Autore – Carlo Romeo

Rif. bibl. – Romeo, Carlo, Storia contemporanea in provincia, in: «Il Cristallo. Rassegna di varia umanità», Centro di Cultura dell’Alto Adige, XLVII/2 (dic. 2005).

 

 

 

 

Storia contemporanea in provincia

 

 

di Carlo Romeo

 

 

 

I racconti degli istriano-dalmati

La recente istituzione (2004) del «giorno del ricordo» da parte della Repubblica italiana («in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale») ha certamente sollecitato l’opera di divulgazione di quei drammatici avvenimenti (assai trascurata almeno sino agli anni Novanta) nonché l’apertura di nuove prospettive di ricerca. In campo regionale era cominciato già dal 2002 un progetto di raccolta di testimonianze (soprattutto attraverso interviste-racconti) da parte del Museo Storico in Trento. Coordinato da Elena TONEZZER, il progetto è stato terminato quest’anno. Le conclusioni della ricerca sono state pubblicate in un ampio studio su «Archivio trentino» (1/2005) e soprattutto nel volume Volti di un esodo: racconti e testimonianze degli esuli istriani, giuliani e dalmati in Trentino-Alto Adige nel secondo dopoguerra («Quaderni di archivio trentino» 9, Trento 2005).
L’obiettivo era quello di indagare l’esperienza degli esuli istriano-dalmati giunti in Trentino nel secondo dopoguerra, nelle varie prospettive in cui essa si riflette nel loro racconto. Pur variegato, esso si concentra attorno a nuclei che fungono da minimi comuni denominatori. Questi vengono così sintetizzati dagli stessi curatori delle interviste: «la vita prima della partenza/la pace», «la guerra, i partigiani, i tedeschi/il trauma», «la partenza e l’arrivo/una nuova vita». Alla memoria di un “prima”, spesso a-storico, legato alla dolcezza dei ricordi infantili o comunque mediato dai racconti dei genitori, subentra la violenza delle esperienze del periodo 1943-45; le persecuzioni, le catture, le esecuzioni sommarie, gli infoibamenti, l’esplosione di un odio etnico “anti-italiano” avvertito come improvviso e inopinato. Alle spalle, in una prospettiva storica, vi è lo scenario del progressivo incrudelirsi della guerra sul fronte balcanico a partire dall’invasione della Jugoslavia da parte dell’Asse nel 1941.
Il “terrore” è il sentimento più diffuso anche dopo la fine della guerra e fa da sfondo alla tragica, per molti versi “obbligata” scelta dell’esodo. Pervasa di amarezza è, per quasi tutti i testimoni, la memoria dell’arrivo e dell’inserimento nell’Italia della ricostruzione, in un Paese incapace di accoglierli e soprattutto di partecipare al loro dramma. Oltre al traumatico distacco dalle terre d’origine, oltre alle gravi privazioni economiche, s’instaura rapida la consapevolezza di essere rappresentanti della memoria più scomoda del dopoguerra italiano, quasi “predestinata” all’oblio e all’isolamento.
Un altro importante aspetto che è stato trattato dalla ricerca è quello dell’atteggiamento delle popolazioni locali di fronte all’arrivo degli esuli. Lorenzo GARDUMI lo esplora attraverso le cronache giornalistiche trentine del periodo 1946-1952, mettendo in luce, al di là delle retoriche dichiarazioni ufficiali, una generale diffidenza verso questi “nuovi arrivati” che necessitavano di occupazione e abitazioni.
Giorgio MEZZALIRA riferisce invece sul “caso” altoatesino, particolarmente interessante per il suo contesto di frontiera nonché per le intersezioni e i parallelismi tra le opzioni (e riopzioni) dei sudtirolesi e quelle dei giuliano-dalmati. L’immigrazione di quest’ultimi in Alto Adige non viene specificamente promossa dal governo, in un momento in cui ancora l’Italia deve dar prova agli Alleati di equilibrio e buona volontà nella soluzione della questione del Brennero e nella tutela della minoranza tedesca. Nel luglio 1946 (quindi poco prima dell’accordo di Parigi) il presidente del consiglio Alcide De Gasperi così telegrafava ai ministeri e al prefetto di Bolzano: «Tenuto conto particolare situazione politica della provincia di Bolzano si eviti possibilmente far luogo trasferimento in quella provincia funzionari et impiegati enti locali e parastatali profughi dalla Venezia Giulia salvo per conoscenza lingua e cognizioni locali non siano eccezionalmente raccomandabili». Una discreta quota dell’immigrazione istriano-dalmata in Alto Adige fu composta da funzionari e professionisti, di livello socioculturale medio-alto e spesso a conoscenza della lingua tedesca. In genere essi si inserirono nei vuoti lasciati nei quadri amministrativi del gruppo italiano dal periodo dell’occupazione tedesca e dell’Alpenvorland.

