Autore: Carlo Romeo

Rif. bibl.: Romeo, Carlo, Monumento alla Vittoria: ecco come diventa storia, in «Alto Adige», 21 lug. 2014, pp. 8-9.

 

 

Si inaugura oggi (21 luglio 2014) il percorso espositivo all’interno del Monumento alla Vittoria. Il progetto, partito due anni fa, ha visto la collaborazione del Ministero dei Beni culturali, della Provincia e del Comune di Bolzano. Il comitato scientifico è stato composto da Ugo Soragni, Andrea Di Michele, Christine Roilo, Hannes Obermair e Silvia Spada. L’allestimento è stato ideato da Gruppe Gut di Bolzano e ha visto diverse collaborazioni internazionali tra cui la consulenza dello storico statunitense Jeffrey T. Schnapp. Tra le autorità che interverrano vi sarà il ministro ai Beni e attività culturali Dario Franceschini, che si recherà in visita anche alla targa di Franz Innerhofer e al muro del Lager di Via Resia.

 

Interno del percorso nella cripta

 

 

Il monumento svelato

 

di Carlo Romeo

 

 

Con la realizzazione del percorso “BZ ’18-’45” allestito nella cripta e negli altri locali sotterranei, il monumento di Piacentini viene finalmente consegnato alla storia e alla memoria della città e del territorio. Il sottotitolo (“un monumento, una città, due dittature”) non lascia dubbi sul concetto generale che ha guidato i curatori. Il monumento non è più isolato dal contesto come un’ara muta e inaccessibile. Ora può “parlare” non solo delle vicende proprie e di gran parte della “Bolzano nuova” (quella sviluppatasi all’indomani dell’annessione), ma anche dei rapporti lontani e recenti tra i gruppi linguistici, dei quali esso è stato fin dalla nascita una specie di cartina di tornasole, luogo simbolico celebrato oppure odiato, in ogni caso termine ineludibile di confronto. A mio avviso erano due i possibili rischi che si presentavano all’iniziativa ed entrambi sono stati brillantemente evitati. Il primo era quello di una banalizzazione retorica in cui l’urgenza di un depotenziamento simbolico prevaricasse sull’esigenza di una puntuale storicizzazione: in questo modo il passato del contestato monumento, invece di essere elaborato, sarebbe stato riconsegnato tale e quale alle trite e ormai stucchevoli dinamiche della rivendicazione etnica. Il rischio opposto era quello di un semplice intervento accademico che ignorasse la dimensione “politica” (nel senso più nobile del termine) in cui era nata l’iniziativa; il percorso allestito riesce invece a comunicare soprattutto alle nuove generazioni i rapporti tra passato e presente, dando conto di ciò che il monumento è stato fino a oggi nei suoi messaggi ideologici e simbolici, nelle polemiche e nell’immaginario collettivo sino ai nostri giorni. In altre parole, la storicizzazione porta con sé e s’intreccia naturalmente al messaggio civile: il superamento di nazionalismi, dittature, totalitarismi.

 

L’incompiuto monumento ai Kaiserjäger

 L'incompiuto monumento ai Kaiserjager

 

Un allestimento “leggero”

 

Le scelte operate dal team di esperti hanno dovuto fare i conti con i limiti degli spazi disponibili. È un allestimento “leggero” sia dal punto di vista degli oggetti esposti sia degli effetti multimediali, che a dispetto delle mode imperanti risultano ben contenuti. Il percorso stesso lascia una certa libertà di fruizione, senza un rigido orientamento. Varcando l’entrata principale (sul lato ovest) il visitatore è accolto da un brusio di sottofondo che mescola, volutamente distorti, proclami, inni, parole d’ordine che rimandano alle mobilitazioni sotto le dittature fascista e nazista. Il corridoio immette direttamente alla cripta che, come noto, rappresenta il “sancta sanctorum” del monumento, con i due affreschi di Guido Cadorin dedicati alle figure allegoriche delle Custodi della Patria e della Storia. Essa è stata lasciata vuota, con l’unica ricollocazione di quattro candelabri, riproduzioni di quelli originali sottratti nel 1943. Sui muri, sopra le citazioni di Cicerone e Orazio che celebrano la gloria delle imprese e il sacrificio per la patria, scorrono proiettate frasi di Hannah Arendt (“Nessuno ha il diritto di obbedire”), Bertold Brecht (“Infelice il popolo che ha bisogno di eroi”) e Thomas Paine (“Il dovere del patriota è proteggere la patria dal suo governo”). Il “gioco” della citazione di sentenze, aforismi e paradossi (inevitabilmente decontestualizzati) potrebbe teoricamente destare qualche perplessità. Tuttavia la soluzione (che è stata scelta alla fine anche per il rilievo di Piffrader) risponde in modo efficace alla filosofia complessiva del progetto di intervento: non togliere bensì aggiungere. Sopra le sentenze degli auctores latini strumentalizzate a suo tempo dal regime in stile marmoreo e imperiale, scivolano leggeri e “tecnologici” i frammenti della riflessione critica su totalitarismo e democrazia sviluppatasi nel ’900 (e anche prima nel caso di Paine).

