Maurizio Ferrandi

Fantasmi e stelle alpine. Mussolini e l’Alto Adige

 

Curcu & Genovese, Trento 2015

Codice ISBN: 978-88-6876-063-2

 

 Maurizio Ferrandi 2015, Curcu & Genovese

 

 

Prefazione

 

 

Piacevoli alla lettura, le pagine di Maurizio Ferrandi corrono veloci, come i molti treni che le attraversano: da quello che nel 1909 porta a Trento un giovane agitatore romagnolo ai convogli “imperiali” che, anni dopo, trasportano l’ormai Duce dell’Italia fascista agli incontri con l’altro dittatore dell’Asse Roma-Berlino. Come in un film o in un romanzo, il racconto si apre e si chiude sulla stessa sequenza. I cineasti lo chiamano flashforward, i letterati struttura ad anello, prolessi o con altri nomi complicati. È una scelta narrativa azzeccata visto che il protagonista di questa storia è destinato a trasformarsi in un “fantasma” e quindi ad apparire e scomparire in una dimensione che fugge il tempo lineare.

Il protagonista, si è capito, è Benito Mussolini e la scena è quella del tragico epilogo della sua carriera di trionfi e catastrofi nonché della sua stessa vita. In mezzo, per raccontarla, l’autore ha adottato una prospettiva particolare: Mussolini e l’Alto Adige, ovvero il rapporto tra la sua biografia, psicologia, ideologia e prassi politica e questa piccola, contesa terra di confine. Su di essa, è noto, sono passati quasi tutti i principali rivolgimenti della prima metà del XX secolo: lotte nazionali, annessioni, dittature, trasferimenti di massa e così via. Gli snodi principali delle vicende raccontate sono certo conosciuti dai cultori e dai semplici appassionati della storia di questo lembo di confine. Pur fondato su una solida letteratura scientifica, il libro non mira ai canoni di un’opera storiografica. La narrazione attraversa tutta una serie di importanti questioni, molte delle quali hanno generato una messe sterminata di studi e controversie; ma le attraversa per seguire il suo fil rouge, libera di catturare indizi e suggestioni là dove nemmeno la ricerca storiografica può illuminare più di tanto.

 

L’incipit è la breve esperienza trentina del sindacalista rivoluzionario, da cui ricaverà il pamphlet “Il Trentino visto da un socialista”, secondo molti la miglior prova giornalistica del giovane Mussolini. Quanto l’incontro con la questione nazionale trentina abbia influito sull’elaborazione ideologica del fondatore del fascismo è questione molto complessa. Il contributo di Ferrandi mi pare consistere nell’importante sottolineatura del rapporto che precocemente si instaura tra Mussolini ed Ettore Tolomei. Tra i diversi personaggi comprimari di questa narrazione spicca infatti il Roveretano, a cui Ferrandi dedicò un bel libro già nel lontano 1986. È proprio a Tolomei e non al “compagno” Cesare Battisti che Mussolini preferisce affidare il compito di visionare le pagine del suo lavoro prima della pubblicazione, almeno del capitolo più importante, quello sulle società pangermaniste. Sono due personaggi a un primo sguardo assai diversi sotto il profilo generazionale, culturale e politico. Eppure entrambi si avvantaggeranno di questo rapporto, peraltro sempre distaccato, mai intimo, spesso conflittuale (“la suocera” sarà l’appellativo con cui il Duce indicherà il Senatore). Grazie a Mussolini, Tolomei avrà l’occasione di mettere in pratica le sue teorie snazionalizzatrici, pur con limitazioni e contrasti. Dal canto suo Mussolini utilizzerà i “materiali” preparati dal Roveretano nella sua instancabile attività di “inventore dell’Alto Adige” e soprattutto ne mutuerà la mitologia dei “sacri confini” e specificamente del Brennero quale spartiacque di civiltà: insomma tutto quell’apparato ideologico e retorico che userà lungo il Ventennio.