 

 
Impero e nazione

Un’occasione di riflessione storica di ampio respiro è stata quella offerta dalla settimana di studio  del convegno “Gli imperi dopo l’Impero nell’Europa del XIX secolo” (Trento, 12-16 settembre 2005), organizzato dal Centro per gli studi storici italo-germanici e che ha visto la partecipazione di numerosi studiosi europei. L’obiettivo generale è stato quello di indagare la compresenza dei due fenomeni opposti che caratterizzano la geopolitica di tutto l’Ottocento europeo: lo sviluppo dell’idea nazionale, sull’onda della Rivoluzione francese e del tramonto dell’«antico regime», e, al contempo, il progetto di instaurazione di imperi vecchi e nuovi, che ridisegnano la cartina del continente (i due imperi napoleonici, quello inglese “vittoriano”, quello austriaco e il nuovo Reich germanico). I  «nuovi imperi» - che paradossalmente si sviluppano nell’«età degli Stati» - si rivelano portatori di tendenze e progetti talvolta contraddittori, ma di “lunga durata”. La modernità di alcuni concetti statuali introdotti dal cesarismo e bonapartismo si accompagna al tentativo di conservare e perpetuare forme tradizionali di potere; queste ultime devono tuttavia essere di continuo coniugate con le esigenze di un quadro politico ormai irrimediabilmente mutato da quello pre-rivoluzionario.
Un’intera sezione del convegno è stata dedicata al “caso austriaco”, ciò al passaggio dal Sacro Romano Impero al nuovo impero danubiano ottocentesco, che più di altri soffrirà l’insorgere della questione nazionale. Proprio su questo aspetto, focalizzato su scala regionale, si è soffermata l’analisi di Marco Bellabarba (Università di Trento) su “Trentino e Tirolo nel primo Ottocento”.

 

 
Ostaggi nella “Fortezza alpina”

Sulla scia del 60° dalla fine della seconda guerra mondiale, sono continuate ad uscire nuove pubblicazioni riguardanti avvenimenti bellici, più o meno conosciuti, sul territorio regionale. Tra questi va segnalato Hans Günther RICHARDI, Ostaggi SS nella Fortezza alpina (Edition Raetia, 2005). Esso approfondisce l’episodio degli “ostaggi eccellenti” fatti trasportare su ordine del Reichsführer delle SS Heinrich Himmler, negli ultimi giorni del conflitto, in Val Pusteria, cioè nel cuore di quella che avrebbe dovuto essere la “Fortezza alpina” (Alpenfestung), l’estremo ridotto in cui si sarebbero dovute trincerare le superstiti forze del Terzo Reich. Per Himmler questi ostaggi sarebbero dovuti servire come “merce di scambio” con gli Alleati. La folle speranza dell’SS-Reichsführer era, infatti, quella di ritagliarsi un autonomo margine di trattativa quale “successore” di Hitler. Caduta quest’illusione, fu assai concreto il pericolo che i circa 200 ostaggi finissero coll’essere uccisi. Ad impedirlo furono le stesse autorità militari germaniche in Italia, da tempo impegnate in una fitta trama di contatti con i servizi segreti alleati in Svizzera. Esse avevano tutto l’interesse a mettersi in buona luce agli occhi degli Alleati. Gli ostaggi che, insieme ai loro familiari, furono liberati in Pusteria ai primi del maggio 1945 (e di cui nel libro vi è un dettagliato elenco) erano tutte personalità di spicco del mondo politico, diplomatico, religioso e provenivano da quasi tutti i Paesi europei.
Per affinità di argomento va segnalato pure il libro di Eva PFANZELTER, Südtirol unterm Sternenbanner (sempre edito da Raetia, 2005), che tratta dell’occupazione americana della provincia nel maggio-giugno 1945.