 

Il monumento in costruzione marzo 1928)

 Il monumento in costruzione (marzo 1928)

 

Attraverso due dittature

 

I locali circostanti alla cripta sono stati utilizzati per due distinti percorsi, che comunque si rimandano spesso l’un l’altro per temi o cronologia. Quello esterno tematizza le vicende della città e in generale della provincia nella prima metà del ’900, dall’annessione al fascismo, dal nazismo alla seconda guerra mondiale fino all’accordo di Parigi (1946). Quello interno riassume le vicende del monumento. I testi in tre lingue (inglese, tedesco, italiano) illustrano i dati essenziali dei vari passaggi storici. Poche e selezionate fotografie sono poste a emblema degli snodi principali, mentre diverse postazioni video consentono la visione di filmati d’epoca (concessi dall’Istituto Luce, dalla RAI e dal Bundesarchiv di Berlino, tutti partner del progetto).

Il primo passaggio riguarda il cambio di sovranità ovvero l’annessione del Tirolo meridionale all’Italia (1919) in seguito alla Grande guerra. All’euforia del raggiungimento dei “sacri confini” (viene qui ricordata l’attività di Ettore Tolomei) si contrappone il trauma della popolazione tedesca separata dalla madrepatria. Segue poi il breve e contraddittorio “periodo liberale”, sotto la guida moderata del governatore militare Pecori-Giraldi e poi di quello civile Credaro, e le prime manifestazioni violente del fascismo con le due spedizioni di “camice nere” a Bolzano (1921 e 1922). Lo spazio seguente è dedicato al “regime” ovvero al periodo dell’italianizzazione e fascistizzazione nella scuola, nell’amministrazione locale, nell’associazionismo e così via. Vengono ricordate le reazioni sudtirolesi, ad esempio con i corsi clandestini di lingua tedesca (Katakombenschule), e la funzione svolta dalla Chiesa locale quale “rifugio” etnico e linguistico.

Si passa poi alla costruzione della “nuova Bolzano”, di cui piazza Vittoria costituisce il punto nodale, e all’avvio delle grandi opere in tutta la provincia (zona industriale di Bolzano, centrali idroelettriche, vie di comunicazione etc.) mirate a modernizzare l’economia e al contempo favorire l’immigrazione italiana. È in questa sala che si sono alfine “posate”, dopo tanto vagare, due delle “aquile” che erano state rimosse da Ponte Druso. Insieme agli sviluppi demografici e sociali nel Ventennio, viene ricostruita la distribuzione socio-economica della popolazione nei nuovi quartieri bolzanini. Segue lo spazio dedicato al rapporto che il regime fascista intrattenne con l’arte e con le espressioni culturali in genere, campo in cui sviluppò un’abile politica del consenso, anche a livello locale.

La sala successiva tratta dell’ascesa di Hitler al potere e del movimento nazionalsocialista sudtirolese (clandestino) che si accende di entusiasmo per i successi in politica estera della “Grande Germania”. La sempre più stretta alleanza italo-tedesca porta invece alle “opzioni” del 1939, quando più dell’80% degli aventi diritto sceglie il Reich. Non poteva mancare la sala dedicata alla seconda guerra e all’occupazione nazista durante la quale la provincia venne di fatto annessa alla Germania all’interno della Zona di operazioni delle Prealpi; sono presentate le principali questioni, dall’emergenza dei bombardamenti alla mobilitazione bellica, dalla deportazione degli ebrei alla repressione e persecuzione della Resistenza sia italiana che sudtirolese. L’ormai “classica” fotografia fatta da Enrico Pedrotti al “blocco celle” del Lager di Via Resia è collocata come emblema di una fine che è al contempo una rinascita. “Resistenza e democrazia” è infatti il titolo dell’ultima sala del percorso esterno, che si conclude con l’accordo di Parigi del 1946: l’inizio di un nuovo cammino che, pur difficile e contrastato, poggia sui nuovi principi della democrazia, del rispetto delle minoranze e del dialogo.

 

Il futurista Uberto Bonetti nei primi Trenta realizza questa “sintesi” della Vittoria saettante. Una sezione del percorso sottolinea il ruolo del monumento come icona nell’arte, nella pubblicità, nella grafica.

