Autori - Carlo Romeo, Leopold Steurer

Rif. bibl. -  Romeo, Carlo; Steurer, Leopold, La questione altoatesina negli scritti di Umberto Segre, in "Storia e Regione/Geschichte und Region", annata 16 (2007), n. 1, pp. 119-125.

 

umberto segre

 

L’opera di catalogazione e raccolta della grande messe della pubblicistica di Umberto Segre (1908-1969) è cominciata diversi anni anni fa - soprattutto su iniziativa dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia nonché della figlia Vera e del cognato Paolo Mugnano – e non è ancora conclusa (1).   Man mano che tali scritti vengono pubblicati e si affiancano alle monografie più conosciute, si compone con sempre maggior precisione e ricchezza il quadro di una vasta attività intellettuale che si manifestò in diversi campi, dall’insegnamento alla riflessione filosofica, dalla critica letteraria al giornalismo politico (2).
„Nelle redazioni dei quotidiani del Nord, Umberto era uno dei rarissimi professori – così lo chiamavamo affettuosamente – prestato al giornalismo come mestiere e non soltanto alle collaborazioni specialistiche. Questo suo lavoro si distingueva sempre dalla routine” (Paolo Murialdi) (3).  Le analisi di Segre si applicarono ai più importanti temi della contemporaneità, sia sul piano interno che internazionale: il centrismo e il centrosinistra in Italia, la guerra fredda, il Vietnam, la contestazione giovanile, etc.

   «Proprio da tutta la sua produzione si può capire il rapporto fra Segre giornalista, Segre filosofo, Segre militante politico. Si tratta in primo luogo di un insegnamento di metodo. Si potrebbe dire che egli ribaltò lo schema del giornalismo militante, cioè del giornale al servizio del partito, per affermare una militanza giornalistica del giornale come strumento diretto dell'elaborazione e della ricerca politica. Questa militanza politica attraverso il giornalismo fu definita dai suoi amici, in particolare da Giorgio Bocca e da Gianfranco Spadaccia, come una scelta socialista, di un socialismo senza partito (…). Ma anche questo socialismo non fu un dato dottrinale, bensì una conquista attraverso l’attenta analisi della politica e della società nel corso di venticinque anni. Ed è una analisi politico-sociale insolita, fondata su di una riflessione colta, di una cultura prevalentemente filosofica e storica, insolita per la capacità di saldare continuità e novità, per l’attenzione a tutte le manifestazioni dell’esperienza religiosa e ai suoi riflessi politici, insolita soprattutto per la capacità di rapportare costantemente la politica nazionale a quella internazionale e viceversa.» (Vittorio Foa, 1979)

 

   Sin dai primi anni ’50 Segre dedicò una parte rilevante della propria attenzione di analista politico alla questione altoatesina. Il rapporto biografico di Segre con l’Alto Adige ebbe inizio nel 1934, allorché, per curare una grave forma di tubercolosi, trascorse un lungo soggiorno a Bressanone. In tale occasione fu accompagnato dalla moglie Elena Cortellessa che ottenne il trasferimento per insegnare presso il locale R. Ginnasio-Liceo. Anche Segre vi ebbe alcune supplenze, rese però sempre più difficili dalla proibizione da parte del Ministero per l’Educazione Nazionale di conferire incarichi a chi fosse sprovvisto della tessera del partito fascista. Anche dopo il definitivo trasferimento a Milano, l’Alto Adige (Villabassa e Nova Levante) sarebbe comunque rimasto meta privilegiata di Segre nelle vacanze estive. Anche nel secondo dopoguerra lo studioso continuò a soggiornare frequentemente in Alto Adige e in Trentino, dove pure insegnò presso l’Istituto Universitario di Scienze Sociali di Trento. 
Il decimo volume delle opere di Umberto Segre pubblicato dalle Edizioni Associate di Roma, raccoglie una settantina dei quasi duecento articoli che lo studioso dedicò alla questione altoatesina (4).  Gli articoli e saggi pubblicati su diverse testate nazionali (quotidiani e riviste come“Il Giorno” e “24 Ore” di Milano, “L’Astrolabio” e “Il Punto”di Roma, “Il Ponte” di Firenze, etc.) testimoniano una conoscenza approfondita delle radici storiche del problema altoatesino e soprattutto un approccio scientifico che li distingue nettamente dalla dimensione della mera cronaca giornalistica. La maggior parte degli scritti si colloca in arco di tempo che si può considerare decisivo per l’assetto politico-istituzionale della difficile provincia di frontiera: dalla seconda metà degli anni Cinquanta (quando si profila la gravità dell’“emergenza” altoatesina) fino al 1969, anno della morte dello studioso e, allo stesso tempo, anno che può essere assunto come termine di un cammino storico per questa provincia di frontiera: l’approdo al cosiddetto “Pacchetto”, ovvero alla seconda autonomia. È un periodo “difficile”, scandito da tensioni diplomatiche tra Italia ed Austria e, sul piano interno, da un crescente conflitto tra Roma e Bolzano e all’interno della stessa Regione. Sono gli anni, inoltre, in cui esplode con violenza il fenomeno terroristico.