 

 
Fronti, trincee, popolazioni

Altra grande ricorrenza di quest’anno era il 90° dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria. Come già accennato nel numero precedente, essa ha prodotto una variegata serie di iniziative che vanno dalle pubblicazioni ai convegni, dalle mostre ai documentari. Un convegno internazionale di più giorni è stato promosso dall’Archivio provinciale di Bolzano e dal Gruppo di ricerca per la storia regionale («La Grande Guerra nell’arco alpino», aprile 2005). Diviso in cinque sezioni, ha affrontato i principali aspetti del primo “conflitto totale” sul fronte italo-austriaco: l’immagine della guerra di montagna quale si è venuta ad elaborare attraverso i miti eroici; le esperienze di vita sul fronte interno; lo “spaesamento” e cioè i profughi, gli evacuati e i prigionieri; le ripercussioni della guerra sul corpo, sulla psiche e sulla loro stessa percezione; infine, la cultura ed i luoghi della memoria della Grande guerra.
Un mese dopo (maggio) si è svolto a Trento il convegno “La decisione dell’intervento dell’Italia in guerra nel 1915”, organizzato dal Centro per gli Studi storici italo-germanici. E’ stata l’occasione, tra l’altro, per rivisitare la nascita dei miti creati dalla propaganda bellica, in particolare quello, assai duraturo, della proditorietà dell’intervento italiano contro l’ex alleato della «Triplice».
A Castel Tirolo è stata allestita la mostra “Die düstern Adler/Aquile funeste” (giugno-settembre), incentrata sui riflessi della guerra nella vita quotidiana, nell’arte e nella letteratura, mentre in ottobre è stato presentato il documentario «Hinter den Fronten: Kriegsalltag in Südtirol 1915-1918» (Mediaart Appiano/RAI Sender Bozen). Per la didattica va segnalato l’ampio dossier curato dal Lab*doc Storia/Geschichte della Sovrintendenza scolastica italiana, che contiene materiali di aggiornamento per i docenti e di diretto utilizzo nel lavoro in classe. 

 
L’Italia delle canzonette

Notevole interesse ha suscitato l’iniziativa dell’Archivio della scrittura popolare (presso il Museo Storico di Trento) di acquisire, catalogare e valorizzare l’immenso archivio di lettere di ammiratori donato dalla cantante Gigliola Cinquetti, una delle più famose star nostrane dell’«età della canzonetta». Quinto ANTONELLI, principale curatore dell’iniziativa presentata con una mostra ed un convegno, ha saputo cogliere il valore documentario di queste 150.000 lettere, cartoline, messaggi di vario tipo, che si distribuiscono dal 1964 (anno del trionfale esordio dell’adolescente Cinquetti nell’olimpo canzonettistico di Sanremo) sino alla fine degli anni Settanta. Sono gli anni di un cambiamento decisivo e radicale nella società italiana, portato dagli effetti del boom economico (di fatto ormai quasi alle spalle) e soprattutto dai nuovi sistemi di comunicazione. I modelli mutuati soprattutto dalla televisione cominciano a penetrare nella società, nel costume, nella vita quotidiana e nell’immaginario delle nuove generazioni, in un’Italia che sta faticosamente passando dalla dimensione contadina a quella industriale, urbana e “terziarizzata”.
Le lettere provengono in genere da una fascia sociale bassa e di minima alfabetizzazione, toccata solo marginalmente dai nuovi standard di benessere. Esse hanno anche un valore di documento di storia linguistica in quanto testimoniano la gestazione dell’italiano standard promosso dall’avvento della società televisiva. Nelle lettere trovano diretta espressione i sogni attraverso cui si vuole evadere da una realtà fatta di miseria, assai distante dal luccichio dell’era del consumo; ragazze povere che sperano di diventare cantanti, madri di famiglia che chiedono un aiuto economico, carcerati, famiglie trasferitesi dal Meridione nei centri industriali del Nord, etc. Da un punto di vista metodologico, l’acquisizione di questi documenti da parte di un Museo storico (peraltro da sempre attento alla contemporaneità) segna una tappa emblematica nella conquista di nuovi ambiti di studio e di particolari, a volte inaspettati, strumenti di ricerca.