geschichte der Alpen, 21 (2016), pp. 233-254.

7) Cfr. Youssef Cassis/Giuseppe De Luca/Massimo Florio (edd.), Infrastructure Finance in Europe. Insights into the History of Water, Transport, and Telecommunications, Oxford 2016.

8) Cfr. Andrea Bonoldi, A Farewell to Marginality. Development Paths in the Italian Alpine Provinces since World War II. In: Andrea Bonoldi/Andrea Leonardi (edd.), Recovery and Development in the European Periphery (1945-1960), Bologna/Berlin, 2009, pp. 129-161.

9) Il ruolo crescente di molte aree urbane nelle Alpi è ad esempio connesso in modo significativo  al loro essere nodi di una rete che le connette con le realtà perialpine più dinamiche. Cfr. Manfred Perlik, Alpenstädte: Zwischen Metropolisation und neuer Eigenständigkeit, Bern 2001.

10) Cfr. ora la monografia della stessa Magdalena Pernold, Traumstraße oder Transithölle? Eine Diskursgeschichte der Brennerautobahn in Tirol und Südtirol, Bielefeld 2016.

 

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Verkehr und Infrastruktur/Trasporti e infrastrutture

 

INHALT / INDICE

 

Editorial/Editoriale

 

Sergio Onger/Ivan Paris

La riorganizzazione del sistema idroviario padano: l’idrovia Locarno-Venezia

 

Alfred Werner Höck

Infrastrukturpolitik und Arbeitsmigration am Beispiel des Baues des Salzburger Tauerntunnels in den Jahren 1901–1909

 

Magdalena Pernold

Die Brennerautobahn als Infrastruktur für Verkehr und Transit: Zur Entgrenzung geografischer Verkehrsräume im Zeitraum ihrer Realisierung

 

Paolo Tedeschi

Attraversare le Alpi per formare l’Europa: la BEI e il finanziamento dei progetti relativi alle vie di comunicazioni alpine (anni 1960 e 1970)

 

Aufsätze/Contributi

 

Carlo Bartalucci

Bartolomeo Talenti alle fiere di Bolzano. Una famiglia di mercanti lucchesi tra istanze di riforma e tradizione

 

 

Forum

 

Julia Hörmann-Thurn und Taxis

Ao. Univ. Prof. Mag. Dr. Klaus Brandstätter (29.11.1961–23.8.2014) - Eine Erinnerung

 

Sabine Jagodzinski/Aleksandra Kmak-Pamirska

Überlegungen im Nachklang der Konferenz „Regionalität als historische Kategorie. Prozesse, Diskurse, Identitäten im Mitteleuropa des 16.-19. Jahrhunderts"

 

Alessandro Paris

"1813–1816. Il paese sospeso: la costruzione della provincia tirolese/Das Land in der Schwebe. Die Konstruktion des Landes Tirol". Cronaca del convegno

 

Margareth Lanzinger/Janine Maegraith

Witwenrechte im Litauen des 16. Jahrhunderts. Rezensionsessay aus Tiroler Vergleichsperspektive

 

 

Rezensionen/Recensioni

 

Margareth Lanzinger, Verwaltete Verwandtschaft. Eheverbote, kirchliche und staatliche Dispenspraxis im 18. und 19. Jahrhundert

(Jürgen Schlumbohm)

 

Florian Huber, Grenzkatholizismen. Religion, Raum und Nation in Tirol 1830-1848

(Dieter Langewiesche)

 

Wolfram Siemann, Metternich. Stratege und Visionär

(Karin Schneider)

 

Martin Aust/Frithjof Benjamin Schenk (Hg.), Imperial Subjects. Autobiographische Praxis in den Vielvölkerreichen der Romanovs, Habsburger und Osmanen im 19. und frühen 20. Jahrhundert

(Kurt Scharr)

 

 Hans Heiss/Rudolf Holzer, Sepp Innerkofler. Bergsteiger, Tourismuspionier, Held

 (Markus Wurzer)

 

 Nadja Danglmaier/Werner Koroschitz, Nationalsozialismus in Kärnten. Opfer. Täter. Gegner

 (Brigitte Entner)

 

 

Abstracts