Laboratorio di storia di Rovereto 2013

ALMENO I NOMI. CIVILI TRENTINI DEPORTATI NEL TERZO REICH. 1939-1945,

 

Laboratorio di storia di Rovereto, coordinamento di Giovanni Tomazzoni,

 

Presidenza del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento,

 

TEMI Editrice, Trento 2013, pp 276, ill.

 

www.labstoriarovereto.it

 

 

 

 

INDICE

 

 

Almeno i nomi

 

Civili trentini deportati nel Terzo Reich. 1939-1945

 

Contenuti e metodologia della ricerca

 

 

TRENTINI NEI LAGER

 

Profili, luoghi e motivi della cattura

 

 

I LAGER

 

Tipologia e topografia del terrore

 

I DESTINI

 

I NOMI, I VOLTI

 

Bibliografia minima

 

 

 

Dall’Introduzione, pp. 9-10

 

 

 

ALMENO I NOMI

CIVILI TRENTINI DEPORTATI NEL TERZO REICH

1939-1945

 

 

 

 

 

Almeno i nomi,

loro uniche sepolture...

Germaine Tillion, Ravensbrück

 

 

«Quante volte, in questi cinque anni di ricerca, abbiamo avvertito, all'atto della consegna di una testimonianza, l’immanenza del dolore e del ricordo, e come se con essa ci venisse trasmessa la richiesta che quella memoria famigliare, così rarefatta ormai e isolata, entrasse a buon diritto a far parte di una memoria condivisa e da comunicare. E quante volte abbiamo avvertito che la ricerca della conoscenza si sostanziava in un esercizio di memoria: avere cura delle storie spezzate, ridare un corpo un volto un nome ai "non eroi", ai tanti Polinici, alle tante Antigoni che hanno calcato questa terra e di cui non c'è traccia sui monumenti e nelle strade e nelle celebrazioni del dopo. Ma anche, solo perché il ricordo del male non svanisca, ai tanti Creonti che l'hanno straziata, trattandosi per noi, come per il poeta-prigioniero Vittorio Sereni, "non di rappresaglia o rancore. / Ma d'inflessibile memoria".

"Le volevo tutte chiamare per nome. / .../ Coi poveri suoni che ho inteso da loro / per loro ho tessuto un largo manto" scrive la poetessa russa Anna Achmatova delle donne che come lei e con lei, "più inanimate dei morti", hanno passato diciassette mesi in fila davanti al carcere delle Croci di Leningrado in attesa di notizie dei loro cari (Requiem, 1935-1940).

Anche noi, ad un certo punto, avremmo voluto chiamare tutti per nome - i morti nei campi di prigionia e nei campi di sterminio, i prigionieri, i profughi, i bombardati, i deportati, i torturati, i resistenti, i sopravvissuti... Abbiamo cominciato a farlo in questo libro (attraverso le tante storie emblematiche), a dire "possiamo", a diradare l'oscurità. Ci siamo riproposti di continuare la ricerca e il racconto al fine di allargare vieppiù il manto della memoria: "Una volta - scrive Achmatova "in luogo di prefazione" a Requiem - qualcuno mi ‘riconobbe’. In quell’istante una donna dalle labbra livide che stava dietro di me e che, sicuramente, non aveva mai sentito il mio nome, si riscosse dal torpore che era caratteristico di noi tutte e mi domandò in un orecchio (lì tutte parlavano sussurrando):

Ma questo lei può descriverlo?

E io dissi: Posso.

Allora una sorta di sorriso scivolò lungo quello che un tempo era stato il suo volto.”»

 

In queste poche righe che chiudevano, nel 2010, la presentazione de Il diradarsi dell'oscurità, frutto della ricerca sul Trentino e i trentini nella seconda guerra mondiale, c'è la premessa (e la promessa) di questo libro sui deportati civili in Germania. E dunque, anche, la ragion d'essere più profonda del Laboratorio di storia di Rovereto, che si realizza da sempre in atti concreti di ricerca /conoscenza e di restituzione/riparazione. Qui stiamo parlando di donne e uomini prigionieri, chiusi in lager o in penitenziari a scontare, da vittime sacrificali non sempre consapevoli di esserlo, la colpa collettiva di una guerra fratricida. Stiamo parlando di donne e uomini che da quel "fondo", da quel "laggiù", non sono più riemersi, nemmeno se e quando hanno riattraversato da vivi i cancelli dell’"Arbeit macht frei". Stiamo parlando di donne e uomini di cui le ragioni della Storia, durante e dopo la guerra e fino a oggi, hanno fatto strazio dissipandone nomi, volti, ricordi. Un'esperienza, la loro, che mai ha trovato spazio nella memoria pubblica, e mai ha saputo farsi narrazione se non, al più, nello spazio angusto del dolore famigliare. […]