Venerdì 23 gennaio l’assemblea annuale dell’associazione “Geschichte und Region / Storia e Regione” si concluderà con la presentazione pubblica del libro “L’impero asburgico” di Marco Bellabarba, docente di Storia moderna all’università di Trento, che sarà introdotta da Hans Heiss. L’appuntamento è alle 19.30 presso l’Archivio Storico della Città di Bolzano (Sala Conferenze, Portici 30, 2o piano).
L’impero asburgico raccontato da Marco Bellabarba
di Carlo Romeo
“Da che mondo è mondo, un difetto di pronuncia non ha mai ucciso nessuno, però va detto che l’austriaca e ungherese austroungarica doppia monarchia è andata in rovina proprio per la sua impronunciabilità”. Così un personaggio dell’“Uomo senza qualità” di Robert Musil sintetizzava ironicamente le cause del dissolvimento dello stato plurinazionale per eccellenza. Spazzato via insieme ad altri dalla prima guerra mondiale, l’impero asburgico è rimasto avvolto sino a oggi da un immaginario di grande fascino, non fosse altro che per le espressioni culturali nate dentro la sua cornice plurinazionale, anticipatrici delle tendenze più innovative del ’900. Allo stesso tempo non è facile liberarsi da vecchi stereotipi di segno opposto; quello di ascendenza nazional-risorgimentale che l'ha rappresentato come “prigione dei popoli” o quello nostalgico di “perduto paradiso” di armoniosa convivenza. Del resto, sin dalla sua caduta nel 1918, l’interpretazione dominante su un piano storiografico è stata quella di un “monstrum” anacronistico, la cui fine non sarebbe stata altro che la necessaria conseguenza del suo vizio d'origine: il suo carattere plurinazionale del tutto controcorrente, “fuori tempo” rispetto al modello di stato nazionale trionfante nell’Europa ottocentesca.
Cartina umoristica dell’impero austro-ungarico, 1906
Per tutti questi motivi risulta quanto mai utile il compendio “L'impero asburgico” scritto da Marco Bellabarba e appena uscito nella collana di libri di base del Mulino “Le vie della civiltà”. Una delle sue premesse è l'esigenza di sgombrare il campo dal più nascosto dei condizionamenti che hanno influito sul giudizio: quello di partire dall’implosione della monarchia danubiana per individuarne a ritroso le cause, quindi in prospettiva teleologica. Il racconto di Bellabarba prende avvio dalla seconda metà del ’700, in particolare dalla figura di Giuseppe II, il più radicale dei sovrani illuminati, e dal suo tentativo di uniformare, centralizzare e modernizzare la variopinta compagine di territori sui quali gli Asburgo avevano messo le mani a partire dal tardo medioevo, attraverso politiche di conquista, matrimoni, diplomazia. Un complesso dominio disperso su gran parte del continente, dai Paesi Bassi alla penisola italiana, dalle Alpi svizzere alla Transilvania. Regni, ducati, contee, province accumulatesi progressivamente e caratterizzate dalla tendenza a difendere strenuamente la propria individualità, i privilegi e le consuetudini. Fallito il progetto “illuminista”, la politica asburgica nell’800 viene descritta come risultato della continua negoziazione tra istanze e attori diversi: il centralismo viennese, le resistenze dei Länder, la spinta centripeta dei nuovi nazionalismi, il peso dei circoli militari e delle aristocrazie conservatrici. Questo precario equilibrio di intricati rapporti di forza rallentò non solo il cammino verso l’omogeneizzazione della compagine statale, ma anche lo sviluppo costituzionale e democratico (oltre che economico). È una storia che, vista da vicino, appare in frenetico movimento, accelerato dai rivolgimenti europei. Il libro ne sottolinea gli snodi di crisi e metamorfosi più importanti: il periodo napoleonico (quando scompare il Sacro romano impero di nazione germanica), il congresso di Vienna, le rivoluzioni del 1848, le sconfitte sul fronte italiano e prussiano, il compromesso del 1867 con cui nasceva la duplice monarchia.
Alla vigilia della guerra, l’Austria-Ungheria contava 26 milioni di abitanti divisi tra 12 nazionalità e cinque professioni religiose. Il patriottismo austriaco non poteva fondarsi su omogeneità linguistiche, nazionali, etniche. Comuni denominatori rimanevano il culto dell’imperatore, “padre dei popoli”, e l’ipertrofica burocrazia asburgica addetta al funzionamento del delicatissimo congegno di questa strana entità statale plurinazionale. Non a caso la figura dell’imperialregio funzionario compare spesso nella letteratura dell’epoca. Come nella profetica novella “L’Austria eterna” di Carl Techet (lo stesso della satira “Tirol ohne Maske”). Il suo malinconico personaggio, ultimo discendente di una dinastia di “austro-erariali” nomadi e plurilingui, assiste sgomento alla febbre nazionalistica di cui sono preda i suoi figli. Sul formulario del censimento, alla voce “lingua d’uso”, risponde: “neutrale, cambia spesso (…) Da ciascuna lingua aveva ricavato un pezzetto del proprio Io. Da nessuna l’Io intero. Ma questo caos era la sua Heimat”.
Autore: Carlo Romeo
Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Viaggio dentro l’impero asburgico in: «Alto Adige» 20.01.2015, p. 12.