 

Quale peso abbia avuto la questione dei “Tedeschi dell’Alto Adige” nel periodo di affermazione del primo fascismo emerge con chiarezza già solo prendendo in considerazione le due spedizioni di “camice nere” a Bolzano, soprattutto la seconda (2 ottobre 1922) che porta alla destituzione non solo del borgomastro Perathoner, ma anche del Commissario civile della Venezia tridentina Credaro. Non è solo un segnale dello sgretolamento delle istituzioni dell’Italia liberale, ma (in un’altra prospettiva) anche un momento importante del processo di auto-identificazione da parte del fascismo con l’intero “corpo” (e destino) della nazione. È dal Brennero - dal confine conteso e ora moralmente “riconquistato” - che la rivoluzione fascista (presunta continuatrice dello “spirito del Piave”) si rivolgerà inevitabilmente verso il centro, verso Roma, avendo questa volta come obiettivo non camere del lavoro o sedi sindacali, minoranze slave o tedesche, bensì il cuore stesso della nazione da “rigenerare”.

 

C’è insomma un filo che collega direttamente – ed è questo il motivo principale del racconto di Ferrandi – le vicende atesine e il confine del Brennero con l’intero destino del regime che si instaura. Nel ventennio della sua parabola al potere, il Duce si recherà poche volte di persona in Alto Adige. Eppure questa terra entrerà continuamente nella sua agenda e nelle sue preoccupazioni. E quasi sempre egli si ritaglierà in tale questione uno spazio decisionale al di sopra delle opinioni di ministri, funzionari e prefetti. Sull’Alto Adige, in altre parole, Mussolini ritiene di avere tutta la competenza e conoscenza necessaria per valutare di persona e agire di conseguenza. Il libro segue puntualmente questi sviluppi. Dalle polemiche internazionali sull’oppressione dei sudtirolesi (famosa quella del 1926/27) alla creazione della Provincia di Bolzano che viene così sottratta al “trentinismo”, dai rapporti con la debole Austria di cui il Duce si atteggia a “protettore” fino a quelli assai più pericolosi con la nuova “grande Germania” di Hitler.

Una delle parti più importanti del libro è dedicata proprio al ruolo della questione altoatesina all’interno della politica dell’Asse. Mentre la propaganda celebra il confine del Brennero come punto di incontro tra le due giovani nazioni che daranno un nuovo assetto all’Europa, per Mussolini l’Alto Adige rimane un’inconfessabile ossessione, un banco di prova della propria credibilità verso l’opinione pubblica italiana ed estera. Non è certo un caso che la prima prova di forza tra i due “infidi” alleati dopo la firma del Patto d’Acciaio riguardi proprio l’Alto Adige. Le velleità, le debolezze, le contraddizioni della politica italiana e in primis dello stesso Mussolini di fronte al Terzo Reich si riflettono pienamente nel catastrofico esito delle “opzioni” del 1939. Il racconto segue quindi la fase discendente di questa parabola che tocca il fondo con l’occupazione nazista del 1943, quando la provincia di Bolzano viene annessa più o meno direttamente al Reich e invano Mussolini – ormai “prigioniero” dell’alleato – chiede di porre la sede del nuovo governo a Merano. La cittadina sul Passirio apparirà nella sua mente tra le ultime mete di salvezza nelle ultime, convulse ore della sua vita.

 

“Ma la storia non finisce qui” recita un sottotitolo del libro, che infatti si chiude portando il lettore alla cronaca del dopoguerra fino alle polemiche del presente. Monumenti e bassorilievi appaiono e scompaiono sotto le luci intermittenti delle rimozioni collettive e della rivendicazione etnica. È qui che il racconto di Ferrandi si rivela anche una “storia bolzanina”, dove i paradossi e le contraddizioni sembrano richiamare di continuo i furori della grande storia, dove il “passato non passa” e sembra impossibile scacciarne una volta per tutte i “fantasmi”.

 

 

Carlo Romeo

Bolzano, luglio 2014