In questo contesto il ruolo di Umberto Segre è stato di rilevante importanza nel presentare all’opinione pubblica nazionale i termini scientifici della questione e nel ribadire con tenacia le ragioni del dialogo. Nel clima contrassegnato dall’incrudelirsi degli attentati, Segre, infatti, rimane sempre fermo nello stigmatizzare la tentazione di interrompere le normali relazioni diplomatiche tra Italia ed Austria. Dopo la cosiddetta “notte dei fuochi” (giugno 1961) il fenomeno terroristico passa da una fase iniziale di attentati “dimostrativi” e mirati a non colpire vite umane ad una fase “guerrigliera” e stragista, i cui protagonisti risultano sempre meno “autoctoni” e sempre più legati a circoli dell’estrema destra austriaca e germanica. Nell’interpretazione di Segre (che si rivela particolarmente attento a tale distinzione) l’interruzione del dialogo tra Italia ed Austria avrebbe significato al ricatto terroristico. Il terrorismo mirava, com’è sua natura, a ridurre lo spazio della politica. Il fine dei terroristi era il sabotaggio delle possibili soluzioni democratiche (e cioè l’elaborazione condivisa di una nuova autonomia) e quindi la degenerazione del conflitto fino alla riproposizione dell’autodeterminazione quale unica via percorribile. A questa minaccia la politica doveva opporsi con tutte le armi della democrazia.

Segre fu molto preciso nell’analisi del fenomeno terroristico sudtirolese nelle sue varie fasi. Si sforzò di interpretare i significati simbolici, etnici, sociali e psicologici di quegli attentati. Questo in un periodo in cui la pubblicistica italiana presentava l’intero fenomeno con superficialità e pregiudizio, quale semplice rigurgito di nazismo e separatismo etnico.
Gran parte delle interpretazioni di Segre sulla questione altoatesina partono dal presupposto della mancata riflessione, in campo italiano, di un aspetto fondamentale del conflitto che sin dall’annessione del 1919 si era manifestato tra le richieste sudtirolesi e l’atteggiamento del governo italiano. Si confrontavano due concezioni diverse dello Stato. L’Italia incarnava il modello centralistico di stampo francese, mentre la politica sudtirolese aveva come proprio riferimento il modello austro-ungarico, improntato al regionalismo e al decentramento dei poteri. La profondità della riflessione di Segre (e la sua capacità di continuo aggiornamento intellettuale) si rileva dalla sua attenta lettura - in merito a questo conflitto che egli chiama «psicologico» - della tesi di laurea di una studiosa olandese, Matilde de Block, pubblicata nel 1954. Così Segre riportava in un articolo del 1956 il sunto della riflessione: «Le tradizioni autonomistiche dell’Austria sono così radicate, e quelle centralistiche dello Stato italiano così preminenti, da rendere fondamentalmente diversa la sensibilità di questi problemi tra le due parti» (5).