 

 

Dal passato al presente

 

Le sale angolari rispondono a quattro domande. La prima (“Che cos’è un monumento?”) traccia paralleli europei che comprendono anche il monumento eretto a Berlino nel 1926 ai due martiri del movimento spartachista (Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht), che fu poi abbattuto dal regime nazista. Al modellino del cippo di confine collocato al Brennero nel 1921 fa da contraltare la riproduzione di una scultura superstite dell’incompiuto monumento ai Kaiserjäger, sulla cui area sorse quello piacentiniano. L’approfondimento sottolinea la vigorosa spinta che la prima guerra mondiale diede in tutt’Europa alla monumentalistica e i dibattiti internazionali in cui si inserì il Monumento alla Vittoria di Bolzano. Qui si sarebbe potuto accennare anche alla monumentalistica tirolese a cavallo dei due secoli, fortemente segnata dalle tensioni nazionali (si pensi alla statua di Walther a Bolzano e a quella di Dante a Trento).

La seconda sala approfondisce i valori simbolici, politici e ideologici del monumento, con l’ausilio di un modello interattivo che permette di individuarne i diversi elementi architettonici, scultorei e pittorici nonché le iscrizioni. La terza riguarda Marcello Piacentini e la sua parabola artistica che, attraversando tutta la prima metà del XX secolo, produsse originali sintesi tra Jugendstil, razionalismo e neoclassicismo “imperiale” e segnò profondamente l’architettura anche prima e dopo il Ventennio. La quarta e ultima questione (“Un monumento per altre vittorie?”) riguarda il ruolo che i monumenti hanno svolto e potrebbero svolgere nella nostra storia. È la storia a noi più vicina: vi scorrono le immagini (alcune assai rare) di polemiche, fiaccolate, attentati, marce, raduni contrapposti, ma anche le opinioni di comuni cittadini intervistati. Il percorso si chiude dunque sul presente invitando a una permanente rielaborazione del passato e della memoria. Una memoria che per la città e per i suoi cittadini, a qualunque gruppo linguistico appartengano, da oggi è indubbiamente più ricca.

 

 

Alcune date

 

1916 - Nel pieno della prima guerra mondiale l’architetto boemo Karl Ernstberger progetta un monumento ai Kaiserjäger a Bolzano. La sconfitta del 1918 lascia l’opera incompiuta.

Febbraio 1926. Mussolini, replicando alle accuse austriache e germaniche di opprimere la minoranza sudtirolese, annuncia la costruzione a Bolzano di un monumento a ricordo di Cesare Battisti e dei martiri che col loro sacrificio “hanno scritto per l’Alto Adige la parola definitiva della nostra storia”. Si apre una sottoscrizione nazionale. Del progetto viene incaricato Marcello Piacentini.

12 luglio 1926. Nell’anniversario della morte di Battisti, viene posata la prima pietra alla presenza del Re e di numerose autorità.

12 luglio 1928. Solenne inaugurazione del monumento intitolato “alla Vittoria”. La vedova di Battisti, Ernesta Bittanti, si è infatti opposta alla strumentalizzazione della figura del marito da parte del regime.

8 settembre 1943. La provincia viene occupata dalle forze armate tedesche e per due anni di fatto annessa al Reich. I busti di Battisti, Filzi e Chiesa vengono danneggiati e il monumento subisce asportazioni e deterioramenti.

4 novembre 1949. Finiti i restauri, il monumento viene “rinaugurato” solennemente. Nei decenni seguenti le ricorrenti celebrazioni nazionali di fronte agli emblemi fascisti provocheranno proteste e reazioni sempre più forti presso la popolazione tedesca e crescenti perplessità anche in settori dell’opinione pubblica italiana.

1978. Il monumento subisce un attentato. Vengono rafforzate le misure di sicurezza tra cui un’invalicabile cancellata.

Dicembre 2001. La giunta comunale delibera il cambio del nome della piazza circostante il monumento in “Piazza della Pace”. L’anno seguente però l’esito di un referendum promosso dalla destra locale costringe a ripristinare il nome originario. Vengono comunque spostate altrove le ricorrenti celebrazioni ufficiali.

Febbraio 2005. Vengono apposte sulla piazza tabelle in quattro lingue (inglese, tedesco, italiano e ladino) con cui la Città di Bolzano condanna il messaggio ideologico del monumento fascista.

Gennaio 2012. Raggiunto l’accordo per una collaborazione tra Stato, Provincia e Comune per un’opera di storicizzazione del monumento e di altre testimonianze dei totalitarismi sul territorio, prende le mosse il progetto di un percorso espositivo all’interno della cripta.