 

Gli articoli di Segre si soffermano spesso sul ritardo causato alla soluzione della questione altoatesina sia dal centralismo e burocratismo del governo di Roma, sia da quello che chiama il «trentinismo» della politica della Democrazia Cristiana regionale (il cui leader era allora Flaminio Piccoli) e del presidente della Giunta regionale Tullio Odorizzi. Sul piano nazionale il decentramento previsto dalla Costituzione (art. 114-133) sarebbe rimasto lettera morta sino al 1970 (Regioni a statuto ordinario). Sul piano regionale la collaborazione tra le due forze egemoni, DC trentina e SVP, pur nella comune ispirazione cristiano-popolare, non avrebbe retto alla prova etnica. Il centralismo della Regione Trentino Alto Adige (a maggioranza “italiana”) non diede risposta alla crescente richiesta di delegare competenze alle Province. 
Tuttavia l’analisi di Segre è molto attenta anche all’individuazione del caratteri negativi dell’etnicismo, irriducibili ad una dialettica politica e democratica, che vede trapelare spesso nella politica sudtirolese. Sempre nell’”anno di svolta” 1956 così scrive:

“Ad approfondire la frattura (tra i gruppi linguistici, ndr) hanno certo operato insofferenze bilaterali; di gruppi nazionalistici italiani, vogliamo ammetterlo, ma incomparabilmente di più della minoranza irredentistica della Volkspartei, che coltiva ed esalta un “etnocentrismo” fanatico, cui non accederebbe probabilmente la maggioranza degli allogeni, se la pattuglia nazionalistica di punta non li convogliasse tutti in un unico partito” (6).

Un altro aspetto che caratterizza l’azione di Segre in Alto Adige è il suo appoggio all’ala sinistra della Democrazia Cristiana di Bolzano, guidata da Lidia Menapace, Alcide Berloffa, Giuseppe Farias, etc.. Grazie a questi ed altri leader si verifica una “svolta” all’interno del partito, che porterà alle trattative e, dopo un lungo cammino, alla chiusura del Pacchetto. Costoro possono essere definiti i “padri italiani” della soluzione autonomistica. Non bisogna dimenticare che tale apertura al dialogo non fu una scelta facile nel clima di quegli anni, avvelenato dai richiami dei contrapposti nazionalismi. Basti pensare, a mo’ d’esempio, ai duri attacchi che questi leader subirono nella pubblicistica più nazionalista dell’epoca (come nel libro «Alto Adige addio» pubblicato nel 1967 da un giornalista del quotidiano «Alto Adige», Renato Cajoli). In tale contesto Segre svolse un ruolo importantissimo nell’informare correttamente, dalle colonne dei diversi quotidiani cui collaborava (7), l’opinione pubblica italiana, manifestando chiaramente le proprie convinzioni riguardo all’inadempienza da parte del governo italiano dell’Accordo di Parigi del 1946. 
Segre, inoltre, prende parte nel 1961 al convegno sull’Alto Adige organizzato dall’associazione (e casa editrice) bolognese «il Mulino». Tale convegno ha un’importanza “storica” nell’impostazione del problema da parte del mondo intellettuale italiano. In un certo senso si può dire che la sensibilità di molti interventi e del dibattito che si sviluppano nel convegno anticipa le aperture che saranno alla base dei lavori della «Commissione dei 19» e quindi del Pacchetto.

“L’assenza (di rappresentanti governativi, ndr) a questo convegno è forse anche il segno che quelli che da parte governativa e parlamentare stanno promuovendo un mutamento della politica dell’Alto Adige nel senso della maggiore e reale autonomia della provincia di Bolzano, sanno di aver iniziato una linea di condotta che incontrerà ancora molte difficoltà, che non desiderano affrettare nel tempo, nello stesso partito di Governo. Perciò il convegno de Il Mulino viene da loro considerato come un luogo in cui si sperimentano certe ipotesi (…) ma badano tuttavia per ora a non compromettersi al punto da parteciparvi o da mandare degli osservatori (…) Per mio conto trovo che Il Mulino abbia compiuto un atto di coraggio a sua volta, ad assumere in proprio questa funzione, di essere il luogo in cui si sperimenta l’ipotesi che si continua, ufficialmente, a mantener quasi clandestina, o comunque a non prospettare formalmente al Paese.”(8)

 

Un altro segnale di dialogo che Segre comprese immediatamente fu la novità dell’azione intrapresa da Bruno Kreiskj e Giuseppe Saragat all’inizio degli anni Sessanta. I due nuovi ministri degli esteri (poi rispettivamente cancelliere e presidente della Repubblica) austriaco ed italiano, erano legati, oltre che da una solida amicizia, da una comune visione politica e ideale. Entrambi erano socialdemocratici, antifascisti, antinazisti, antinazionalisti ed entrambi avevano pagato tali convinzioni con l’esilio. Kreiskj in Norvegia e Saragat prima in Austria e poi in Francia. Nel suo soggiorno viennese (1927/28), Saragat aveva ammirato il clima di socialdemocrazia che si respirava allora nella capitale austriaca. Come esempio della sensibilità internazionale dell’amministrazione comunale socialdemocratica di allora basti pensare che fu deciso di intitolare un intero quartiere a Giacomo Matteotti, il deputato socialista italiano assassinato dai fascisti nel 1924. Saragat e Kreiskj portarono una ventata nuova nei rapporti diplomatici tra Italia ed Austria. Pur non riuscendo a far approvare il “Pacchetto” già nel 1965 (anche a causa del rifiuto della Südtiroler Volkspartei), la loro azione aveva aperto la strada al nuovo statuto d’autonomia, che sarebbe stato approvato nel 1969.

Nelle riflessioni di Segre non manca mai l’analisi sociale. L’autonomia non è mai vista come un problema teorico ed astratto ma è sempre collegata alla situazione economica, sociale, culturale delle popolazioni locali. Il gruppo tedesco nel secondo dopoguerra stentava nel raggiungere un adeguato equilibrio occupazionale al suo interno e rimaneva in gran parte escluso dall’impiego pubblico e dal lavoro industriale. Basti pensare che nel 1951 ancora il 43% della popolazione tedesca risultava occupato nell’agricoltura. Rilevante era il fenomeno dell’emigrazione sia stagionale che permanente. Importanti competenze di politica sociale (come quella sull’edilizia popolare) non erano ancora state delegate alla Provincia. Il ritardo sudtirolese era particolarmente evidente nel campo dell’istruzione. Prima della riforma della “scuola media unica” (1964), meno del 10% dei giovani sudtirolesi frequentava la scuola media “col latino”, che consentiva l’accesso a gradi più alti di istruzione. La sindrome della “marcia della morte” (Todesmarsch) e la richiesta di una reale autonomia provinciale avevano anche indubbi risvolti sociali e non potevano essere interpretate soltanto nella loro dimensione etnico-nazionale. La considerazione di tutti questi dati rende l’analisi di Segre ricca di prospettive diverse, capace di far interagire nell’interpretazione i segni più vari della vita sociale.

Le radici dell’atteggiamento di Segre verso la questione altoatesina sembrano affondare nell’humus di una lunga (e gloriosa) tradizione culturale. Non è un caso che il percorso antifascista di Umberto Segre lo abbia visto impegnato anche tra le fila del Partito d’Azione. Nella sua breve vita (1943-1947) questa formazione politica rimase certo numericamente minoritaria ma rivestì un ruolo importantissimo nella storia antifascista e repubblicana italiana. Nelle analisi di Segre sulla politica dello Stato centralista e fascista verso le minoranze linguistiche si rispecchia l’eredità dei migliori intellettuali, politici e studiosi liberali, repubblicani e socialisti dell’epoca: Gaetano Salvemini, Guido Dorso, Ferruccio Parri, Emilio Lussu, Piero Calamandrei, Leo Valiani, etc; gli stessi che, nella tradizione risorgimentale di un Carlo Cattaneo, furono i più convinti assertori del decentramento e dell’autonomismo (anche nel dibattito dell’Assemblea Costituente del 1946/47).   Oltre che attingere al miglior patrimonio nazionale, la cultura di Segre - esperienza non comune alla sua generazione - poté essere arricchita dalla conoscenza diretta della realtà di diversi Paesi d’Europa, nonché dalle risorse di conoscenza e documentazione consentitegli dal suo plurilinguismo. La qualità delle sue riflessioni sul “caso Alto Adige” è quindi accresciuta dalla capacità di compararlo con altre situazioni internazionali.

 

 

Note

1) Umberto Segre nasce a Cuneo nel 1908. Non ancora ventenne, studente alla Normale di Pisa, è redattore di “Pietre”, l’ultima rivista antifascista pubblicata non clandestinamente. Arrestato una prima volta nel 1928 ed espulso dalla Normale, termina il corso di studi di filosofia a Torino. Subisce nuovamente il carcere l’anno seguente per la sua attività clandestina e per un appello di solidarietà a Benedetto Croce dopo il discorso di questi sul Concordato. Emigra per due anni in Francia (1930-1932) dove è in stretto contatto con il filosofo Maurice Blondel (sulla cui “filosofia dell’azione” aveva scritto la propria tesi di laurea). Tornato in Italia, sempre sorvegliato come antifascista, vive a Cagliari, Bressanone (1934-35), Milano, con i magri proventi che gli derivano da supplenze e insegnamento privato, dato che gli è impedito l’accesso ai ruoli statali. Nel 1938 si avvicina al Partito d’Azione clandestino. Nello stesso anno la sua situazione è aggravata dalla promulgazione delle leggi razziali. Nel 1940 è confinato a Camerino e poi nel campo di concentramento di Urbisaglia. Nel 1943 riesce a mettersi in salvo in Svizzera, con la moglie e la figlia.. Gran parte della sua famiglia d’origine rimane vittima della Shoah: la madre, la sorella, il fratello Mario (noto studioso di epigrafia greca), la moglie e il figlio di questi. Nel dopoguerra è attivissimo pubblicista , collaborando tra l’altro allo “Lo Stato Moderno” di Mario Paggi, al “Ponte” di Piero Calamandrei, “Il Giorno” di Enrico Mattei, Italo Pietra e Paolo Murialdi. Nel 1958 ottiene la docenza di Filosofia morale all’Università di Milano e dal 1964 comincia a tenere corsi anche per l’Istituto di Scienze Sociali di Trento. Muore nel 1969 ed è sepolto presso il cimitero ebraico di Moncalvo Monferrato. Gli atti di un importante convegno sulla sua figura (“Umberto Segre: un antifascista scomodo”, Università degli Studi di Milano, 15 dic. 1999) sono riportati in “Italia contemporanea”, n.220-221 (sett.-dic. 2000), pp. 551-621.

2) Si vedano i seguenti volumi editi da Edizioni Associate di Roma (www.edizioniassociate.it). che raccolgono tematicamente articoli e saggi di Segre: Scritti giovanili (2002); I partiti italiani dal 1945 al 1969 – Vol. I: La Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiana (2005); I partiti italiani dal 1945 al 1969 – Vol. II: Il partito Socialista e gli altri partiti (2005); La politica italiana dal 1945 agli anni sessanta, vol. I: Dalla Liberazione alla fine del Centrismo, e vol. II: Dall’esperienza del centro-sinistra al Compromesso storico (2005); La Jeunesse di Sainte Beuve (2006); Saggi di filosofia economica e politica (2006); L’Europa senza ideologia tra capitalismo e socialismo (2006); Dissenso politico e violenza (2006). La bibliografia degli scritti di Segre, curata da Giovanni Mari, è consultabile in www.italia-liberazione.it/umbertosegre.

3) Si veda il ricordo di Segre giornalista da parte di Paolo Murialdi, “Il compagno di redazione”, in “Italia contemporanea”, cit., pp. 620-621.

4) Umberto Segre, La questione dell’Alto Adige, Edizioni Associate, Roma 2007.

5) Umberto Segre, „I termini esatti della questione altoatesina“, in „Il Giorno“, 27/11/1946.

6) Umberto Segre, La questione dell’Alto Adige, cit., p. 68.

7) Soprattutto al „Giorno“ di proprietà dell’ENI e che negli anni 1967-1971 aveva creato un’edizione bolzanina, che perseguiva una linea favorevole alla nuova autonomia, in aperto contrasto con quella del quotidiano “Alto Adige”.

8) Umberto Segre, Intervento al IV Convegno degli amici e collaboratori de Il Mulino/1961, in „La questione dell’Alto Adige“, op. cit., p. 90.